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I carri armati all’Ucraina raccontano cosa si aspetta l’Occidente dalla guerra

Challenger, Leopard e Bradley servono se Kiev deve combattere battaglie, non assedi. Tre ipotesi per il futuro del conflitto

carri armati ucraina

Challenger, Leopard, Bradley e altri. L’Occidente fornirà all’Ucraina i suoi carri armati da battaglia. Dopo un anno di reticenze, per gli alleati di Kiev sembra arrivato il momento della luce verde all’invio dei veicoli da combattimento tanto agognati dall’establishment militare ucraino. Con le dovute accortezze, si intende. Dagli Stati Uniti infatti non arriveranno i carri Abrams, mentre da Berlino il Ceo di Rheinmetall fa sapere che “anche se la decisione di mandare i nostri Leopard a Kiev arrivasse domani, la spedizione richiederà fino all’inizio dell’anno prossimo”. Nondimeno il cambio di passo è sintomatico della visione occidentale del momento della guerra.

La Russia contro di noi. Noi contro la Russia. Confezionare la narrativa bellica è esercizio tanto necessario quanto complesso in tempi di conflitto. Compito dell’industria culturale è semplificare sviluppi, schieramenti e origini delle vicende belliche con lo scopo di renderle intellegibili all’opinione pubblica di riferimento, in conformità con quanto domandano apparati e decisori. La semplificazione attuata per la guerra in Ucraina tende – a grandi linee – a delimitare due campi avversi, quello russo e quello occidentale. Schieramenti che ricalcano la realtà dei fatti della sfera politicao-diplomatica, di meno quella militare.

Spesso si tende a sovrapporre l’agenda occidentale – leggasi statunitense – a quella ucraina. Incapaci di cogliere i punti di rottura, talvolta evidenti e persino consegnati alle pagine dei giornali, ci figuriamo che i piani di Washington siano quelli di scacciare i russi dall’Ucraina e restaurare i confini precedenti alla secessione del Donbass e all’occupazione della Crimea. Realtà dei fatti smentita tanto dal tipo di forniture militari quanto dalle frequenti esternazioni degli alti decisori americani in merito alle possibili vie di uscite dalla crisi.

Carri armati occidentali in Ucraina: a che punto siamo

Stando al Kiel Institute for the World Economy gli aiuti militari inviati in Ucraina – tra erogati e promessi – ammontavano a circa 38 miliardi di dollari in data 7 dicembre 2022. È probabile che l’anno corrente vedrà un aumento sostanzioso, a partire dal nuovo pacchetto di aiuti americano annunciato la settimana scorsa (3 miliardi di dollari) e dalla decisione, sempre statunitense, di inserire un fondo di circa 45miliardi di dollari per l’assistenza militare a Kiev nel piano della spesa pubblica per il 2023.

Insieme al sistema difensivo Patriot – “punto forte” del penultimo pacchetto, reso pubblico a metà dicembre – gli Stati Uniti forniranno all’Ucraina 50 veicoli da combattimento M2 A2 Bradley. Si tratta di veicoli corazzati leggeri ma ben armati, che oltre a un cannone automatico da 25mm sono equipaggiati con un paio di missili guidati Tow. Arriveranno accompagnati da un centinaio di trasporti corazzati M-113 e da altrettanti veicoli da ricognizione Humvee.

M2 A2 Bradley americano in Iraq

Sempre nei primi giorni dell’anno anche Parigi ha deciso di inviare i suoi “carri” in Ucraina. Gli Amx-10 Rc sono veicoli corazzati da ricognizione armati con un cannone da 105mm, che consente di svolgere anche ruoli di supporto di fuoco. Sono veicoli datati – l’esercito francese li sta sostituendo – ma affidabili e già rodati sul campo. Nello spazio di due mesi dovrebbero essere consegnati insieme a una cinquantina di veicoli corazzati per il trasporto truppe Bastion Acmat.

Veri e propri carri armati da battaglia – parlando di modelli prodotti in occidente, in quanto carri sovietici sono già stati inviati da buona parte dei paesi ex sovietici – sono stati promessi per il momento solo da Londra e da Varsavia. La Polonia ha fatto sapere che intende donare a Kiev una compagnia di Leopard 2, a patto che gli alleati della Nato acconsentano a creare “un’alleanza internazionale” che abbia lo scopo di rifornire l’Ucraina di nuovi carri armati da prima linea. A rispondere presente, per il momento, è stato soltanto il Regno Unito, che sabato scorso ha confermato che un’altra compagnia (14 unità) di carri Challenger 2 è in partenza per il fronte, insieme ad alcuni obici motorizzati As90.

Con le consuete reticenze, anche Berlino si muove. A onor del vero bisogna precisare che la Germania – nonostante le accuse di complicità con il Cremlino – è il secondo donatore di sistemi d’arma all’Ucraina dall’inizio del conflitto (2,3 miliardi di dollari). La settimana scorsa è stato annunciato un nuovo pacchetto di aiuti che oltre a una seconda batteria antimissile Patriot include 40 veicoli corazzati Marder.

Sul fronte dei carri armati veri e propri, la Germania mette le mani avanti. Rheinmetall afferma che in ogni caso ci vorrebbe almeno un anno per farli arrivare al fronte a causa delle riparazioni necessarie a renderli operativi – una “scusa” assolutamente credibile date le terribili performance dell’equipaggiamento tedesco in alcune recenti esercitazioni.

Alcuni funzionari francesi intervistati da Politico.eu affermano però che l’Eliseo sta facendo pressioni perché Scholz accorci il più possibile i tempi e decida di inviare i Leopard 2 tedeschi in Ucraina. Le dimissioni della ministra della Difesa Christine Lambrecht (tutt’altro che un falco) potrebbero andare in questa direzione.

Per il momento il primo banco di prova per capire quale sarà la linea tedesca è la decisione sull’invio dei carri polacchi. I Leopard di Varsavia infatti sono prodotti in Germania e non possono essere riesportati senza il consenso della casa produttrice. È plausibile che dopo qualche tentennamento – esemplificato dai portavoce del governo che si dicono all’oscuro di una qualsiasi discussione sul tema – Berlino risponda positivamente. Secondo il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba anche la Finlandia e altri tre paesi si sarebbero detti disponibili a fornire gli stessi carri da battaglia e sarebbero pronti ad annunciarlo pubblicamente una volta che la Germania avrà dato il suo placet alla Polonia.

Quanti sono i Leopard negli inventari dei paesi occidentali

Le forniture dei veicoli sono state annunciate nello spazio di circa dieci giorni ed è probabile che – come per altri assetti – rappresentino la “rottura del ghiaccio” e siano destinati a essere seguiti da partite più numerose. Certo, non mancheranno problemi logistici. Difficili da spostare e consegnare, i carri richiedono anche un addestramento di diverse settimane (se non diversi mesi) per essere impiegati. Inoltre, una volta al fronte, è possibile che la compresenza di così tanti veicoli diversi – che si aggiungono a vecchi carri sovietici, blindati australiani e trasporti truppe canadesi – renda più complicate le operazioni.

L’invio di veicoli corazzati occidentali in Ucraina è importante per una serie di motivi. Sul piano numerico, le forniture annunciate, per quanto non irrilevanti, non bastano a spostare gli equilibri (specie alla luce del tempo che servirà ad approntare le brigate corazzate). Probabilmente nemmeno le 300 unità richieste da Kiev sarebbero sufficienti (forse il doppio). Allo stesso tempo, l’Occidente però si aspetta che Kiev a breve avrà bisogno di mobilità e potenza di fuoco corazzata: una “scommessa” che può rivelare sul momento della guerra molto di più delle confuse notizie che arrivano dal campo.

La posizione americana

Gli apparati americani per il momento lasciano intendere che congelare il conflitto nello status quo non è soluzione sgradita. Posizione esplicitata, tra gli altri, dal capo di Stato maggiore Mark Milley, che a novembre parlava dell’impossibilità di vincere il conflitto sul campo e esortava Kiev a sfruttare il momento positivo per trattare. Dichiarazione che suscitò le ire di ucraini e europei dell’est, costringendo il generale a una serie di precisazioni molto poco convincenti.

Allo stesso tempo servizi e burocrazie americane hanno consegnato ai loro media di riferimento – Washington Post e New York Times su tutti – scottanti dossier sul coinvolgimento di Kiev in azioni scomode da giustificare (si pensi l’attentato al ponte di Kerch o quello contro Daria Dugina) quando gli ucraini si mostravano troppo autonomi nel pianificare le operazioni militari. Per il momento, in Ucraina Mosca si dissangua economicamente e fino a che veste i panni dell’invasore senza scrupoli si vedrà chiuse le porte delle diplomazie europee. E tanto basta.

Sia il Washington Post che il New York Times, da sempre “voce” mediatica degli apparati Usa, in occasione dell’attacco al ponte di Crimea, confermarono (o quasi) la versione russa

Le armi fornite all’esercito di Kiev, al netto della retorica, rispecchiano questa realtà. Finchè si tratta di proiettili, sistemi di difesa antiaerea e pezzi d’artiglieria per rispondere al fuoco russo, i cordoni della borsa sono laschi. Quando gli ucraini chiedono di più, spesso Washington fa spallucce e prende tempo. E così i lanciarazzi Himars arrivati in Ucraina sono modificati per non poter utilizzare i missili a lunga gittata Atacms, mentre sembrano definitivamente cadute nel vuoto le richieste di fornire gli avanzati droni Grey Eagle.

Le controindicazioni di inviare armi troppo sofisticate in Ucraina, per gli Usa, sono di due tipi. Da una parte si rischia di deteriorare completamente i rapporti con il Cremlino, qualora venissero forniti sistemi in grado di colpire in profondità il territorio russo o addirittura favorirne una disfatta su tutta la linea. Il secondo aspetto è quello che riguarda l’immagine degli stessi sistemi.

Un’offensiva sfortunata, in cui l’equipaggiamento militare viene catturato o addirittura fatto sfilare a mo’ di trofeo dal nemico, può costare miliardi in termini di export. Evenienza che gli stessi russi sono destinati a scontare sulla propria pelle nei prossimi anni e già costata cara ai tedeschi in seguito alle scarse performance dei Leopard II usati dai turchi in Siria.

Cosa si aspetta l’Occidente? Tre ipotesi

La decisione di inviare carri armati occidentali in Ucraina è dunque un passo importante, anche solo per le implicazioni politiche. Se quei veicoli sono stati inviati all’Ucraina è perché gli alleati di Kiev li reputano a qualche titolo necessari. Come per altri sistemi, è altresì plausibile che le forniture in questo senso aumenteranno sensibilmente e si potrebbe scommettere che al prossimo meeting di Ramstein, atteso per il 20 gennaio, si vedranno delle novità in questo senso. Tre ipotesi possono contribuire a spiegare i perché dietro la decisione occidentale.

Prima ipotesi. I carri armati, troppo pochi per fare la differenza, rappresentano nient’altro che il rinnovato sostegno politico alla causa ucraina. Una dichiarazione di buona fede o poco più. In questo caso i numeri resteranno contenuti e serviranno a Kiev per rintuzzare le perdite o poco più, magari confezionando ad arte un nuovo “mito” del conflitto, magnificando l’efficacia dei carri armati europei per atterrire i russi. Washington e alleati, secondo questa visione, sono abbastanza fiduciosi che la situazione complessiva resti favorevole all’Ucraina.

Seconda ipotesi. Gli strateghi occidentali si aspettano un collasso della linea difensiva ucraina imperniata sull’asse Bakhmut-Siversk. Le notizie frammentarie che arrivano dal fronte e i progressi russi a Soledar potrebbero spingere in questa direzione. Le forze armate ucraine dovrebbero ripiegare sull’ultima (e meglio fortificata) linea di difesa del Donbass, che include le città di Kramatorsk e Slaviansk.

Prima di arrivarci i mercenari della Wagner – che nel settore si sono intestati ampie zone del fronte – e le forze russe dovrebbero avanzare attraverso una fascia di circa 40 chilometri disseminata di borghi, cittadine e fattorie. I carri armati occidentali potrebbero dare una mano a sostituire le perdite di linea, che su entrambi i fronti sarebbero ingenti specie per la componente corazzata. Questa ipotesi prevede che il numero di veicoli occidentali inviati in Ucraina aumenti sensibilmente nelle prossime settimane.

Terza ipotesi. All’Ucraina servono tutte le forniture militari possibili perché tra la fine dell’inverno e l’inizio delle primavera Mosca lancerà una nuova offensiva su larga scala dalla Bielorussia. L’obiettivo potrebbe essere la regione di Chernihiv nel nord del paese, già interessata da intensi combattimenti nelle prime settimane della guerra. Sarebbe un nuovo azzardo per il Cremlino e segnerebbe l’inizio di una nuova fase del conflitto – magari potrebbe avvenire in contemporanea con la dichiarazione di guerra ufficiale da parte della Russia, archiviando lo stadio dell’operazione militare speciale.

Negli ultimi tre mesi sono comparsi in rete decine di video come questo, che mostrano il trasferimento di forze russe in Bielorussia

Una serie di notizie potrebbe sostanziare la nostra ultima ipotesi. Da una parte il trasferimento di materiale militare russo in Bielorussia, che si è intensificato a partire dall’autunno, insieme alle esercitazioni militari congiunte trai due paesi, l’ultima il 16 di gennaio. Secondo il ministero della Difesa di Minsk circa 9mila soldati russi dovrebbero arrivare a breve nel paese. In un’intervista rilasciata al Guardian a metà dicembre anche il ministro della Difesa ucraino, Oleksii Reznikov, affermava che il Cremlino sarebbe stato pronto per una nuova offensiva già nel mese di febbraio, facendo leva sui soldati della mobilitazione parziale.

Le preoccupazioni di Reznkiov, analoghe a quelle confessate all’Economist dal generale Valeriy Zaluzhnyi, potrebbero essere legate tanto a informazioni dell’intelligence quanto essere un modo per giustificare le nuove richieste di armi, descrivendo la Russia in una posizione più minacciosa di quanto non sia. Qualora fossero confermate, tuttavia, l’Occidente sarebbe costretto a intensificare il supporto militare a Kiev nel più breve tempo possibile, fornendo carri armati nell’ordine delle centinaia di unità.

In caso di una nuova offensiva russa nel nord sarebbe più complicato per gli ucraini applicare le tattiche di sabotaggio e imboscate che tanto sono costate ai russi nei primi mesi di guerra, dovute sì a un’ottima capacità militare ma anche alla negligenza della forza di invasione. Difficile se non impossibile scommettere se al Cremlino siano davvero disposti davvero alla scommessa. A Kiev, in ogni caso, mettono in conto il peggio. Le trincee che da settimane gli ucraini scavano alle estreme propaggini dell’oblast di Chernihiv sono lì a dimostrarlo.

Francesco Dalmazio Casini

Archeologo redento, giornalista, appassionato di geopolitica. Nato a Roma e ritornato dopo una breve parentesi milanese per dirigere Aliseo. Mi piace raccontare i conflitti, le interazioni e il fattore umano degli attori internazionali. Ogni tanto faccio delle puntate nel campo dell’energia, della politica e della logistica. In altre parole mi piace spiegare cosa c’è dietro a quello che succede nel mondo. Una missione: portare la cultura dell’informazione approfondita (e lenta) in Italia.

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