Il 20 marzo 2023 Xi Jinping, si è recato a Mosca per una visita di tre giorni. «Sono molto felice di tornare, su invito del Presidente Vladimir Putin, nella terra del nostro vicino per una visita di stato» ha affermato Xi poco prima dell’arrivo. Si tratta infatti della sua prima visita in Russia dopo l’invasione dell’Ucraina e si colloca immediatamente dopo la sua rielezione a presidente della Repubblica Popolare.
Il viaggio dei tre giorni a Mosca si è concluso raggiungendo obiettivi concreti e rivelanti: da una parte numerosi accordi che spaziano da materie prime e turismo, con l’espansione di collegamenti stradali e ferroviari, e commerciali, al potenziamento del gasdotto Power of Siberia. Dall’altra, ben più importante, l’intenzione della Cina di gettare le basi per un ordine antioccidentale, imperniato su «quel sud mondo» che non si riconosce più sotto la guida degli Stati Uniti.
Per il gigante asiatico è stato un anno difficile: preso dalle difficoltà connesse alla gestione covid e agli appuntamenti politici interni, ha atteso un lungo tempo prima di dedicarsi alla questione russo-ucraina. Un anno in cui Pechino non ha però nascosto una certa insofferenza per le iniziative di Mosca che hanno messo a rischio i piani economici e geopolitici cinesi, in particolare la Via della Seta, e che complicano la sua posizione di fronte agli interlocutori occidentali, di cui Pechino nonostante tutto non intende fare a meno.
Come leggere il viaggio di Xi in Russia
L’incontro fra i due presidenti è stato seguito da vicino dai funzionari occidentali per comprendere una qualsiasi indicazione su quanto la Cina potrebbe essere disposta a spingersi ad agire da “mediatore” nel conflitto in corso. Un ruolo tutt’altro che facile dal momento che già Turchia e Israele hanno tentato senza successo.
Mediare nel conflitto in Ucraina è un compito arduo. I funzionari cinesi hanno visto, comunque, l’incontro come una missione per promuovere colloqui costruttivi tra Russia e Ucraina, anche se i rappresentanti statunitensi sono stati scettici sui recenti sforzi di Xi per diventare “il pacificatore globale”.
Il dossier ucraino, tuttavia, non era il motivo principale della visita, definita nei comunicati come “un viaggio di amicizia, cooperazione e pace”. Difficile che l’incontro fra i due leader porti a immediati risultati per una soluzione diplomatica del conflitto in Ucraina, dove il presidente Volodymyr Zelensky attende ancora un contatto telefonico con Pechino. Poco dopo la visita, la mossa del presidente ucraino è stata quella di invitare Xi Jinping a Kiev per un colloquio, ma al momento non ci sono state risposte.
Ma dialogare pubblicamente con la Cina, con la sua dichiarata vicinanza con Mosca, non può che avere una funzione tattica. Zelensky intende mantenere un’autonomia decisionale, con la convinzione di sapere meglio di chiunque altro cosa sia giusto e conveniente per il suo paese. Per tale scopo ha bisogno di una sponda che bilanci l’eccessiva dipendenza da Washington e disegni un’altra possibile via d’uscita, nel caso in cui dovesse incrinarsi la solidità del fonte europeo.
I 12 punti proposti dal governo cinese, pochi mesi fa, per avviare una trattativa diplomatica non sono stati accolti positivamente da Kiev e dagli Stati Uniti, che avevano visto mettere sullo stesso piano gli aggrediti e gli aggressori, favorendo così il perdurare della posizione conquistata dalla Russia sul campo.
Dall’Ucraina a Taiwan
Contrariamente a quanto dichiarato ufficialmente, tuttavia, è possibile che Pechino preferirebbe che il conflitto in corso si prolungasse, possibilmente a bassa intensità, per il tempo sufficiente a rendersi meno vulnerabile in campo economico, energetico e militare. Tale fragilità, per altri versi, potrebbe essere condivisa dagli stessi Stati Uniti.
Per la Commissione per la revisione dell’economia e della sicurezza USA-Cina (organo bipartisan del Congresso americano), gli Stati Uniti potrebbero avere difficoltà a consegnare i sistemi d’arma acquistati da Taiwan entro i tempi stabiliti. Tali difficoltà sarebbero dovute, almeno in parte, alla grande quantità di equipaggiamento dirottata nel teatro ucraino. I ritardi, per il momento, riguarderebbero circa 19 miliardi di dollari di forniture militari.
Sicuramente è uno scenario auspicabile per Pechino, non importa quanto poco durerà questa deflessione. Per il momento finché l’Occidente verrà distratto dal contenimento la Russia, in Asia ci sarà maggiore margine di manovra. Tali preoccupazioni, espresse anche dai funzionari taiwanesi, potrebbero accelerare le operazioni per la riunificazione dell’Isola – il dossier centrale della geopolitica cinese dall’avvento dell’era Xi.
Non è un caso se gli ultimi mesi hanno visto una fase di particolare attivismo diplomatico da parte del Dragone. Pechino ha convinto il Nicaragua ad aderire alla politica «unica Cina» rinnegando Taiwan di fronte a vantaggi politici e commerciali con Pechino. Dopo il Nicaragua anche il Paraguay e Honduras hanno fatto cambio di rotta, interrompendo i rapporti con Taipei. Lo status diplomatico di Taiwan è un tassello della più ampia competizione che Cina e Stati Uniti stanno portando avanti in America Latina.
La Cina vuole ricucire il Medio Oriente post americano
Grazie alla mediazione cinese, Iran e Arabia Saudita hanno annunciato venerdì 10 marzo 2023 la ripresa delle relazioni bilaterali dopo un distacco durato sette anni (2016). Un successo diplomatico non di poco conto di cui la Cina è stata la protagonista.
Forgiato su iniziativa del presidente Xi Jinping e siglato proprio a Pechino porterà a una possibile soluzione, forse entro l’anno, della guerra civile in Yemen. Ma l’intesa va oltre. La Cina si dimostra come «mediatore affidabile e in buona fede», come ha sottolineato Wang Yi, consigliere di stato della Repubblica popolare cinese. Inviando una stoccata verso gli Stati Uniti, il funzionario ha precisato che il mondo non si limita alla guerra in Ucraina e che ci sono altre questioni relative alla pace e al sostentamento delle persone che richiedono l’attenzione della comunità internazionale.
Per Tel Aviv e per gli Stati Uniti la puntata diplomatica cinese è stata una sorpresa. L’accordo segna una sconfitta nel progetto di isolare la Repubblica Islamica, di fatto ridimensionando gli accordi di Abramo, siglati il 13 agosto del 2020 fra Israele, Bahrein, Emirati Arabi Uniti e Stati Uniti. Ciò che Washington teme è che, qualora i conflitti regionali andassero a scemare, attori come Ryad potrebbero fare a meno della dipendenza securitaria americana, smarcandosi dalla sua tutela.
Se i sauditi guardano a Est per ragioni economiche, l’Iran trova nella Cina un affidabile alleato che gli consente di aggirare o di evitare l’isolamento procurato dal mondo occidentale.
Non a caso, dopo il riavvicinamento fra Iran e Arabia saudita, anche Siria ed Emirati Arabi Uniti hanno ripreso i contatti. Il 19 marzo 23 il presidente siriano, Bashar al-Assad, ha effettuato una visita ufficiale ad Abu Dhabi per dirimere questioni di estrema importanza, volte a incrementare la cooperazione, la stabilità e il progresso.
Infine, il 24 marzo 2023 Siria e Arabia Saudita hanno deciso di riaprire le loro ambasciate dopo 11 anni di congelamento delle relazioni diplomatiche. La mossa rappresenta un importante passo in avanti in quello che è stato un graduale processo di reintegrazione della Siria – acerrimo nemico sia degli Usa che di Israele – nell’ovile regionale dopo anni di isolamento.
Tentativi di de-dollarizzazione
Con un ruolo da protagonista e adesso anche da «mediatore» in Europa, la Repubblica Popolare Cinese ha sempre più osservatori in Medio Oriente che la sostengono. Importanti gli accordi contratti da Huawei per la fornitura di servizi Cloud computing all’Arabia Saudita e il progetto Vision 2030.
Con i patti presi in Medio Oriente, il 2023 potrebbe essere ricordato come l’anno della nascita un nuovo ordine mondiale nel mercato energetico globale. Sempre di più il renminbi cinese è utilizzato come valuta di scambio per il petrolio. Lo sforzo di Pechino per scalzare l’egemonia globale statunitense si riflette anche nei tentativi di de- dollarizzazione, tesi all’abbattimento di un muro in cui le transazioni nel mercato del petrolio avvenivano, di fatto, solo in attraverso la valuta americana.
Nel dicembre 2022, Xi Jinping, dopo un incontro con il Consiglio di Cooperazione del Golfo persico (Gcc), ha annunciato che nei prossimi tre/ cinque anni non solo aumenterà le importazioni dai paesi Gcc, ma lavorerà per una cooperazione energetica ad ampio spettro. Ciò significa una alta potenziale attività esplorativa e produttiva in luoghi come il Mar Cinese Meridionale, oltre a investimenti in tutta la catena industriale conseguente: raffinerie, petrolchimica e plastica.
Cina e Unione Europea: un decoupling impossibile
La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e il presidente francese, Emmanuel Macron, si recheranno in Cina all’inizio di aprile; una settimana dopo la visita prevista a Pechino del primo ministro spagnolo, Pedro Sanchez. Lo ha annunciato il portavoce della Commissione Ue, Éric Mamer: la presidente Ursula von der Leyen terrà un discorso sulle relazioni Ue- Cina il 30 marzo.
Anche l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri, Josep Borrell, ha reso noto che presto partirà per Pechino con l’intenzione di esplorare la possibilità di un’azione cinese a favore dell’Ucraina.
I paesi europei, direttamente coinvolti nella guerra commerciale e finanziaria contro Mosca, si vedono costretti a continuare e a aumentare i legami con Pechino con le necessarie conseguenze geopolitiche ed economiche. Per esempio, il Cancelliere tedesco Olaf Scholz non ritiene possibile attuare il disaccoppiamento economico di cui parlano gli statunitensi, sostenuto dalla classe imprenditoriale tedesca, che nei primi tre trimestri del 2022 aveva aumentato del 114% gli investimenti nella Repubblica Popolare. Di fatto la Cina rimarrà il primo partner commerciale per l’Unione Europea come sancito con l’accordo del 2015 stipulato tra Pechino e Bruxelles in occasione della celebrazione dei 40 anni relazioni diplomatiche.
Africa: Russia e America si “distraggono” e la Cina prende il sopravvento
In risposta al vertice USA-Africa tenuto dal presidente Joe Biden con alcune delegazioni africane, anche il ministro degli Esteri Cinese Qin Gang ha effettuato un viaggio nel continente africano. Lo scopo è ed era sottolineare l’importanza del continente. Le tappe, scelte ponderatamente, sono state: Etiopia (snodo geostrategico per il Corno d’Africa), Angola (vecchio socio di Pechino), Gabon (grande produttore di petrolio e gas), Benin (caposaldo francese che ora guarda con interesse Pechino), Egitto(posizione fondamentale per avere rapporti diretti con tutti i paesi locali).
I cinesi sono da tempo il primo interlocutore commerciale in Africa e, secondo i dati delle dogane di Pechino, nel 2022 questo interscambio ha raggiunto i 282 miliardi di dollari. Grazie all’iniziativa «Go Out Policy», con la quale il governo cinese incentiva gli investimenti all’estero, questa politica economica aggressiva ed espansiva si è concretizzata nel Forum on China Cooperation che ogni due anni rinnova l’impegno di Pechino in Africa e rinsalda i rapporti con i capi di Stato locali; al centro c’è la cooperazione infrastrutturale, fondamentale per la modernizzazione del continente.
Proprio negli ultimi anni il governo cinese aveva preso atto del rischio default di alcuni Stati, in particolare di Zambia e Angola con debiti che difficilmente potevano onorare dal momento che alcune infrastrutture chiave, come le ferrovie zambiane o il porto di Mombasa in Kenya, sono in mano alla Cina. In risposta, alcuni dei debiti contratti con il Dragone sono stati rinegoziati o addirittura eliminati.
Ma la presenza cinese non riguarda solo le infrastrutture: nell’ultimo anno ha rafforzato e consolidato la sua presenza in Africa nel campo della cooperazione militare e degli investimenti tecnologici. E’ questo approccio che spinge la Cina verso Gibuti, nazione strategica per il controllo del mar Rosso e del Golfo di Aden. La Repubblica Popolare ha investito molto nel paese ed oggi il debito del piccolo Stato africano detenuto dalla Cina ha raggiunto quasi il 50% del suo prodotto interno lordo. Da sottolineare che Gibuti ospita, dal 2017, l’unica base militare della Cina situata fuori dai confini nazionali.

Proprio qui poche settimane fa è stata annunciata la costruzione di una base spaziale di lancio che sarà gestita dalla società cinese Hong Kong AerospaceTecnhology. Un investimento di quasi un miliardo di dollari che prevede la costruzione di un porto, una ferrovia e altre infrastrutture. Una volta terminata sarà l’unica base spaziale attiva sul continente africano.
Foto in evidenza: “President Kagame and President Xi Jinping of China Joint Press Conference | Kigali, 23 July 2018” by Paul Kagameis licensed under CC BY-NC-ND 2.0. “China festival of lights, dragon” by Alias 0591 is licensed under CC BY 2.0.