Nel novembre del 2021 Christian Schmidt, lโalto rappresentante per la Bosnia ed Erzegovina, definiva il paese balcanico nel ยซmomento di maggiore minaccia esistenziale dalla fine della guerraยป. Oggi, a un anno e mezzo di distanza da queste dichiarazioni e in uno scenario geopolitico europeo incendiato dal conflitto in corso in Ucraina, la situazione sembra essere a un passo dal punto di non ritorno, con la ricomparsa delle tensioni etniche mai veramente sopite nonostante i quasi trentโanni passati dalla fine della guerra.
La divisione del potere dopo Dayton: lo specchio di una societร ancora divisa
Per capire le cause dellโinfinita crisi bosniaca bisogna analizzare la demografia del paese e la sua peculiare struttura di potere (molto simili per certi aspetti al contesto libanese) concepita e resa effettiva dopo la firma dellโAccordo di Dayton, lโaccordo che ha messo fine al conflitto nel paese nel 1995.
La presidenza del paese รจ tripartita: ogni quattro anni vengono eletti tre presidenti differenti che si alternano nella carica ogni otto mesi. I tre presidenti sono eletti ognuno in rappresentanza di uno dei tre maggiori gruppi etnici del paese, e quindi un croato, un serbo e un bosgnacco (termine con cui si identificano le persone di lingua slava e di religione musulmana).
Dal punto di vista territoriale invece, il paese รจ diviso in due entitร statali. Il 51% del territorio nazionale รจ occupato dalla Federazione di Bosnia ed Erzegovina โ denominata informalmente anche Federazione croato-musulmana e con una popolazione a maggioranza bosgnacca (nonostante ampie aree a maggioranza croata) โ mentre il restante 49% รจ occupato dalla Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina (nota come Republika Srpska in lingua serba) a maggioranza etnica serba.
Entrambe queste entitร possiedono un proprio parlamento autonomo โ bicamerale nella federazione croato-musulmana, monocamerale nella Republika Srpska โ che affianca le due camere dellโAssemblea parlamentare di Bosnia ed Erzegovina, un proprio governo e un proprio presidente oltre che corpi di polizia e sistemi postali indipendenti tra loro.
Esiste, in realtร , anche una terza unitร amministrativa, il Distretto di Brฤko, che formalmente รจ parte di entrambe le entitร sopracitate ma risulta de facto autonoma. La sua creazione venne decisa nel 1999 dallโallora alto rappresentante per la Bosnia ed Erzegovina Carlos Westendorp per consentire di collegare il Cantone della Posavina (exclave della federazione croato-musulmana) al resto della federazione grazie un territorio neutrale, impedendo in tal modo alla Republika Srpska di avere un continuum territoriale che avrebbe potuto alimentare le sue istanze separatiste.
La Republika Srpska vista dalla Russia
Proprio queste istanze separatiste sono la grande spina nel fianco del governo centrale di Sarajevo e un potenziale elemento di destabilizzazione in tutta lโarea balcanica. La componente serba del paese, sin dal 1995, mal sopporta il governo bosniaco e ambisce, se non alla riunificazione con Belgrado, quanto meno allโindipendenza e lโattuale presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik, รจ la personalitร che meglio rappresenta questo spirito.
Dodik โ giร presidente dellโentitร autonoma dal 2010 al 2018 e membro serbo della presidenza tripartita dal 2018 al 2022 โ non ha mai nascosto le sue aspirazioni separatiste, che molte volte sono sfociate in atti di pura provocazione nei confronti del governo centrale e della comunitร internazionale: ha piรน volte auspicato una ยซseparazione pacificaยป da Sarajevo (in violazione dellโaccordo di Dayton), si รจ piรน volte rifiutato di definire i fatti di Srebrenica come โgenocidioโ (come invece riconosciuto dalle Nazioni Unite) e lo scorso 9 gennaio ha conferito a Vladimir Putin la piรน alta onorificenza dello Stato per il suo supporto alla causa separatista, confermando i forti legami tra Banja Luka e Mosca.
Per il Cremlino la prioritร รจ evidente: mantenere ottimi i rapporti con Serbia e Republika Srpska per allontanare i due paesi dall’orbita occidentale, ostacolando riforme e accordi che ne favorirebbero l’avvicinamento. Inoltre, lo status quo attuale gioca a favore di Mosca: rimanendo il ventre molle dโEuropa, Banja Luka rappresenta un elemento di instabilitร continua nella regione indebolisce non solo tutti i paesi dell’area, ma anche lโUe.
Anche i rapporti stretti con la โmadreโ Serbia, storica roccaforte filorussa, hanno un ruolo centrale nellโinstabilitร bosniaca e aiutano lโoperato eversivo di Mosca. La Republika Srpska riceve ogni anno ingenti investimenti da Belgrado: lo stesso governo serbo nel 2021 ha annunciato un piano di investimento da 787 milioni di euro da elargire nei prossimi anni.
Tale dipendenza, economica e ideologica, dal blocco russo-serbo allontana Sarajevo dallโOccidente e fa della minaccia secessionista come una spada di Damocle sulla testa della classe politica bosniaca, minaccia che si fa sempre piรน concreta in un contesto belligerante come quello creato dalla guerra in Ucraina che aggiunge ulteriore benzina sul fuoco delle violenze.
Sarajevo nellโUnione europea: un futuro possibile?
Nonostante tutte le problematiche citate, il 15 dicembre scorso il Consiglio europeo ha ufficialmente concesso al paese lo status di paese candidato ad entrare nellโUnione europea. La notizia รจ senza dubbio rilevante e incoraggiante ma va inquadrata in un contesto piรน ampio nel quale la Bosnia-Erzegovina รจ solo lโultimo paese balcanico di una lunga lista che giร si trova a questo punto dellโiter di ingresso nellโUnione.
Lo status di paese candidato viene concesso a quei paesi la cui richiesta formale di ingresso nellโUnione viene approvata allโunanimitร dal Consiglio europeo. Dopo tale nomina รจ necessario stabilire la data di inizio dei negoziati ufficiali, ovvero tutta quella lunga procedura atta a stabilire se il paese candidato rispetta i criteri dโingresso (i cosiddetti criteri di Copenaghen) prima dellโentrata ufficiale e definitiva nellโUe.
I tempi per completare lโiter burocratico di adesione appena descritto variano da paese a paese โ considerato anche che ogni passaggio deve essere sempre approvato allโunanimitร dagli organi istituzionali europei โ ma in media essi superano i dieci anni. LโAlbania, ad esempio, gode dello status di candidato dal 2014 ma i negoziati per lโingresso sono iniziati solo nellโestate del 2022 insieme alla Macedonia del Nord, che si trovava in questo limbo burocratico addirittura dal 2004.
Tempistiche simili si riscontrano anche per le candidature di Montenegro e Serbia โ ancora nel pieno dei negoziati โ e della Croazia, che ha completato lโingresso nel 2013 dopo un percorso durato poco meno di un decennio.
Tuttavia, la guerra in Ucraina potrebbe giocare un ruolo rilevante nel futuro dei Balcani nellโUnione europea. Questโultima sembra star capendo lโimportanza strategica che la regione ricopre per gli equilibri del continente e avverte la necessitร di aumentare la propria influenza in unโarea ancora cosรฌ suscettibile alla proiezione russa, come testimoniano le misure intraprese a Banja Luka, e in generale in opposizione ai sempre piรน presenti attori internazionali che vi operano.
Non รจ un caso che Bruxelles, nellโarco di pochi mesi, abbia accettato la candidatura di Sarajevo โ dopo che era rimasta in sospeso per quasi sette anni โ e che abbia sbloccato i negoziati con Tirana e Skopje. Lโimpressione generale รจ che lโUnione europea voglia accelerare le procedure di adesione di questi paesi per evitare che si crei un contesto simile a quello del Donbass in Ucraina o quello della Transnistria in Moldavia.
Ma lโoperato di Bruxelles, oltre ad essere in ritardo rispetto agli altri attori globali, potrebbe non essere sufficiente: fintanto che una personalitร come Dodik rimarrร influente nel paese e ostacolerร con ogni mezzo lโingresso di Sarajevo nellโUe, la candidatura bosniaca sarร debole.
Gli analisti piรน scettici ritengono che sia impossibile lโingresso della Bosnia-Erzegovina con lโattuale assetto istituzionale; realisticamente parlando, si tratterร di un processo lunghissimo e che renderร il paese un possibile terreno di scontro tra potenze regionali e globali nel prossimo futuro.
Foto in evidenza: Kremlin.ru, CC BY 4.0, https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Milorad_Dodik_and_Vladimir_Putin_(2016-09-22)_01.jpg
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