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Il boicottaggio di Amazon ed il rifiuto di un mondo che cambia
Il boicottaggio di Amazon cavalca il malcontento della pandemia e distrae dai veri problemi del paese «Caro Babbo Natale, quest’anno prendiamo l’impegno di un #NoelSansAmazon» scrivono i firmatari della petizione nata in Francia con l’intento di boicottare la piattaforma di e-commerce americana. Tra loro troviamo il sindaco di Parigi, Anne Hidalgo, associazioni di categoria come […]
Il boicottaggio di Amazon cavalca il malcontento della pandemia e distrae dai veri problemi del paese

«Caro Babbo Natale, quest’anno prendiamo l’impegno di un #NoelSansAmazon» scrivono i firmatari della petizione nata in Francia con l’intento di boicottare la piattaforma di e-commerce americana. Tra loro troviamo il sindaco di Parigi, Anne Hidalgo, associazioni di categoria come la Confédération des Commerçants de France o il sindacato dei librai, e associazioni ambientaliste come Greenpeace. Il proposito è quello di incentivare gli acquisti di prossimità a discapito della società Jeff Bezos, rea di distruggere tra i 2,2 e i 4,6 posti di lavoro per ogni suo nuovo posto creato, di applicare una commissione del 15% per ogni vendita e di annoverare solo il 4,7% delle imprese francesi sul totale di 210mila venditori presenti su Amazon.fr (come se fosse colpa di quest’ultima se il restante 95,3% ha deciso di non affiliarsi). Ça va sans dire, l’iniziativa non ha tardato ad essere abbracciata anche in Italia. Figuriamoci se potesse scappare un’occasione così succulenta per un po’ di propaganda in salsa Black Friday.

Nel nostro paese è stato Salvini a perorare la causa dei commercianti sotto casa su Twitter: «Natale senza Amazon, favorendo gli acquisti nei negozi, che cosa ne pensate?». Ma già qualche settimana prima di questa “rivolta”, c’era stata una proposta di legge del presidente del Piemonte, Cirio, per imporre una tassazione straordinaria alle piattaforme di e-commerce operanti in Italia al fine di redistribuire l’introito ai piccoli esercizi commerciali.

Tutto molto nobile se ci trovassimo nella foresta di Sherwood. Ma andando a leggere i dati, questo Hoodismo risulta essere l’ennesima occasione di propaganda mirabilmente assistita dalla pandemia, nelle intenzioni, e controproducente proprio nei confronti dei piccoli esercenti che tenta di salvaguardare, negli effetti. Per quanto anomalo possa risultare, uno dei fattori che contribuiscono alla forza di Amazon è proprio la presenza di piccole-medie imprese manifatturiere e commerciali sulla sua piattaforma, ed in particolare nella loro capacità di rinnovare continuamente l’offerta di prodotto. Sia sul mercato locale, al quale sarebbero relegate senza partnership con Amazon proprio a causa delle loro dimensioni, ma soprattutto sul mercato potenzialmente globale.

Parola ai dati

Come testimonia il Report 2020 fornito dalla società americana, dal 1° giugno 2019 al 31 maggio 2020, le oltre 14.000 piccole e medie imprese italiane affiliate hanno registrato più di 500 milioni di euro di vendite all’estero, per una media di oltre 75 mila euro ciascuna, e hanno creato oltre 25 mila posti di lavoro. Tra queste, circa 600 attività hanno superato il milione di dollari di vendite. Negli ultimi dieci anni ci sono stati, solo in Italia, 5,8 mld di investimenti con la conseguente creazione di 8.500 posti di lavoro. Nel 2019, sono stati investiti in Europa oltre 2,2 miliardi di euro in ambiti che spaziano dalla logistica alla formazione di persone per sostenere i propri partner di vendita, quasi tutti piccole e medie imprese. E 900 mila sono i partner indipendenti (non solo venditori o produttori) che collaborano con Amazon. Una visione disaggregata dei dati ci mostra che fra le prime tre regioni per numero di imprenditori digitali, dopo la Lombardia abbiamo due regioni del centro-sud, Campania (oltre 2000) e Lazio (oltre 1500). Stesse regioni che compaiono sul podio della classifica per vendite all’estero, ma con la Campania al primo posto (oltre 75 milioni) seguita da Lombardia (con risultati poco minori) e Lazio (oltre 50 milioni). Inoltre, Amazon valorizza concretamente il Made in Italy attraverso una vetrina dedicata ai prodotti provenienti da dieci regione del nostro paese. Un milione di prodotti ed eccellenze regionali di oltre 2500 piccoli e medi imprenditori ed artigiani locali sono valorizzate proprio in questa sezione. L’ultimo dato che rende infondata qualunque accusa di cannibalismo commerciale del colosso americano, è che proprio negozi e rivenditori rappresentano il 60-70 percento delle pmi sulla piattaforma, con un residuale trenta percento circa rappresentato da produttori, che si pensa invece siano la maggioranza.

Ecco che quindi, alla luce dei dati, questa crociata infiammata dal Covid non sembra altro che l’ennesima manifestazione di quel rifiuto ad accettare un mondo che cambia e che va avanti, nel nostalgico ricordo dei bei tempi che furono. Un tentativo ipocrita di lasciare il mondo ingessato affinché nessuno perda, affinché nessuno venga lasciato indietro. Una vanagloriosa lotta con il popolo e per il popolo (da sempre lo scudo dei peggiori) solo per ostentare la propria superiorità morale.

L’origine della forza di Amazon

Amazon viene condannata, in primis, per aver prosperato durante la pandemia; come se fosse una colpa quella di essere riuscita a rimanere altamente operativa per tutti quei consumatori che durante il lockdown avevano bisogno di comprare, ma che non potevano rivolgersi ad altri purtroppo costretti a chiudere. Evidentemente, essere riuscito a dar vita ad un modello di business snello, resiliente e in grado di adattarsi persino ad una chiusura quasi totale, sembra essere un peccato. Forse, per i suoi inquisitori Amazon avrebbe dovuto chiudere per solidarietà, oppure redistribuire i nuovi introiti ai commercianti chiusi ai quali aveva sottratto i clienti. Chi lo sa. Anche Jeff Bezos è partito da un locale ed un computer per la sua attività online di vendita di libri (celebre è la foto degli inizi), ma non sono state pratiche anticoncorrenziali o altre pandemie a renderlo l’uomo più ricco del mondo. Sono stati i consumatori che hanno legittimato il valore delle sue idee innovative scegliendolo. È stata la filosofia orientata all’assoluta soddisfazione del cliente, alla tempestività nel servizio, alla completa trasparenza a rendere la società di Seattle quello che è oggi. Bezos è stato premiato per la sua visione, per la sua capacità di comprendere l’immenso potenziale della digitalizzazione che abbatte i costi fissi. E la pandemia è stata l’occasione in cui questa potenzialità si è manifestata massimamente, permettendo ad Amazon di rimanere operante quando tutti dovevano chiudere. Non c’è nessuno da boicottare se molti imprenditori tradizionali hanno scelto per miopia o per impossibilità, di non aderire ad un nuovo paradigma di cui la società americana insieme ad altre è stata pioniera.

Il primo ufficio di Jeff Bezos (Fonte: Corriere della Sera)

L’ennesimo tentativo di rifuggire la realtà

Questa avversione al cambiamento che produce vincitori e vinti (è stato e sempre sarà così), in favore di una narrazione nella quale esistono solo vincitori è estremamente dannosa perché illude le persone di un mondo che non può esistere. Queste rivendicazioni e queste ritorsioni si allineano perfettamente allo spirito di iniziative come i sussidi ai giornalai in Emilia-Romagna proposti la scorsa estate, o come la recente patrimoniale proposta dalla Boldrini. Il principio è sempre quello di far restituire ai ricchi il maltolto e di provare a preservare quei simulacri di un’età dell’oro non ancora macchiata dalla disonorevole logica del profitto; in cui i legami della comunità erano autentici perché andavamo a scambiare quattro chiacchiere con il panettiere o il giornalaio sotto casa. Nostalgismo e luddismo d’accatto. Secondo questa logica di preservazione dello status quo avremmo dovuto osteggiare l’avvento dell’automobile per tutelare gli allevatori di cavalli e i produttori di carrozze; oppure opporci ai telefoni per salvaguardare i produttori di inchiostro e lettere. Qualcuno oggi direbbe mai che l’apertura dei supermercati (gli Amazon analogici) negli anni 50’ sia stata una disgrazia perché ha prodotto la chiusura di decine di bottegai di quartiere? Non si ricordano proteste contro Netflix che stava progressivamente spodestando Blockbuster nel mercato dell’home video perché aveva compreso le potenzialità della digitalizzazione. Forse perché era una lotta fra ricchi, chissà.

Questa iniziativa, soprattutto in Italia, ha il sapore di una caccia alle streghe ulteriormente alimentata da un evento mai vissuto prima come la chiusura forzata, che a molti pare un’ingiustizia alla quale come al solito i ricchi riescono a sottrarsi. È innegabile che gli esercenti siano stati danneggiati dalla serrata, e che per questo il governo debba compensarli oppure provare a fare di tutto per permettere loro di riaprire durante il periodo natalizio con tutte le possibili precauzioni. Soprattutto per provare a rimarginare uno squilibrio imposto da scelte di ufficio, come lucidamente dichiarato da Confesercenti. E non c’è dubbio alcuno che molti consumatori sceglieranno di privilegiare gli acquisti presso esercizi della loro realtà cittadina per spirito di comunità e di solidarietà, e non perché spinti da una ridicola iniziativa che, in verità, non fa altro che imporre costi più alti e minore scelta ai medesimi in nome di una vacua e strumentale difesa delle piccole attività che proprio Amazon ha dimostrato indubitabilmente di voler aiutare. Ed è giusto così, è giusto che siano i consumatori a decidere autonomamente se tollerare un prezzo più elevato pur di sostenere il negozio al quale sono affezionati.

Siamo di fronte all’ennesimo tentativo della classe dirigente italiana di rifuggire la responsabilità di aver alimentato una realtà che avversa il cambiamento, la competizione e la predisposizione ad essi come fattori di miglioramento. Un sistema che dissangua chi ha successo e tenta di ingrandirsi nel tentativo di fare meglio, e che privilegia logiche corporative, narrazioni su passate età dell’oro mai esistite e possibilità di non avere mai sconfitti (dall’Eden siamo già stati scacciati). Tutto questo ha fatto credere a molti che i mutamenti che viviamo oggi siano il male, e che l’unico modo per tornare a vivere bene sia contrastarli provando a riportare in vita il passato, semplicemente fermandosi e riavvolgendo il nastro della storia.

di Enrico Ceci

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Enrico Ceci

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Ciao, sono Enrico e sono capo redattore della sezione economia per Aliseo. Classe '95, laureato in economia e in studi europei. Nei miei articoli, legati principalmente a temi economici ed energetici, cerco di offrire un punto di vista diverso, sempre e solo attraverso il supporto dei dati. Seguendo lo spirito di Aliseo, il mio intento è arricchire tutti coloro che dedicheranno un momento del loro tempo alla lettura dei miei contributi.

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