Un โcentro logisticoโ. Nel 2016 il portavoce del ministero degli Esteri cinese Hong Lei descriveva in questo modo lโinstallazione che la Repubblica popolare cinese avrebbe inaugurato nel piccolo Stato di Gibuti. Una definizione ambigua per celare lโapertura della prima base militare allโestero dellโEsercito popolare di liberazione. Lโaccordo con il governo gibutino era stato favorito dal finanziamento di due grandi progetti infrastrutturali, un porto franco e la ferrovia Gibuti-Etiopia, per un valore di sette miliardi di dollari.
Appollaiata su uno dei bracci di mare piรน importanti del pianeta โ per cui passa il 12% del traffico โ la base di Gibuti segnalava lโingresso del Dragone in una nuova fase, improntata all’acquisizione di capacitร di proiezione globali. Passo necessario per la sfida con gli Stati Uniti, capaci di schierare truppe in ogni angolo del globo proprio grazie allโimmenso reticolato di installazioni militari allโestero.
Dal 2020 le strutture della base africana, che sorge nellโarea di Dwalih a pochi chilometri dalla base americana di Camp Lemmonier, sono state ammodernate per ospitare i vascelli piรน grandi della marina cinese โ portaerei, cacciatorpedinieri e sottomarini nucleari. Accanto alla base marittima รจ stata poi aggiunta una pista per il decollo di droni. Si stima che almeno 2000 uomini delle forze di marina stazionino permanentemente a Gibuti.
Quella di Gibuti รจ una base situata in uno degli snodi fondamentali del sistema internazionale. Recentemente il Dragone aveva tentato un โraddoppioโ, cercando un punto di appoggio presso un altro cruciale corridoio marittimo, lo stretto di Hormuz. Secondo i funzionari americani, Pechino stava costruendo nel segreto una base militare nel porto di Khalifa, negli Emirati arabi uniti, allโinterno del terminal commerciale gestito dalla Cosco Shipping, colosso cinese della logistica.
Qui furono determinanti le pressioni degli Stati Uniti, che โavvertironoโ le autoritร emiratine dei piani cinesi โ anche se รจ difficile pensare ad una completa ignoranza di Abu Dhabi. Nel novembre del 2021 alcuni ufficiali americani visitarono il luogo in questione accertando che i lavori di costruzione erano stati interrotti. Tuttavia, la necessitร di proiettare la propria influenza allโestero e di salvaguardare i propri traffici ha continuato a informare la diplomazia cinese, a partire dal Continente nero.
La Cina aprirร altre basi militari in Africa?
La base nel microstato africano resta per il momento lโunica stazione permanente delle forze armate del Dragone allโestero. Ora perรฒ la Cina scalpita per dotarsi di strutture analoghe in altri punti cruciali per la competizione con Washington. A partire da quellโAfrica in cui ha investito centinaia di miliardi negli ultimi anni. Un report del Pentagono pubblicato nel 2021 affermava che Pechino stesse considerando almeno 13 diversi paesi nel continente per lโapertura di nuove installazioni militari, aggiungendo che โprobabilmente ne sono giร state aperte in Namibiaโ.
In questโultimo caso, alcune indiscrezioni, poi smentite, avevano fatto pensare allโarea di Walwis Bay โ il cui porto dispone di installazioni in grado di fare attraccare alcune delle navi di media taglia della marina cinese. Al momento non si conoscono sviluppi. I rapporti perรฒ si sono fatti piรน stretti negli ultimi anni. Non solo Pechino dispone dal 2001 di una stazione satellitare a Swakopmund ma รจ diventato praticamente lโunico fornitore di equipaggiamento militare del paese.
Anche la Guinea equatoriale ormai acquista quasi esclusivamente armi cinesi (90%). Lo scorso anno un anonimo ufficiale dellโintelligence americano rivelava al Wall Street Journal che le trattative per lโapertura di una base militare del Dragone erano a buon punto โ complice anche il fatto che circa il 50% del debito straniero del paese รจ in mano cinese. Non si conosce lo stato attuale di avanzamento, ma quella in Guinea รจ forse la tappa piรน importante del disegno cinese.
Da qui la Cina potrebbe mettere un piede a terra nel golfo di Guinea, ricco di idrocarburi ma anche di pirati. E proprio la pirateria potrebbe essere un passepartout per la proiezione di Pechino, che come giร fatto nelle acque del Golfo di Somalia potrebbe intestarsi le operazioni di sicurezza marittima โ che al momento sono anche lโunico modo per costruire expertise reale negli equipaggi della Marina cinese.
Tanzania e Isole Seychelles appaiono come localitร suggerite per lโapertura di installazioni militari in un documento del 2014 prodotto dal Chinese Naval Research Institute, rispettivamente presso i porti di Dar es Salaam e Port Victoria.
Nel caso della Tanzania, sono riprese di recente le trattative per la costruzione di un nuovo porto a Bagamoyo, finanziato per 10 miliardi di dollari dalla Rpc. Come per tutte le altre localitร individuate dal documento โ con lโeccezione di Gibuti โ non esistono ancora basi della marina cinese attive, nonostante la tela di rapporti commerciali (e gli investimenti) sia stata potenziata meticolosamente.
Sognando l’Asia
Se lโobiettivo finale, quasi irraggiungibile, del Dragone รจ costruire una tela globale che possa una domani rivaleggiare con quella degli americani, quello di medio termine รจ certamente puntellare le rotte sensibili, cruciali per la sicurezza nazionale. Allontanare le possibilitร che โil dilemma di Malaccaโ โ dal nome dello stretto malese per cui passa il 70% del greggio consumato in Cina โ deflagri lasciando a secco la fabbrica del mondo.
Per ridurre i rischi ci sono due strade da battere. La prima รจ aumentare la presenza militare nelle acque dello stretto โ e per farlo servono punti di appoggio piรน vicini rispetto alle isole Spratly occupate dalla Cina. La seconda consiste nel trovare un altro accesso allโOceano Indiano, per tramite di paesi amici, da collegare con infrastrutture portuali e ferroviarie al sistema commerciale nazionale.
Tra tutti i progetti di nuove basi militari cinesi segnalati dellโintelligence americana, quello della base presso Ream, in Cambogia, รจ forse il piรน concreto. I rumors vanno avanti da anni, tra le smentite delle autoritร di Phnom Penh. Certo รจ che la Cina sta supervisionando la manutenzione e il rinnovamento di una sezione del porto militare โ una notizia confermata dalle immagini satellitari di Maxar diffuse nellโagosto del 2021.
Secondo anonimi ufficiali americani sentiti dal Washington Post โla Cina ha un accordo segreto per lโutilizzo di una parte della base navale di Ream per i propri militariโ. Lo stesso articolo riportava poi che โun funzionario di Pechino ha confermato che i militari cinesi, e gli scienziati, avranno accesso a una porzione della baseโ.
Poco meno di un mese fa alcune nuove strutture sono state inaugurate alla presenza dellโinviato speciale di Pechino in Cambogia Wang Wentian, che nellโoccasione dichiarava: โla cooperazione militare sino-cambogiana รจ il pilastro di una partnership di ferroโ. A pochi chilometri dal confine con il Vietnam โ sempre piรน vicino agli americani e lontano dai cinesi โ e affacciata sul Golfo di Tailandia, un punto dโappoggio per le navi del Dragone qui sarebbe un notevole passo in avanti per la tutela dei propri interessi in quelle acque di passaggio.
Lo stesso report del Pentagono che metteva in guardia sulle mire africane di Pechino, nominava una simile possibilitร anche per il Pakistan, lo Sri Lanka e il Myanmar. Tre luoghi accomunati da una fortissima influenza cinese, da una stabilitร politica fortemente compromessa e dal fatto di situarsi ad occidente delle โforche caudineโ di Malacca.
Il golpe di febbraio 2021 in Myanmar ha inizialmente rappresentato una battuta di arresto per lโinfluenza di Pechino nel paese e ha generato unโondata di instabilitร che si รจ ripercossa anche sui lavoratori cinesi (indicati come complici della giunta militare e oggetto da violente aggressioni da parte dei manifestanti antigovernativi). Dopo unโiniziale fase di cautela โ la Cina era molto vicina al governo di Aung San Suu Kyi abbattuto dai militari โ i progetti e gli investimenti si sono pian piano riassestati. Mentre tutto il mondo condannava il colpo di mano e la repressione, il Dragone si รจ mostrato prima neutrale e poi disponibile a risolvere la situazione disastrosa del paese.
Non si conoscono progetti per una base militare cinese in Myanmar, ma gli ultimi cinque anni hanno visto la costruzione di imponenti infrastrutture di terra (ferrovie prevalentemente) che collegano la provincia cinese dello Yunnan ai porti burmensi della costa occidentale (Kyaukpyu a nord e Yangon a sud). ร lโossatura del China โ Myanmar Economic Corridor, bretella della via della seta per un accesso libero o quasi allโoceano indiano. Una base militare qui sarebbe addirittura rifornibile dalla madrepatria โ al netto dellโinstabilitร del confine, dilaniato dallโattivitร di gruppi di ribelli.
Unโevenienza simile potrebbe verificarsi anche in Pakistan. Il corridoio economico sino-pachistano รจ ad oggi lโarteria piรน importante della via della seta e il suo terminale marittimo principale, il porto di Gwadar, รจ dotato di infrastrutture portuali ideali per lโattracco di grandi navi. La luna di miele tra Pechino e Islamabad รจ storia vecchia, cementata dalla recente costruzione di unโintera linea di fregate per la marina pachistana, ma nel medio periodo potremmo assistere a un salto di qualitร .
Lโemittente indiana News18 riportava circa un mese fa di pressioni sempre piรน marcate da parte degli inviati cinesi sulle autoritร pachistane per la concessione di una base militare a Gwadar โ in cambio di uno sgravio sul debito estero del paese. Dal punto di vista di Pechino si tratta di un passo in avanti necessario anche per la protezione del personale cinese che lavora in Pakistan (decine di migliaia di persone), sempre piรน di frequente bersagliato dagli attacchi dellโindipendentismo armato del Balocistan.
Menzione dโonore per uno dei piรน remoti avamposti del Dragone in Asia centrale. Poche settimane dopo il ritiro dei soldati americani dellโAfghanistan, la Cina annunciava la costruzione di una base militare sul suolo del Tajikistan, che sarebbe stata presa in carico dalle forze di polizia armata (insieme al ministero degli Affari interni locale), un corpo che svolge essenzialmente funzioni di intelligence e contro-terrorismo.
La base, insieme ad una serie di altre piccole installazioni a ridosso del confine tagico con lโAfghanistan, non ha particolare valore strategico se non quello di esercitare controllo sul territorio del cosiddetto โcorridoio del Wakhanโ, che collega il paese dei Talebani alla Repubblica popolare cinese. Da qui Pechino teme che i gruppi terroristici dellโAfghanistan, qualora lโemirato di Kabul fosse incapace di esercitare un controllo sulle sue periferie, possano sconfinare e solidarizzare con i movimenti uiguri del Xinjiang, incendiando la periferia orientale della Cina.
Argentina: una stazione sospetta
Caso a parte รจ quello dellโEspacio Lejano Station, una stazione per lโosservazione dello spazio situata in Argentina, sotto il controllo della forza strategica di supporto dellโesercito cinese. Inaugurata nel 2017, non ricopre compiti miliari, come ribadisce un impegno formale della Cina del 2016. Nel paese, dโaltronde, รจ attiva anche una stazione che svolge compiti simili per lโEsa, anche se in questo caso il personale รจ completamente civile.
La cogenza militare โconvenzionaleโ della base sarebbe comunque limitata dalla sua posizione, lontana dalle coste, sperduta nel deserto della Patagonia, tuttavia le infrastrutture spaziali si prestano per loro natura a un doppio uso. Da una parte lโosservazione del cosmo, dallโaltro la telemetria e lโintelligence โ ad esempio il monitoraggio di satelliti avversari.
In ogni caso, lโEspacio Lejano rappresenta una sfida piรน che personale per Washington. Uno sfregio a quella dottrina Monroe che non ha mai smesso di essere la bussola della politica estera americana. A maggior ragione perchรฉ la partnership tra Buenos Aires e Pechino si va approfondendo sul piano commerciale e dellโexport di materiale bellico. Alcune voci, rilanciate dagli Stati Uniti, parlano della riqualificazione della base navale di Ushuaia, allโestremo sud del continente, che potrebbe essere condotta da compagnie cinesi โ un copione molto simile a quello della โbaseโ cambogiana di Ream (anche questo tutto da confermare).
Dalle Isole Salomone alla Papua Nuova Guinea: il Dragone nel Pacifico
“La Cina puรฒ, in base alle proprie esigenze e con il consenso delle Isole Salomone, effettuare visite navali, effettuare rifornimenti logistici e fare scalo nelle Isole Salomone”. Dalla bozza del patto di cooperazione e sicurezza tra Repubblica popolare cinese e Isole Salomone. Parole come sempre ambigue che potrebbero schiudere a Pechino la possibilitร di dislocare, un domani, soldati e installazioni sul piccolo arcipelago pacifico.
Nonostante il primo ministro di Honiara, Manasseh Damukana Sogavare, giuri e spergiuri che nessuna base cinese sarร costruita nel suo paese, la bozza dellโintesa sembra puntare in quella direzione. Specie perchรฉ oltre al passaggio, ai cinesi viene appaltata la possibilitร di intervenire, se richiesto dal governo delle Salomone, per ristabilire lโordine pubblico e tutelare i lavoratori cinesi nelle isole.
Sul finire del 2021 unโondata di violente proteste sconvolse il piccolo arcipelago. I manifestanti si scagliavano proprio contro lโeccessiva influenza che il governo aveva accordato al Dragone โ nel frattempo diventato un partner commerciale insostituibile e un fornitore di aiuti umanitari e materiale militare. Il cambio di passo nelle relazioni trai due paesi รจ avvenuto nel 2019, quando le Salomone smisero di riconoscere lโisola di Taiwan come Cina โlegittimaโ e si volsero verso Pechino. Poco dopo vennero firmati sei accordi di cooperazione, legati principalmente al settore delle infrastrutture.
Adesso lโAustralia โ che nelle Salomone ha sempre visto il proprio giardino di casa โ e gli Stati Uniti parlano di โuna linea rossaโ da non superare in merito allโapertura di una base militare cinese, ma รจ possibile che i giochi siano giร fatti โ sebbene bisognerร aspettare qualche anno e probabilmente un โcasus belliโ rilevante perchรฉ la Cina decida di adoperarsi ufficialmente per una presenza stabile nel paese.
La penetrazione cinese tra gli atolli del Pacifico รจ stata favorita da un biennio molto difficile per le genti isolane. Trattandosi di paesi che dipendono da materie prime importate, fortemente ancorati al settore turistico, le isole del Pacifico hanno accusato ben piรน di altri posti la crisi pandemica Il debito (giร molto ampio), รจ cresciuto in maniera smisurata. Il 22% di questo (prendendo in considerazione tutti gli stati insulari) รจ detenuto dalla Cina โ una cifra che per alcuni paesi, come Tonga, Samoa e Vanuatu si avvicina al 50%.
La presa della Repubblica popolare cinese nella regione non รจ ancora sicura come Pechino vorrebbe far credere. Lo dimostra il fatto che il 30 maggio una proposta per un patto sulla sicurezza e sullo sviluppo regionale, esteso a dieci delle piccole nazioni del Pacifico, sia stata rifiutata anche da alcuni degli โamiciโ storici del Dragone nel Pacifico (come la Papua Nuova Guinea).
Il nuovo tassello del domino potrebbe cadere a Kiribati. Anche qui i rapporti commerciali e politici hanno conosciuto un salto di qualitร nel 2019, in seguito al disconoscimento di Taiwan, avvenuto in contemporanea con le Salomone. Pechino sta realizzando per il governo locale dei lavori di ampliamento di una pista per aerei nellโisola di Canton.
Secondo quanto dichiarato a Reuters da un anonimo funzionario americano la Cina esercita pressioni sul governo di Tarawa perchรฉ lโinstallazione โ che dista appena 3000km dalle Hawaii โ venga concessa in gestione alle forze armate cinesi, che ne potrebbero fare โuna portaerei galleggianteโ.
In molti hanno visto la mano cinese dietro la decisione presa a inizio luglio da Kiribati di abbandonare il Forum delle isole del Pacifico, che include alcuni alleati di ferro degli Stati Uniti come Australia e Nuova Zelanda. Una mossa che ha spinto gli Stati Uniti a promettere una rinnovata attenzione (specie in termini di aiuti e investimenti) in tutta la regione. Nonostante la Cina e il governo di Kiribati abbiano rigettato al mittente le accuse, diversi esperti hanno messo in luce una dinamica molto sospetta nellโuscita dal Forum, a partire dallโinconsistenza della giustificazione ufficiale (una disputa sulla leadership dellโorganizzazione).
Tra le paure di Washington cโรจ anche quella che il Dragone possa allungare gli artigli sulla Papua Nuova Guinea. Lo stato piรน โconsistenteโ della regione, che dal 2000 ha ricevuto piรน di 18 milioni di dollari in aiuti militari da parte della Cina. Il portavoce del ministero degli Esteri cinese ha smentito lโipotesi che ci potessero essere in atto delle trattative sullโapertura di una base militare nella zona economica speciale di Ihu โ come ipotizzato da alcuni media australiani nelle ultime settimane.
I rapporti trai due paesi in questo caso sono di vecchia data. Fin dallโanno dellโindipendenza, nel 1976, la Papua Nuova Guinea riconosce infatti Pechino come โvera Cinaโ. Qui il Dragone porta avanti il progetto infrastrutturale piรน grande del Pacifico, un riammodernamento di tutta la rete viaria del paese per un totale di quattro miliardi di dollari (parliamo di uno stato il cui prodotto interno lordo รจ inferiore ai 24 miliardi). Un altro indicatore della vicinanza tra Port Moresby e Pechino si vide nel 2020, quando la Papua si schierรฒ a favore della controversa legge sulla sicurezza di Hong Kong.
Tirando le somme…
In definitiva il Dragone ha molti piani, ma poco di concreto. I colloqui con buona parte dei paesi che dovrebbero accogliere i militari di Pechino sono sicuramente a buon punto – sull’onda di export militare e finanziamenti a debito, ormai un marchio di fabbrica della diplomazia cinese – ma come insegna il caso degli Emirati, una base non รจ una base fino a che non viene inaugurata e i soldati prendono posizione. Cosa la Cina riuscirร a concretizzare all’estero dipende in larga misura da quanto gli Stati Uniti si potranno permettere in termini di pressioni sugli stessi governi per fare in modo che questi abbandonino Pechino.