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Bye bye Boris: cosa resterà dell’era Johnson

Bye bye Boris: cosa resterà dell’era Johnson

Brexit, ma anche una nuova attenzione alle aree povere del Paese e il sostegno all’Ucraina. Una premiership storica

Brexit, ma anche una nuova attenzione alle aree povere del Paese e il sostegno all’Ucraina. Una premiership storica

Alla fine non ce l’ha fatta. Come Margaret Thatcher e Theresa May prima di lui, Boris Johnson è stato costretto alle dimissioni poco dopo essere sopravvissuto a un voto di sfiducia del suo stesso partito. Troppo forti le divisioni tra i Conservatori, molti dei quali da tempo ne mal sopportavano non solo gli scandali, ma anche una politica che si allontanava dalla tradizione Tory. Johnson però ha rivoluzionato la politica britannica e la sua premiership, sia pur relativamente breve, avrà grande influenza nella futura parabola di Londra.

Questo articolo fa parte di Eupoleis, la rubrica di politica europea curata da Rodolfo Fabbri. Per rimanere aggiornato o se hai dei dubbi, contatta l’autore su Instagram

Pochi personaggi come Boris Johnson sono stati così semplificati e vilipesi dalla stampa mainstream: etichettato come populista, emulo di Donald Trump e inadatto a governare, BoJo è in realtà una figura complessa e sfaccettata. Nato a New York da una famiglia con origini sparse in tutta Europa, il futuro Primo Ministro è un classico prodotto dell’establishment britannico, con studi a Eton e Oxford. Uomo dalla raffinata cultura classica, ha scritto vari saggi di successo, in particolare sulla figura di Winston Churchill, cui dichiaratamente si ispira.

Giornalista, il futuro premier è stato corrispondente per il quotidiano The Daily Telegraph da Bruxelles. Dalla capitale belga divenne un picconatore dell’Unione europea, non senza ingigantire molte delle notizie che dava in chiave eurocritica. Johnson entrò poi in politica, divenendo nel 2008 sindaco di Londra, città storicamente progressista. Alla guida della capitale BoJo si distinse per le politiche ecologiste e per la sua immagine liberal e scapigliata.

L’uomo della Brexit

La svolta della sua carriera arrivo però nel 2016, con il referendum sulla Brexit, che diventerà la sua vera eredità politica. L’allora premier David Cameron, dopo aver negoziato con l’Unione europea delle clausole speciali per il Regno Unito, scelse di schierarsi per il Remain. Johnson preferì invece (i maligni dicono più per convenienza che per reale convinzione) appoggiare il Leave, poi risultato vincente anche grazie al suo decisivo apporto in campagna elettorale.

Ma la Brexit immaginata da BoJo non è quella chiusurista e tendenzialmente xenofoba di Nigel Farage, leader di UKIP e altra figura chiave dell’euroscetticismo d’Oltremanica. Per Johnson e gli altri sostenitori di Global Britain il Regno Unito, grazie al suo ruolo di leadership in ricerca e innovazione, alla borsa di Londra e alla sua potenza in ambito diplomatico e militare, è in grado di essere un vero e proprio attore globale. Pertanto, deve aprirsi maggiormente al mondo (in particolare ai Paesi di lingua inglese), senza essere soggetto alla legislazione dell’Unione europea, vista come soggetto burocratico in mano a Francia e Germania.

L’eventuale successo di questa visione è tutto da dimostrare, ma è di certo lontana dall’immagine di nazione in declino che si chiude in se stessa che troppo spesso è stata data anche in Italia. L’immigrazione nel Regno Unito è infatti addirittura aumentata: è però molto più regolamentata, con un severo sistema a punti che da una parte ha attirato talenti da tutto il mondo, ma dall’altra ha creato alle imprese nel reperire personale non qualificato.

Ad ogni modo, Johnson si trasferì a Downing Street nel luglio 2019, dopo aver affossato il governo di Theresa May, ritenuto troppo morbido nel negoziare l’uscita dall’Ue. Nel dicembre dello stesso anno, il leader conservatore vinse nettamente le elezioni promettendo di portare a termine la Brexit. Promessa mantenuta, con un controverso accordo con Bruxelles sull’Irlanda del Nord, che negli anni successivi il Regno Unito ha cercato di rinegoziare unilateralmente. L’atteggiamento di BoJo e del suo governo nelle trattative con l’Unione europea è stato in effetti a dir poco spregiudicato, ma è riuscito comunque a ottenere l’agognata Brexit e un accordo commerciale con Bruxelles, votato anche dall’opposizione laburista.

L’addio di Johnson è stato salutato in maniera molto diversa dalla stampa britannica: sopra la copertina di The Economist, che titola “La caduta del clown”


Il Johnsonismo

Oltre alla storica uscita dall’Unione europea, Johnson ha anche creato una nuova corrente di pensiero interna al partito Conservatore. Nello scorso aprile, il Primo Ministro dimissionario ha spiegato alla Tv GB News che il “Johnsonismo” è indissolubilmente legato all’idea di “levelling up”, l’obiettivo politico di portare a un livello paragonabile di sviluppo e opportunità tutte le zone del Regno Unito.

Gli abitanti del nord dell’Inghilterra deindustrializzato sono infatti stati i veri fautori di Brexit, più per rabbia verso il sistema che per convinzione in Global Britain. Johnson ha intercettato il loro voto, strappando nel 2019 collegi che erano da decenni in mano ai laburisti. Coniugare Global Britain e levelling up è obiettivamente molto complicato: per sfruttare le opportunità della prima sarebbe necessaria una politica economica liberista di deregolamentazione, mentre per la seconda sarebbero più adatte politiche protezioniste. Questo è probabilmente il principale punto debole della visione di Johnson, che su questo tema si è mostrato ondivago nei suoi anni di governo.

Il “Johnsonismo” non morirà con Johnson: il Ministro dei Trasporti Grant Shapps ha dichiarato che correrà per la leadership Tory «per raggiungere gli obiettivi del Johnsonismo, facendola però finita con un’era di governo “tattica e distratta”». Shapps probabilmente non diventerà il nuovo premier, ma l’attenzione alle zone più povere del Regno Unito rimarrà almeno in una frangia del Partito Conservatore, che storicamente ha invece le sue roccaforti nelle aree benestanti del sud del Paese.

Infine, di Johnson resterà l’incrollabile sostegno all’Ucraina durante l’invasione russa. Il premier è l’unico leader ad essersi recato due volte a Kiev, la prima solo pochi giorni dopo il ritiro di Mosca dal nord del Paese. Zelensky ha salutato con rammarico le sue dimissioni e in varie città ucraine esistono già delle vie “Boris Johnson”. Un riconoscimento che certamente farà piacere a un uomo profondamente ambizioso che, pur sconfitto, è già nella Storia.

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Rodolfo Fabbri

Rodolfo Fabbri

Giornalista, da sempre affascinato da storia, geografia e politica. Milanese con esperienze in giro per l'Europa, ho una passione che sfiora la maniacalità per mappe e dati. L'obiettivo che mi pongo è quello di raccontare con equilibrio quel che ci succede intorno. Perché se è vero che nel giornalismo l'oggettività non esiste, ritengo che il nostro dovere sia di fare tutto il possibile per avvicinarvisi

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