Nato a Crotone il 27 ottobre del 1950, all’età di 10 anni Rino viene mandato a studiare in un collegio di Terni, mentre la sua famiglia si trasferisce a Roma, in cerca di lavoro. Il piccolo Salvatore viene ricordato da un suo insegnante del collegio come “un ragazzo molto sognante”, con una spiccata propensione per la poesia.
Questa passione trova libero sfogo in ambito musicale, infatti, tornato a Roma, Rino inizia come bassista nella band “I Krounks”.
Successivamente nel 1969 inizia a frequentare il Folkstudio, rampa di lancio per artisti come Venditti e De Gregori, ma in questo ambiente viene mal sopportato per l’eccesiva vena ironica dei suoi testi.
Un altro elemento a suo sfavore fu lo scarso interesse che Rino manifestava per gli ideali di sinistra, un dogma nel mondo della musica, oltreché della cultura imperante in quegli anni. (dirà poi Rino nel suo capolavoro “Le Beatitudini”: “beati i nobili e i baroni specie se comunisti”).
La sua irriverenza e il suo estro fanno di lui un personaggio ambito dal mondo del teatro e tra il 1970 e il 1971 recita in “Aspettando Godot” di Samuel Beckett e nel ruolo della volpe nel “Pinocchio” di Carmelo Bene. E forse pochi sanno che compose anche delle opere teatrali ispirate al poeta Majakovskij.
Il primo singolo inciso dall’autore calabrese e prodotto dalla Rosvemon (Rossitto, Venditti, Montanari) è I love you Marianna, inciso con lo pseudonimo di Kammamuri’s, un personaggio di Salgari.
La melodia è di tono orientale, mentre la canzone, oltre ad un riferimento alla nonna dell’autore e all’associazione immediata alla marijuana, assume un significato più profondo. Potrebbe essere un tributo alla rivoluzione francese: nel testo Gaetano dice: «I Love you Maryanna sulle rive della Senna ho incontrato te». La Marianna della rivoluzione francese, infatti era la donna vessillifera dei valori di libertà, uguaglianza e fraternità.
Nel 1974 Rino incide il suo primo album, Ingresso Libero, che includeva canzoni quali Tu, forse non essenzialmente Tu, scritta probabilmente in ricordo dell’amico Bruno Franceschelli e delle giornate passate al “Barone”, per allargarsi poi ad una più ampia riflessione che lo porta alla ricerca della propria anima.
Agapito Malteni è la storia di un macchinista che ha negli occhi il dramma dell’emigrazione, il dramma di gente costretta a lasciare il proprio paesello con la speranza di un futuro meno miserabile, «a scambiare la falce in cambio di un martello» trasformandosi da braccianti meridionali in operai nel Nord industrializzato. Tuttavia, Agapito progetta un piano per impedire che questo accada: si rifiuta di partire, ma l’altro macchinista, pur comprendendone le ragioni, è costretto a fermarlo con la forza.
L’alienazione e la frustrazione di un membro della classe operaia sono ancora più evidenti in La 1100.
“È il tuo lavoro di catena che curva a poco a poco la tua schiena, neanche un minuto per ogni auto la catena è assai veloce e il lavoro ti ha condotto a odiare la 128“. Mentre pregusta un meritato riposo, però, trova la sua macchina bruciata, magari proprio nell’ambito di una contestazione operaia, che animava la Torino di quegli anni.
Mio Fratello è figlio unico, capolavoro del 1976, che fa seguito al grandissimo successo di “Ma il cielo è sempre più blu”(1975), è invece la storia di ognuno di noi: «deriso, calpestato, odiato» dalla società come dalla storia e privo di gratificazioni personali (“non ha mai vinto un premo aziendale”) Mario è disilluso di fronte alla realtà «perché è convinto che Chinaglia non può passare al Frosinone» e che anche «chi non ha letto Freud può vivere cent’anni ». Chiara critica alla psichiatria, che andava ad assumere un ruolo sempre più importante nella società, proponendosi come una sorta di panacea per tutti i mali. Ma Mario è anche convinto che, in una società che esalta il mito del progresso, esistano ancora «gli sfruttati malpagati e frustrati» . È visto di cattivo occhio dalla società, perché è diverso ed è l’unico che non si lascia omologare, anche se finirà per venirne travolto.
Sempre in questo album, troviamo ben tre canzoni che riportano il motivo della “rosa rossa”: Rosita, Cogli la mia Rosa d’amore, e Al compleanno della zia Rosina.
In Rosita la Rosa Rossa allude alla Massoneria: è il simbolo del potentissimo ordine massonico della Rosa Croce. Rino dice che quando te la presentano sembra bellissima, poi però un giorno scopri il suo lato oscuro ma a quel punto il tuo destino è definitivamente segnato come appare in Al compleanno della Zia Rosina: “non ci sarà avventura questo già mi calma. Vedo già la mia salma portata a spalle da gente che bestemmia che ce l’ha con me”.
Un brano in cui viene descritta mirabilmente la storia d’Italia è Aida. Il racconto è fatto attraverso gli occhi di una donna, che sfoglia «i suoi ricordi» , che sgrana i suoi rosari, che espone i suoi «vestiti di lino e seta» , ripercorrendo la sua storia come attraverso delle istantanee, a partire dalla grande guerra attraverso il nazi-fascismo fino al «ritorno in un paese diviso» tra l’ideale stalinista e la forte componente cristiana. Sullo sfondo si allargano le disuguaglianze sociali, mentre i politici stringono compromessi e il sistema democratico, tra incapacità e malaffare, stenta a decollare.
Spendi, Spandi, Effendi, appartenente all’abum Aida è invece una canzone dedicata alla crisi petrolifera degli anni 70. Qui viene rappresentata la figura dell’italiano medio, che, pur di avere un «litro di oro nero», sarebbe disposto anche a cedere “Cristina”, la sua compagna, al sultano (l’Effendi). Quest’ultimo infatti si arricchisce a dismisura, mentre il povero italiano è costretto a indebitarsi o a giocare d’azzardo per poter fare rifornimento alla propria auto. Il tutto per farsi bello agli occhi di una donna alla quale, però, ha dovuto già rinunciare: «a duecento c’è sempre una donna che t’aspetta, sdraiata sul cofano all’autosalone, e ti dice prendimi maschiaccio libidinoso coglione»
” C’è qualcuno che vuole mettermi il bavaglio! Io non li temo.
Non ci riusciranno, sento che, in futuro le mie canzoni saranno cantate dalle prossime generazioni. Che, grazie alla comunicazione di massa capiranno che cosa voglio dire questa sera. Capiranno e apriranno gli occhi, anziché averli pieni di sale”.
Queste parole pronunciate da Rino poco prima dell’esecuzione del brano Nun te reggae più, il 19 giugno 2010, suonano come una aperta denuncia del clima ostile che il cantante percepiva attorno a sé sia da parte del mondo dello spettacolo sia da parte del mondo politico.
Ostilità motivata dal contenuto irriverente delle sue canzoni e ancor più dalle allusioni, a volte nemmeno troppo velate, agli scandali e agli intrighi di potere che avvolgevano come in una coltre oscura quegli anni della nostra Repubblica.
Erano gli anni Settanta.
Dietro a melodie orecchiabili e a testi solo apparentemente nonsense e disimpegnati, le canzoni di Rino Gaetano rivelano ad un ascolto più attento un’analisi di realismo sociale.
In una intervista radiofonica concessa ad Enzo Siciliano il 15 luglio 1978, Rino Gaetano rivela il motivo per cui, pur scrivendo canzoni da lui stesso definite “evasive”, si occupava in realtà di problematiche sociali
“… c’era un periodo di boom economico in Italia, che ci ricordiamo tutti quanti, c’era Paul Anka che faceva Diana, quell’altro che faceva un’altra canzone divertente, Morandi che faceva Fatti mandare dalla mamma a prendere il latte, oggi il latte costa troppo quindi non si può assolutamente parlare di queste cose qui. E si parlava d’amore. Invece, dal momento che il boom economico non c’è più, ci sono dei problemi e chiaramente io, come uomo, non sono cieco. Però, nello stesso tempo, cerco di scrivere canzoni evasive, ma non essendo cieco sono costretto purtroppo a scrivere e cantare canzoni come Fabbricando Case, Stoccolma, Dans le château e Gianna.”
Le canzoni citate appartengono all’album più famoso e più provocatorio di Rino Gaetano che includeva al suo interno anche i cavalli di battaglia Nun te reggae più e Capo Fortuna.
In Fabbricando Case il tema è molto chiaro: la denuncia della speculazione edilizia massiva tipica di quegli anni grazie alla quale mafia, massoneria e palazzinari collusi in un sistema corrotto di mazzette e appalti, guadagnavano denaro e “odore di santità” realizzando le grandi opere pubbliche o costruendo case popolari.
La protagonista di Gianna è una ragazza che per emergere e ottenere una migliore posizione sociale è indecisa se sia meglio politicizzarsi oppure cercare di diventare una primadonna dello spettacolo. Ma alla fine sceglie di realizzare entrambe le sue aspirazioni partecipando ai festini dei politici e diventando una sorta di olgettina ante-litteram. Rino rivela in maniera irriverente i retroscena di quel mondo corrotto che nella vita notturna della Roma degli anni 70 tesseva gli interessi della politica intrecciandoli con quelli del mondo dello spettacolo.
In Nun te reggae più, la canzone che dà il titolo all’album, Rino spara a zero contro tutto e contro tutti, dai valori tradizionali della verginità e della virilità al mito del ’68, dai privilegi della casta politica a tutti i partiti dell’arco costituzionale (in modo particolare la Democrazia Cristiana, citata ben 6 volte nel testo, il Partito Comunista e quello Socialista, citati due volte), dal fascismo ai nomi più noti del mondo dell’Economia (Agnelli), della politica e della musica, dello spettacolo e del calcio.
In particolare, Rino si accanisce contro Vincenzo Cazzaniga, democristiano, manager della Esso e collaboratore dei servizi segreti americani, sospettato di essere coinvolto nel caso Mattei (secondo la ricostruzione fatta da Bruno Mautone, autore del libro Chi ha ucciso Rino Gaetano). D’altra parte, che Rino volesse colpire con la sua satira i servizi segreti sembrerebbe rivelato anche dal testo di un’altra canzone, Ok, papà, in cui c’è un chiaro riferimento alla Cia:
“Il vero metro è la ferrovia
che come la CIA te pò insegna’
che una differenza sostanziale e profonda
fra prima e seconda ci deve sta’.”
Quando nel testo di Nun te reggae più si parla di «P38 sulla spiaggia di Capocotta », il riferimento è probabilmente quello al caso irrisolto di Wilma Montesi, un caso che scatenò una vera e propria tempesta politica perché vi era stato il coinvolgimento del figlio del ministro Piccioni. Questo scandalo ebbe un grande clamore mediatico e scatenò una campagna di screditamento della DC di cui però pagarono le conseguenze anche i partiti della sinistra.
Nel testo di Capo Fortuna la satira di Rino si accanisce contro la figura del politico di tutti i tempi, che cerca di farsi amare dal popolo ma con la sua immagine raffinata e ricercata contraddice il suo programma politico e crea un’incolmabile distanza da quel popolo che intende rappresentare.
In realtà il protagonista della canzone, uscita nel ‘78, è la perfetta incarnazione di Enrico Berlinguer, segretario del Partito Comunista, che aveva notoriamente svestito i panni del rivoluzionario per indossare quelli del perfetto borghese impeccabile e raffinato.
Proprio l’anno precedente, Berlinguer aveva firmato il ben noto compromesso storico nell’ottica dell’eurocomunismo, ritenendolo l’unico modo possibile per accedere al potere. Tuttavia, tale politica pur avendo consentito per la prima volta nella storia del Comunismo in Italia la partecipazione al governo, aveva provocato vari malumori anche all’interno dello stesso Partito Comunista.
Molto chiara l’accusa di opportunismo nell’immagine del politico che «punta sul rosso» perché sa bene che è la strategia vincente, ma nella realtà opera scelte politiche moderate e antirivoluzionarie <<reprime rivolte e sommosse e cura la tosse alle 5 col tè>>
Ancora interprete del clima politico di quegli anni è il testo di E Berta filava. “Berta siamo un po’ tutti quanti noi che abbiamo scoperto i trucchi, i giochi di prestigio, i santi che si vestono d’amianto, gli eroi. Mi è servita per smitizzare i miti nazionali, come la patria e la famiglia”, questa la spiegazione che dà Rino della canzone e che è contenuta nel libro” Ma il cielo è sempre più blu. Pensieri, racconti e canzoni inedite”.
Come tutte le canzoni del cantautore crotonese si presta a più interpretazioni, che spesso si intrecciano con l’attualità politica. Le ipotesi principali, che ora analizzeremo sono due.
Secondo una prima analisi del testo, la protagonista sarebbe in realtà un protagonista, ossia Aldo Moro che in quegli anni aveva assunto il ruolo di grande burattinaio della politica italiana, artefice dell’alleanza coi socialisti e poi coi comunisti. E dunque grande “tessitore” di rapporti. Gino e Mario, coi quali Berta filava, potrebbero rappresentare i segretari dei vari partiti dell’arco governativo. Il santo che andava sul rogo sarebbe invece, di nuovo, Berlinguer. Che era inizialmente osteggiato sia dalla Fiat sia dal resto del mondo politico e che fu costretto a rinunciare al governo del Paese per senso di responsabilità.
L’analisi più convincente di questo testo sembra però un’altra. Secondo questa ipotesi la canzone farebbe riferimento allo scandalo Lockheed che sconvolse il Paese nel 1976 e travolse l’allora Presidente della Repubblica, Giovanni Leone, e coincise con uno dei periodi più drammatici della storia italiana. Gino e Mario sarebbero identificabili nei ministri Mario Tanassi e Luigi Gui, indicati come capri espiatori per coprire personaggi molto più importanti (Rumor? Leone stesso?). Per questo «il bambino non era di Mario e non era di Gino» . E Berta, che filava con tutti sarebbe Bert, nomignolo di Bert Gross, Presidente dell’importante compagnia aero-spaziale americana coinvolta nello scandalo.
Il 31 maggio del 1981 Rino Gaetano fa la sua ultima apparizione televisiva cantando E io ci sto, canzone in cui esprime il disagio per la situazione in cui vive osteggiato dal mondo della politica e della musica ma nella quale dà voce anche al desiderio di cambiamento che ha il Paese e di cui lui vuole farsi interprete perseverando nella propria lotta contro tutto e tutti attraverso le sue canzoni.
Esattamente due giorni dopo, mentre alle tre del mattino torna a casa a bordo della sua auto invade con la sua vettura la corsia opposta urtando violentemente contro un camion. Le circostanze della morte restano misteriose e ricordano con precisione profetica quasi agghiacciante la morte di Renzo, il protagonista de La ballata di Renzo, scritta intorno al 1970 ma mai incisa.
Rino fu rifiutato da ben cinque ospedali prima di trovare un posto disponibile, ma era ormai troppo tardi e morì di lì a poco, alle sei del mattino.
“La strada molto lunga
s’andò al san Camillo
e lì non lo vollero per l’orario.
La strada tutta scura
s’andò al san Giovanni
e li non lo accettarono per lo sciopero.
….
Con l’alba,
le prime luci
s’andò al Policlinico
ma lo respinsero perché mancava il vice Capo
In alto,
c’era il sole
si disse che Renzo era morto
ma neanche al cimitero c’era posto.”
Anche per Rino ci furono problemi di sepoltura: infatti dapprima fu tumulato nel piccolissimo cimitero di Mentana. E di solo qualche mese dopo fu trovata una sistemazione più degna del suo ruolo di personaggio del mondo della musica al Cimitero Monumentale del Verano.
di Giacomo Bonetti