Al centro di un lungo tavolo, in una stanza silenziosa, Ibrahim Iskandar firmava le carte per diventare ufficialmente il nuovo re della Malesia. È quanto avvenuto mercoledì 31 gennaio presso il palazzo presidenziale nella capitale Kuala Lumpur. Si tratta del 17esimo sultano eletto dal 1957, quando il Paese ottenne l’indipendenza dalla Gran Bretagna. Da allora la Malesia segue un sistema monarchico costituzionale a rotazione, unico nel suo genere.
Secondo la tradizione, ogni 5 anni la “conferenza dei governanti” – composta dai sultani di 9 dei 13 Stati federali in cui il Paese è diviso e dai quattro governatori degli altri Stati che però non hanno diritto di voto – nominano con elezione segreta il nuovo re. Si tratta di solito di una formalità, di una conferma di quanto già deciso in precedenza, visto che a rotazione gli eredi al trono di tutte le famiglie reali devono esercitare il proprio diritto.
Il ruolo dello Yang di-Pertuan Agong (traducibile con “Colui che è stato fatto Signore Supremo”) è storicamente cerimoniale e riguarda più che altro la gestione degli appuntamenti diplomatici più rilevanti. Soggetta alle decisioni del primo ministro e del Parlamento, la carica reale raramente ha interferito con le scelte della politica. Ma, negli ultimi anni, a causa delle crisi istituzionali in corso nel Paese, l’importanza del re è cresciuta, tanto da finire per nominare lui stesso i nuovi premier.
È il caso di Abdullah di Pahang. Durante il suo mandato, il precedente sovrano della Malesia è intervenuto numerose volte sia nella scelta del capo di governo – dove ha designato tre primi ministri – sia nel periodo pandemico – quando ha annunciato lo stato di emergenza, per via della pressione sul sistema sanitario nazionale.
Tra le altre funzioni del re: la custodia e la protezione dell’Islam, la religione più diffusa nel Paese, la guida delle forze armate e la possibilità di concedere la grazia a chiunque sia stato ritenuto colpevole di un reato. Un compito, quest’ultimo, adottato anche a favore dell’attuale primo ministro Anwar Ibrahim. L’uomo in passato era stato accusato e condannato per il reato di sodomia e solo l’indulgenza del precedente re Sultan Muhammad V gli aveva permesso di tornare libero.
Compiti difficili, dunque, quelli che dovrà gestire Ibrahim Iskandar, il primo della sua casata – gli Johor – a salire sul trono dagli anni ’80. La stessa che ancora oggi è l’unica a possedere un esercito privato di ridotte dimensioni. Ma il nuovo re è pronto ad affrontarli. In più occasioni, l’uomo ha, infatti, annunciato di non voler sprecare il suo mandato trasformandosi in un “puppet king” (re fantoccio). Iskandar ha ammesso di voler agire in modo attivo per rafforzare l’unità nazionale e la stabilità del Paese.
Sessantacinquenne, con origini britanniche, appassionato di auto e moto di lusso e con un net worth (patrimonio netto) che si aggira attorno ai 5.7 miliardi di dollari. Secondo la stampa estera, la sua ricchezza deriva da alcune proprietà all’estero e da investimenti in numerose compagnie internazionali, dal mercato immobiliare a quello delle telecomunicazioni. Stretto confidente dell’attuale primo ministro Anwar Ibrahim, Iskander ha sei figli e una moglie (Raja Zarith Sofiah), anche lei discendente di una casata reale, laureata a Oxford e celebre scrittrice di libri per bambini.
Corruzione o non corruzione?
Appeso a un filo. Si potrebbe definire così l’equilibrio del Paese in questa fase storica. Al centro del dibattito pubblico il tema della corruzione, scatenato dalle vicende che hanno visto protagonista l’ex primo ministro Najib Razak. Nel 2020 l’uomo era stato dichiarato colpevole di sette capi di accusa legati allo scandalo 1MDB (1Malaysia Development Bhd). Razak aveva sottratto indebitamente milioni di dollari dal fondo d’investimento sovrano 1MDB.
Un evento che aveva scioccato i malesiani, in quanto si trattava della prima condanna di un leader di Stato. Costretto a scontare 12 anni di carcere nel 2022, la sua pena è stata dimezzata poche settimane fa dal Malaysia’s Pardons Board, causando reazioni contrastanti. “Un’onda di rabbia”, come l’ha definita il New York Times, è stata l’immediata risposta da parte della popolazione, che teme punizioni troppo leggere nei confronti di chi ricopre cariche importanti nell’apparato statale.
A essere colpito da questa decisione anche lo stesso primo ministro Anwar Ibrahim che era riuscito a conquistarsi il voto dei propri elettori grazie alla promessa di lottare contro la corruzione. Mentre tra chi si oppone alla condanna di Razak spuntano i suoi membri di partito, lo United Malays National Organization, attualmente parte della coalizione al potere. Mentre alcuni analisti sono soddisfatti della soluzione adottata di recente, vedendola come una vittoria per entrambi gli schieramenti.
Razak e la sua famiglia sperano, invece, nella grazia dell’attuale re e un ritorno dell’ex primo ministro sulla scena politica. Sarà solo un’eventuale decisione di Ibrahim Iskandar a poter però cambiare di nuovo il già precario equilibrio malesiano.
Foto in evidenza: “1st King of Malaysia” by stardex is licensed under CC BY-NC-SA 2.0.