Il Paese governato dal partito comunista più grande del mondo è anche quello in cui il cristianesimo sta assistendo a una rapidissima espansione e sul quale la Santa Sede sta puntando per conquistare l’Asia e rendere la Chiesa cattolica veramente universale. Nonostante al suo interno i cristiani siano soggetti a stringenti controlli, alla luce del tasso di crescita degli ultimi decenni le stime più ottimistiche calcolano il numero dei cristiani nel prossimo decennio intorno ai 300 milioni (cfr. Rodney Stark, Il trionfo della fede), ma basterebbe molto meno per fare della Cina il paese con il maggior numero di cattolici al mondo.
I cristiani in Cina: breve storia
Secondo la Encyclopedia of Ancient Christianity, il cristianesimo è stato presente in Cina a partire dal II secolo d.C.; d’altro canto, è solo negli ultimi 200 anni che ha guadagnato una posizione di particolare rilievo. Verso la metà del secolo XIX il cristianesimo divenne una forza politica in grado di mobilitare le masse: famosa è la rivolta di Hong Xiuquan, un uomo che, dopo aver fallito più volte l’esame per diventare funzionario imperiale, dichiarò di essere figlio di Dio e fratello minore di Gesù Cristo, mandato sulla Terra per distruggere la dinastia Qing.
La rivolta – nota anche come Rivolta dei Taiping – ebbe successo e Hong Xiuquan riuscì a impossessarsi di un terzo dei territori dell’impero, fondando uno Stato autonomo caratterizzato dalla comunione dei beni, la totale parità tra i sessi, il divieto di fumare oppio e giocare d’azzardo.
Questo episodio deve essere considerato nel contesto più ampio delle Guerre dell’oppio che nell’’800 piegarono la Cina alle potenze occidentali causandone un declino dal quale sembra essersi ripresa solo nel XXI secolo, e manifesta l’odio per una dinastia che, essendo di etnia manciù, era percepita come non cinese. Al tempo stesso è proprio grazie all’esito di tali guerre che il cristianesimo si è diffuso maggiormente, dal momento che la Cina fu obbligata ad aprirsi al mondo e giunsero numerosi missionari occidentali nelle città costiere più importanti.
Nel 1912 l’impero cinese cadde e fu sostituito dalla Repubblica di Cina, destinata a durare fino al 1949: molti leader politici di questo periodo, come Sun Yat-sen e Chiang Kai-shek, erano cristiani protestanti. Nel 1949 l’affermazione della Repubblica popolare cinese ad opera di Mao Zedong determinò una repressione religiosa su larga scala, anche in virtù delle radici marxiste e quindi dichiaratamente atee del Partito Comunista Cinese (PCC), di cui Mao era il leader.
L’ideologia prevalente era quella maoista e il culto della personalità conferiva a Mao attributi divini, come e più che in età imperiale. Tuttavia, per quanto sulla carta si dichiarò guerra alle religioni in generale, queste furono talvolta tollerate in cambio della loro piena sottomissione al controllo dello Stato cinese. Infatti, parlando di persecuzioni, bisogna anche considerare l’intenzione di eliminare ogni influenza straniera sulla Cina.
Fu il caso dei cristiani protestanti cinesi, che nel tempo erano riusciti a guadagnare una forte autonomia rispetto all’estero e che nel 1951 avevano anche accettato di entrare a far parte del Movimento Patriottico delle Tre Autonomie, nient’altro che un progetto dello Stato cinese per riunire tutti i fedeli sotto la propria ala in una Chiesa protestante unitaria e subordinata alle autorità governative. I cattolici, al contrario, non potevano rinunciare alla loro lealtà alla Chiesa di Roma.
Inoltre, in contrasto con le intenzioni della Santa Sede di trovare un compromesso con le autorità cinesi pur di mantenere la propria presenza sul territorio, il clero cattolico in Cina si ribellò. Di conseguenza, la Cina istituì una Chiesa Cattolica Patriottica, che operava senza connessione con il Vaticano, e i cattolici che restarono fedeli all’autorità papale furono sottoposti a persecuzioni.
La Rivoluzione Culturale (1966-1976) portò all’eliminazione dei luoghi di culto e al bando delle pratiche religiose, e in questa circostanza venne abolito anche il Movimento Patriottico delle Tre Autonomie; è dunque in questo periodo che si originò il fenomeno delle “chiese domestiche”, così caratteristico del cristianesimo cinese, costretto a celebrare le proprie funzioni dentro le mura di casa o sottoterra per sfuggire alle persecuzioni a tappeto.
Verso la metà degli anni ‘70, la morte di Mao Zedong (1976) e l’ascesa di Deng Xiaoping (1978) segnano l’inizio un nuovo capitolo nella storia della Cina e delle sue relazioni con il resto del mondo, con l’introduzione di riforme di stampo liberale tanto dal punto di vista economico come sociale. Nel 1979 il governo ripristinò il Movimento Patriottico, e nel 1980 fu formato il Consiglio Cristiano Cinese (CCC).
Risale al 1982 la Costituzione della Repubblica Popolare Cinese, dove si dichiara che tutti i cittadini hanno il diritto di libertà religiosa. Ed è proprio a partire dai primi anni ’80 che il cristianesimo in Cina assiste ad una crescita vertiginosa. Stando ai dati forniti dallo studioso canadese James Miller nel suo libro Chinese Religions in Contemporary Societies (2006), dai circa 4 milioni di cristiani presenti in Cina nel 1949 (dei quali 3 milioni protestanti e un milione di cattolici), prima ancora delle persecuzioni messe in atto dal Partito comunista e soprattutto ai tempi della Rivoluzione culturale, si è passati agli almeno 44 milioni censiti dal governo cinese nel 2018.
Inoltre, bisogna considerare che: 1) lo Stato cinese è accusato di manipolare i dati dei censimenti; 2) in questi numeri non è chiaro se vengano compresi i cristiani appartenenti alle chiese non ufficiali o a circoli informali 3) molti credenti scelgono di non venire allo scoperto pubblicamente per non essere sottoposti a pressioni o discriminazioni.
Quanti sono i cristiani in Cina
Un articolo uscito nel settembre 2020 sul The Economist censisce addirittura 38 milioni di cristiani protestanti e 10-12 milioni di cattolici, rendendo di fatto la Cina contemporanea un paese dove il numero di cristiani è superiore a quello di Francia e Germania, entrambe ferme sui 40 milioni. Nello stesso articolo ci viene fatto notare che insieme ai 23 milioni di musulmani i fedeli delle due religioni abramitiche superano probabilmente gli aderenti al Partito comunista, rendendo quella religiosa una questione scottante della Cina contemporanea (ricordiamo il ruolo importante che cristiani e in particolar modo cattolici hanno avuto nelle proteste di Hong Kong). In particolare, il cristianesimo è la religione che cresce più velocemente, trainata dall’evangelizzazione protestante.
Ne Il trionfo della fede il sociologo e studioso delle religioni statunitense Rodney Stark colloca il numero dei cristiani nel 1980, cioè dopo parecchi decenni di repressione, attorno ai 10 milioni. Ammettendo che nel 2007 ci fossero 60 milioni di cinesi cristiani (anche se le stime secondo altri sono fin troppo ottimistiche), con un tasso di crescita del 7% annuo, nel 2030 potrebbero raggiungere i 295 milioni. Nella loro diversità, tutte le fonti sono unanimi nel sottolineare l’importanza che le religioni stanno assumendo e assumeranno nella Cina del futuro, e giustifica le aperture che a partire dal 2018 caratterizzano i rapporti tra Pechino e la Santa Sede.
In primo luogo, il cattolicesimo è stato da sempre più abile nella gestione dei rapporti con Stati terzi, spesso autoritari, determinati a servirsi della religione in qualità di instrumentum regni dando vita a un distaccamento nazionale della Chiesa di Roma. L’avvicinamento, divenuto esplicito con l’accordo biennale firmato da Papa Francesco nel 2018, era già iniziato con Ratzinger e il suo predecessore Woytila, fatto che ha rassicurato le autorità cinesi spingendole a vedere nel Vaticano un interlocutore affidabile.
Dal punto di vista demografico, le ricerche degli ultimi 20 anni rilevano che la popolazione protestante consiste per la maggior parte di persone illetterate o semi-illetterate, anziani e donne, e che il protestantesimo possiede la percentuale più bassa di fedeli che sono al tempo stesso iscritti al Partito Comunista Cinese rispetto alle altre religioni presenti in Cina.
Al contrario i cattolici, per quanto inferiori di numero, sono complessivamente più giovani, benestanti e istruiti. Lo storico accordo raggiunto nel 2018 fu definito ad experimentum, cioè di natura provvisoria con durata prefissata di due anni, ma prorogato nel 2020 e poi ancora nel 2022; sebbene il suo testo non sia mai stato reso pubblico, sappiamo che consiste in un accordo sulle nomine dei vescovi, concordati tra il papa e le autorità cinesi.
L’obiettivo era quello di superare la divisione tra le due Chiese in Cina, quella ufficiale, in cui le nomine venivano fatte dal governo di Pechino, e quella cosiddetta “clandestina” che rispondeva a Roma: a partire dalla fine degli anni ‘Cinquanta’50, infatti, le ordinazioni episcopali illegittime (celebrate cioè senza consenso papale) avevano provocato «lacerazioni dolorose tra i cattolici cinesi», come scrive in un articolo del settembre 2022 l’Agenzia Fides, organo di informazione sulle opere missionarie del Vaticano.
Quest’ultimo è interessato a porre radici in un continente dove possiede solo il 2% dei fedeli. Incapace di rimuovere la gabbia del controllo statale che in Cina ancora incombe sulla Chiesa cattolica, intende in questo modo aumentarne il volume. Inoltre, la sostanza dell’Accordo ha a che fare con la validità dei sacramenti celebrati nelle parrocchie della Repubblica popolare cinese, i quali infatti costituiscono un aspetto fondamentale del rito cattolico, e all’infuori dei quali decine di milioni di cinesi sarebbero rimasti “esclusi” dalla Chiesa.
Il controllo di Pechino
Oggi, nonostante l’accordo, anche le comunità cattoliche subiscono la politica della “sinizzazione”, cioè il programma ideologico secondo il quale nel Paese tutto, comprese le fedi religiose, i costumi e le arti, debba avere “caratteristiche cinesi”, stabilite dalle autorità governative. Inoltre, va considerata la repressione messa in atto da Xi Jinping: parallelamente all’accordo con Roma, il Presidente della Repubblica popolare vuole essere sicuro di mantenere il controllo sulla situazione, e a partire proprio dal 2018 ha promosso una politica di stringente controllo che prevede che i cattolici prestino giuramento di fedeltà allo Stato e a lui medesimo. Non poche sono le perplessità di quanti si aspettavano dall’accordo del 2018 una svolta nel trattamento riservato dallo Stato cinese ai cristiani, anziché un irrigidimento.
Descrivere la situazione attuale dei cinesi cristiani è complicato: tenendo conto dell’enorme estensione della Repubblica Popolare, la situazione varia sensibilmente a seconda della zona geografica e della fetta di società che si prendono in esame. È indubbio, infatti, che la pratica religiosa sia sottoposta a un forte controllo da parte delle autorità: in Cina per diventare cristiani bisogna appunto attendere i 18 anni, età dopo la quale è possibile aderire ai gruppi cristiani ufficialmente autorizzati e registrati nella Chiesa Cattolica Patriottica, il Consiglio Cristiano Cinese e la Chiesa Protestante delle Tre Autonomie.
Al tempo stesso, queste norme non sono applicate ovunque e con la stessa rigidità, e in certe regioni della Cina i fedeli godono di libertà piuttosto ampie. Come in passato, molti cristiani fanno ancora parte di reti clandestine e congregazioni non ufficiali, chiese domestiche o sotterranee. Secondo alcuni analisti e sinologi, non è veramente in atto alcuna campagna contro i cristiani: se la Cina volesse eliminare la religione cristiana dal proprio territorio, non avrebbe problemi ad applicare misure autoritarie come fece contro i seguaci del Falung Gong nel 1999, appena vent’anni fa, praticamente cancellati dal paese nel giro di pochi mesi.
Pechino starebbe invece fissando nuove regole riguardo alla registrazione di sacerdoti e luoghi di culto, per garantirsi che in futuro la situazione non gli sfugga di mano. Inoltre, ci sono gruppi di fedeli che si definiscono cristiano cattolici ma in realtà esprimono un guazzabuglio di antiche credenze taoiste. Insomma, degli pseudo cristiani, analogamente ai Taiping che nel XIX secolo si rivoltarono contro l’imperatore suscitando una guerra nella quale perì forse anche il 20% della popolazione cinese.
È questa la paura principale di Pechino, impegnata negli ultimi decenni in quella che invece è a tutti gli effetti una repressione nei confronti della cosiddetta Chiesa di Dio Onnipotente, il più grande dei movimenti religiosi cinesi contemporanei. Quest’ultima, forte di almeno 4 milioni di fedeli, proclama che Gesù sia tornato sulla Terra nella forma di una donna cinese, Yang Xiangbin, nata nel 1973 nella Cina nordoccidentale, per chiudere l’era presente e giudicare definitivamente l’umanità.
Sette religiose come questa agiscono spesso all’insegna del fanatismo e compiono attentati terroristici contro il resto della popolazione, giudicando i comuni cittadini atei (che, ricordiamolo, rappresentano ancora la stragrande maggioranza della popolazione cinese) incarnazioni terrene del Demonio.
Il caso più famoso è sicuramente quello dell’irruzione da parte di un gruppo di fedeli in un ristorante McDonald’s della città di Zhaoyuan, nella provincia cinese di Shandong, il 28 maggio 2014: alla richiesta di fornire il proprio numero di telefono per essere poi ricontattata in seguito, una cliente si è rifiutata scatenando l’ira della comitiva, che l’ha uccisa colpendola ripetutamente con il manico di uno scopettone. La notizia del crimine ha destato scandalo in tutta la Cina, portando la società a interrogarsi sulla natura controversa dell’esperienza religiosa e degli effetti che può provocare nelle menti più instabili.
Foto in evidenza: “MG Motor UK Limited – Lowhill Lane, Longbridge – Chinese flag” by ell brown is licensed under CC BY-SA 2.0, “First Chinese Church of Christ” by Joel Abroad is licensed under CC BY-NC-SA 2.0.