Il 24 febbraio di quest’anno il mondo è stato scosso dalla prima guerra convenzionale del nuovo millennio tra due potenze industrializzate ed inserite nel contesto della globalizzazione. La portata di questo evento è ancora tutta da scoprire ma dalle prime previsioni assisteremo ad un effetto a valanga dalla portata storica sia nel campo delle relazioni internazionali, sia in quello economico e delle materie prime.
Entrambi i contendenti sono esportatori importanti di prodotti agricoli, non solo di grano ma anche di fertilizzanti e altre sementi fondamentali per l’alimentazione di altri paesi. Tuttavia, sia la questione economica, con le pressanti sanzioni occidentali alla Russia, sia quella dell’approvvigionamento alimentare sono già state trattate con dovizia di dettagli dai principali media occidentali. La questione geopolitica è molto più complessa.
Per quanto ci riguarda ci concentreremo principalmente sulle conseguenze che questo conflitto avrà sul fragile bilanciamento di poteri in atto nella regione forse più instabile del pianeta: il Medio Oriente, regione in cui la Russia è attiva da anni e in cui la presenza delle truppe di Mosca, regolari e non, è ormai diventata una quotidiana realtà per gran parte degli abitanti. Il Cremlino schiera truppe in un arco molto ampio che muove dalla Siria fino alla Libia, in uno scontro indiretto contro varie potenze locali, tra cui spicca la Turchia, e con finalità talvolta non propriamente lineari. In più la presenza russa negli ultimi anni ha giocato il ruolo di forza d’interposizione e di “congelamento” di tutti quei conflitti intraregionali che non stanno tardando a riemergere.
Concentrandoci sui quadranti in cui la guerra avrà e ha già avuto un impatto più vistoso parleremo della situazione in Siria, forse lo scacchiere estero più importante per Putin dopo la stessa Ucraina. Parleremo della situazione iraniana, di quella israeliana e di quella turca, tre potenze regionali che possono in misura diversa sfruttare ciò che sta succedendo in Europa per avanzare pedine sullo scacchiere strategico della regione.
Tralasceremo, come già detto, la questione alimentare ed energetica: troppo ingombrante per poterla inserire in un discorso coerente che guardi alla geopolitica più che alla geoeconomia e agli equilibri di potere più che a quelli economici. Parleremo dunque degli effetti che uno scontro molto distante dai confini del Mashreq avrà sulla vita dei milioni di persone che abitano quella regione martoriata da un secolo di conflitti di varia natura.

L’Iran torna sulla scena, più isolato ma più libero d’agire
L’Iran è potenza asimmetrica per volontà, per necessità e per vocazione culturale. Svolge le sue operazioni estere tramite l’uso estensivo e spregiudicato di proxy stranieri, sfruttando la fittissima rete intracomunitaria che lega le varie collettività sciite nel mondo. Così facendo riesce ad operare in vari campi del Medio Oriente mantenendo basso il costo delle sue missioni estere e mantenendo una capacità di Plausible Deniability che permette alla Repubblica di dissociarsi, convincendo solo gli sprovveduti, dagli eventi più scandalosi in cui si trova coinvolta.
Tuttavia, l’asimmetria e la guerra by proxy hanno dei limiti piuttosto vistosi, specie per quanto riguarda le capacità combattive delle truppe schierate e la loro resilienza. In Siria, settore vitale per l’Iran per il mantenimento del ponte logistico Iran-Iraq-Libano, la situazione e il posizionamento iraniano è notevolmente mutato negli ultimi anni, specialmente a seguito dell’ingresso russo nel conflitto.
Prima dell’arrivo delle forze del Cremlino, l’Iran era l’azionista di maggioranza della coalizione pro-Assad e il principale partner strategico del Rais siriano per quanto concerneva la conduzione delle operazioni belliche contro i ribelli. L’ingresso della Russia ha drasticamente ridimensionato il peso iraniano in seno ai vari consigli militari che decidevano come e quanto combattere ed il tutto venne reso palese durante il pesante assedio di Aleppo condotto congiuntamente da elementi dell’Esercito Siriano e di quello della Federazione Russa. In quello scontro, probabilmente il momento pivot dell’intera guerra civile, gli iraniani vennero relegati a compiti secondari di gestione logistica e mantenimento delle linee di comunicazione interne al paese, compito comunque non facile vista la conformazione geografica della Siria e la proliferazione di milizie sparse nel paese.
Ma non tutti i mali vengono per nuocere e il maggiore attivismo russo nella regione ha permesso agli iraniani di diminuire il peso delle proprie operazioni in terra siriana, conseguentemente diminuendo i costi politici ed economici di tali missioni. Tutto ciò era, ed è, vitale per un paese in fortissimo stress come la Repubblica Islamica, ormai sull’orlo del collasso economico e politico dopo gli eventi che portarono al fallimento della politica dei riformisti Zarif e Rouhani e la sostanziale distruzione di tutto quanto ottenuto con il primo JCPOA.
In più la presenza russa permetteva ai proxy iraniani di avere uno scudo contro la pericolosissima aviazione israeliana, sempre pronta a colpire gli alleati di Teheran dovunque si trovino. L’Iran aveva molto da guadagnare dalla presenza russa, nonostante la perdita di prestigio, per il semplice fatto che erano i russi a mantenere aperta la linea tra Teheran e Beirut e per di più non richiedendo poi grandi concessioni da parte iraniana. Perseguire i propri scopi strategici senza dover impiegare direttamente le proprie truppe è il sogno di ogni stratega.
Con il graduale disimpegno russo dalla Siria, comunque più limitato rispetto a quanto si poteva credere nei primi giorni di guerra, e il tentativo del Cremlino di spostare truppe locali siriane in territorio ucraino rischia però di costringere l’Iran a dover rientrare nel conflitto in maniera più vistosa, con costi umani, politici ed economici che non può permettersi. Le prime avvisaglie di questo cambio nell’impostazione iraniana sono già visibili da qualche mese, con lo spostamento di alcune brigate di sciiti pakistani e afghani in posizioni trincerate per poter mantenere i collegamenti tra l’Est e il centro del paese.
Il sollevamento della “cortina di rispettabilità” conferita all’intero conflitto dalla presenza russa provocherà anche un aggravarsi degli interventi di altri attori regionali, Israele e Turchia tra tutti, che potrebbero attaccare in maniera più spregiudicata le forze iraniane presenti nel paese. Avvisaglie in tal senso si sono già avute negli ultimi mesi con vari attacchi missilistici israeliani che hanno ucciso quasi una dozzina di pasdaran in territorio siriano.

Israele impossibilitata a schierarsi riscopre i vecchi nemici
La situazione d’Israele allo scoppiare delle ostilità tra Russia e Ucraina è più complessa da indagare ed in parte più altalenante rispetto alla posizione iraniana, comunque saldamente schierata dalla parte di Putin. Lo stato ebraico deve scontare fortissimi legami etnico-storici con entrambe le nazioni da cui arrivarono tantissimi dei primi abitanti del neonato stato d’Israele e, come se ciò non bastasse, vanta anche forti legami con le locali comunità ebraiche, tuttora molto influenti e popolose.
Tale impossibilità di schierarsi è sia il cruccio che il principale vantaggio strategico che Tel Aviv si ritrova tra le mani, potendo contare su quegli stessi storici legami per presentarsi come mediatore della contesa e come terreno neutrale da cui provare a far trattare i due contendenti. Come vedremo sotto questo punto di vista parte avvantaggiato rispetto all’altro attore che punta a questo obiettivo, ovvero la Turchia.
Tuttavia, la guerra rischia anche di far ripiombare Israele nel marasma caotico in cui ha vissuto per quasi tutta la sua storia e si ha la reale possibilità che nello stato ebraico si debba tornare ad una politica più assertiva nei confronti dei propri vicini – in particolar modo Siria e Libano – per poter contrastare, ora più attivamente, le operazioni iraniane nella regione. Venendo meno la presenza della Russia nel teatro operativo siriano, come abbiamo detto più sopra, si potrebbe annullare anche quell’effetto da forza d’interposizione che i russi hanno svolto per quasi dieci anni nel tener separati e il più possibile in uno stato di guerra non guerreggiata l’Iran degli Ayatollah ed Israele. Si ricordi a tal proposito che i raid aerei israeliani contro formazioni filoiraniane in Siria erano spesso e volentieri concordati con i russi ed esclusivamente limitati a bersagli di piccolo valore strategico.
Senza i russi a moderare gli attacchi israeliani e a tener in riga gli iraniani il rischio di un’escalation tra le due forze è sempre dietro l’angolo, così come il rischio che il Libano tracolli e diventi una fonte di problemi maggiore di quanto non sia mai stata la Siria negli ultimi anni. Infatti, bisogna ricordare che anche il paese dei cedri rientra tra quegli stati del Medio Oriente che dipende in maniera strutturale dai rifornimenti alimentari russi e ucraini. Ricordiamo poi che la situazione del paese è già critica allo stato attuale ed è prevedibile che degeneri ancora di più a causa della crisi alimentare e del ritorno di gran parte dei miliziani di Hezbollah dalla ormai conclusa guerra in Siria. Se gli israeliani decideranno di colpire il partito di Dio come fecero quindici anni fa, cosa che non si può escludere a priori, si rischia di avere un tracollo generalizzato dell’intera regione e un’altra penosa e sanguinosa guerra in un punto del mondo che non è mai stato in pace negli ultimi vent’anni.
La posizione dello stato ebraico è quindi traballante: deve riportare russi e ucraini ad un tavolino per ristabilire lo status quo ante nella regione mediorientale e pacificare le due grandi nazioni da cui arriva una buona fetta della propria popolazione; contestualmente deve cercare di limitare le attività iraniane e quelle di Hezbollah, evitando che il partito di Dio sfrutti l’onda della crisi libanese per rafforzarsi ma senza muovere guerra sul suo territorio ai miliziani sciiti per evitare crisi umanitarie, devastazioni e migrazioni direttamente a contatto dei propri confini.
In più deve puntare a mantenere calma la situazione in Siria e, per quanto possibile, indebolire Bashar al Assad per evitare che tornino i tempi in cui la Repubblica Araba Siriana era una spina nel fianco dello stato ebraico. Ed in tutto questo deve anche tenere d’occhio l’Egitto per evitare che il governo di Al Sisi collassi sotto il peso della crisi alimentare. Difficilmente Israele sarà in grado di ottenere tutti questi obiettivi contemporaneamente ed è nell’interesse dello stato ebraico che la guerra si concluda il più velocemente possibile. Preferibilmente con un nulla di fatto ed il ritorno alla situazione prebellica.

La Sublime Porta viene richiamata in Occidente ma non risponde
Tra tutti gli attori finora elencati quello che avrebbe probabilmente tutto da guadagnare dalla cessazione immediata delle ostilità è sicuramente la Turchia neottomana di Erdogan, catapultata nell’occhio del ciclone ma ancora troppo debole per resistere alle sfide che è chiamata ad affrontare. La guerra in Ucraina ha fatto serrare i ranghi all’Alleanza Atlantica, rinata dalla catalessi in cui era finita negli ultimi trent’anni, e ha portato gli Stati Uniti a chiamare all’appello tutti gli alleati storici richiedendo conferma immediata del giuramento di fedeltà al mondo libero. La Turchia non ha risposto, giocando di sponda in maniera ambigua e nascondendosi tra legalismi e giurisprudenza internazionale, condita di tecnicismi vari, per divincolarsi dalla necessità di prender posizione.
La verità è che Istanbul non voleva dover scegliere ora, troppo debole ancora per staccarsi dal seno dell’atlantismo ma troppo in là sulla strada della costruzione di un proprio impero per poter lasciare tutto e tornare ad essere solo potenza marginale dello scacchiere euroatlantico. E quindi Erdogan prende tempo, chiude i Dardanelli a tutte le navi (non solo quelle russe) e lancia grandiose operazioni militari nel nord della Siria per mettersi a riparo da eventuali problemi sul suo fronte sud e crearvi un cuscinetto demilitarizzato.
Nel mentre gioca di sponda tentando da una parte di far dialogare russi e ucraini, dall’altra imponendo a Nato&Co. drastici veti su qualunque misura volta ad aumentare il livello della tensione con la Russia (vedasi caso Svezia). Ad oggi l’impero turco non è ancora nato e già rischia di essere schiacciato dal peso della storia e di alleanze siglate in un mondo che ormai sembra preistoria.
La Turchia vorrebbe giocare in solitaria ma non può e non potrà placare gli americani e mettergli i bastoni tra le ruote ancora a lungo. Pena far spazientire l’amico/carceriere a stelle e strisce, precludendosi ogni speranza di accedere alle tecnologie e gli armamenti “top class” che tanto servono alla Sublime Porta per conquistarsi uno spazio vitale nella regione. Da qui la convergenza d’interessi con gli israeliani che potrebbe portare ad una più duratura alleanza in ottica anti-iraniana, eventualità che ad oggi è però ancora lontana dal palesarsi.
L’unica nota positiva per la Turchia è, probabilmente, l’efficacia delle sue armi testate nel primo vero conflitto contro una nazione industrializzata e militarmente potente, a riprova che la strada intrapresa per emanciparsi dall’Occidente potrebbe dare i suoi frutti. Ma serviranno almeno altri quindici anni a Istanbul perché sia in grado di dire di no agli Stati Uniti sperando di sopravvivere da paria. Questa guerra è arrivata troppo presto per la Sublime Porta.
Concludendo il nostro discorso non possiamo che rimarcare l’ampiezza degli effetti di questo conflitto tutto europeo ma dalla portata globale e della difficoltà che l’Iran, Israele e la Turchia avranno nel gestirne i lati negativi nel medio e, specialmente, nel lungo periodo. Il Medio Oriente è una regione martoriata da trent’anni e questa guerra così lontana, culturalmente e geograficamente, rischia di peggiorare drasticamente il livello e le condizioni di vita – già non proprio eccelse – delle genti che lo abitano.
Sarà compito delle tre nazioni che si giocano il dominio della regione trovare un modo per mitigare gli effetti nefasti di questa guerra. Nel mondo che si va creando difficilmente vedremo interventi esterni in teatri lontani, men che meno da parte occidentale. Le energie per superare la burrasca vanno trovate tra i confini del Medio Oriente senza contare su un deus ex machina che arrivi a salvare la nave che affonda.
Foto in Evidenza: “Middle-East and the Mediterranean Sea” by sjrankin is licensed under CC BY-NC 2.0.
Prima Immagine: “File:Seyed Ebrahim Raisi in 2019.jpg” by khamenei.ir is licensed under CC BY 4.0.
Seconda Immagine: “Israel’s Minister of Education and Diaspora Affairs Naftali Bennett speaks at the 2015 Saban Forum” by BrookingsInst is licensed under CC BY-NC-ND 2.0.
Terza Immagine: “Recep Tayyip Erdogan – World Economic Forum Annual Meeting Davos 2009” by World Economic Forum is licensed under CC BY-NC-SA 2.0.