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Perchè la paura della Cina porta Biden in Vietnam

Joe Biden visiterà il Vietnam. Da nemici giurati i due Paesi si trovano a convergere sul dossier Cina, che preme sempre di più su Hanoi

In questo report:

  • Come leggere la visita di Biden in Vietnam
  • La sicurezza vietnamita passa per il contenimento della Cina
  • Usa-Vietnam: da nemici a quasi amici

Il dieci settembre il Vietnam ospiterà ad Hanoi il presidente degli Stati Uniti Joe Biden, che incontrerà il segretario generale del partito comunista ed ex presidente del Vietnam Nguyen Phu Trong e altre cariche apicali dello Stato.

I temi sul tavolo saranno il cambiamento climatico, l’economia, la delicata questione della stabilità regionale e la tecnologia – il Vietnam è infatti una delle località preferite dalle aziende tech americane impegnate nel friendshoring dalla Cina verso altri Paesi asiatici meno ostili all’agenda americana.

La visita si intende foriera di ulteriori passi avanti nella cooperazione tra i due Paesi, che dalla condizione di arcinemici negli anni Settanta passò a quella di partner nei primi anni Duemila.

Un processo graduale, cominciato con le esercitazioni militari congiunte nel 2007, seguite dagli accordi commerciali nel 2013-14 e dalla storica visita della portaerei americana Uss Carl Vinson nel 2018. Oggi, seppure con tutte le riserve del caso, Hanoi e Washington sono uniti dal timore verso la percepita minaccia cinese.

La sicurezza vietnamita passa per il contenimento della Cina

Invero, per il Vietnam la preoccupazione è quella di essere circondata e inglobata giocoforza nella sfera d’influenza della Repubblica Popolare qualora Cambogia e Laos, già pendenti verso Pechino, diventassero a tutti gli effetti “provincie” del suo impero, e le sue acque rivierasche cadessero sotto il completo controllo della marina cinese, impegnata nella realizzazione della “linea dei nove tratti”.

Questo progetto dovrebbe garantire alla Repubblica Popolare il controllo della stragrande maggioranza del Mar Cinese Meridionale, che, a dimostrazione della contesa circa questo specchio d’acqua, nella cultura vietnamita viene chiamato “Mare dell’Est”, mentre in quella filippina “Mare delle Filippine Occidentale”.

Alcune indiscrezioni parlano ormai quasi per certo della base navale cambogiana di Ream come futuro avamposto e punto d’appoggio della flotta cinese nell’Indo Pacifico. Inoltre, Pechino procede a ritmo sempre più rapido la militarizzazione del Mar Cinese Meridionale tramite la creazione e l’ampliamento di atolli affioranti in vere e proprie fortezze.

Protagoniste sono le isole Paracelso, contese tra Taiwan, Cina e Vietnam, ma amministrate de facto dalla Cina quando nel 1974, dopo un breve scontro navale con l’allora Vietnam del sud, le occupò. Le ultime immagini satellitari hanno scovato una pista d’atterraggio lunga il doppio di una portaerei sull’isola di Tritone, che da essere un piccolo atollo disabitato delle isole Paracelso appare oggi occupato da alloggi, un porto artificiale, un grande edificio amministrativo e addirittura un campo da basket

L’Isola di Triton oggi e nel 2017; si notino le strutture militari costruite negli ultimi mesi | foto da Planet Labs/Csis

Seppure la pista d’atterraggio non sia abbastanza lunga da consentire l’utilizzo di caccia a reazione, può ospitare velivoli, compresi droni, a decollo e atterraggio breve.

Nei giorni scorsi, precisamente il 28 agosto, è avvenuto proprio in queste acque l’ennesimo scontro tra la guardia costiera cinese e dei pescherecci vietnamiti che, secondo le autorità di Pechino, si aggiravano in acque a loro interdette nei pressi della disputata Woody Island, sede di un altro avamposto militare cinese.

I pescatori sono stati aggrediti con dei cannoni ad acqua e alcuni di loro sono stati feriti. Niente di nuovo se contiamo che dal 2014 le imbarcazioni vietnamite distrutte dalla guardia costiera cinese si aggirano intorno alle 100 unità

Il senso del Vietnam per gli Stati Uniti

Dalla parte di Washington la questione riguarda invece la politica del contenimento, di cui il Vietnam rappresenta l’ultimo tassello, ricoprendo una posizione geografica congeniale che permette di sorvegliare l’ingente traffico proveniente dallo stretto di Malacca, snodo cruciale nelle vie di comunicazione marittime dell’intero globo e potenziale punto di soffocamento energetico della Repubblica Popolare se interdetto.

Dunque, si tratta di una relazione di convenienza per entrambe le parti, che vede Hanoi interpretare fedelmente quella che l’attuale Segretario generale, in carica dal 2011, definì in passato come la “politica del bambù”. Un congegno retorico per giustificare l’indole realista della politica vietnamita: come il bambù affonda le radici nelle profondità del sottosuolo, allora gli steli avranno libertà a mezz’aria di muoversi liberamente, seguendo la brezza geopolitica più conveniente per loro.

In altre parole, Hanoi assume una postura realista nelle questioni internazionali. Difatti, sfrutta il partner americano ma non si adegua a tutte le sue direttive, mantiene un raggio d’azione proprio, a partire dell’assoluta contrarietà nel condannare in sede onusiana l’invasione russa dell’Ucraina.

Nonostante la nuova sintonia con Washington, il Vietnam continua a macinare affari con Mosca in materia di sistemi d’arma – circa il 70% delle importazioni militari – e non si esime dal condannare le Filippine, ora stretto alleato statunitense, circa la disputa delle isole Spratly.

Attacco della guardia costiera cinese contro un peschereccio filippino (agosto 2023) | Wikimedia Commons

Anche le Filippine accusano frequentemente aggressioni tramite cannoni ad acqua da parte della guardia costiera cinese – l’ultima proprio ad agosto – eppure il ministero degli Esteri vietnamita il 18 maggio, tramite un comunicato, accusava Manila di aver delimitato con una serie di boe gli atolli rivendicati nelle isole Spratly.

Con questo gesto Hanoi rivendicava una propria autonomia fuori dal campo statunitense che vuole tutti gli alleati regionali fermi e compatti contro la Repubblica Popolare.

Per concludere, la storica visita di Biden in Vietnam va letta semplicemente come la necessità di mantenere in buona salute lo stato delle relazioni tra i due Paesi e del fronte anticinese nel suo complesso. Difatti, la minaccia sinica da sola non basta.

È l’enorme sforzo diplomatico statunitense a mantenere compatti, per quanto possibile, Stati con profonde divergenze tra loro. Tra questi Giappone e Corea del Sud, storicamente diffidenti l’uno dell’altro, ma anche Filippine e Vietnam.

Michele Ditto

Laureato in Scienze Politiche e delle Relazioni Internazionali presso l'Università Cattolica di Brescia. Attento ai fenomeni e alle tendenze geopolitiche. Lettore ostinato, oltremodo curioso e convinto che l'Italia necessiti di un'informazione seria e approfondita.

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