L’attacco di Hamas trova il Mossad impreparato e ne scalfisce il mito. La storia, l’addestramento e le vittorie (con qualche fallimento) del servizio segreto israeliano
In questo report:
- Come si entra nel Mossad e cosa si sa dell’addestramento
- Dalla caccia ai nazisti allo Yom Kippur: breve storia del Mossad
- Il fallimento della tecnologia e l’attacco di Hamas
“Attraverso l’inganno faremo la guerra”. È questo il motto di uno dei servizi segreti più temuti al mondo, l’”Istituto per l’intelligence e i servizi segreti” dello Stato d’Israele, meglio noto come Mossad.
Nato nel 1949 per mano di uno dei “padri della patria” David Ben Gurion, aveva l’iniziale obiettivo di coordinare i due servizi già esistenti: Aman e Shin Bet. Come è ben noto in questi giorni, il Mossad oggi ha l’incarico di prevenire attacchi ad Israele di qualsiasi forma, coordinando attività di spionaggio, sabotaggio e spesso anche interferendo con la politica.
Pensiamo alla prima operazione nota al grande pubblico, il prelievo dall’Argentina del criminale nazista Otto Adolf Eichmann, colui che gestì l’organizzazione della soluzione finale. Il Mossad riuscì ad individuarlo – poiché l’uomo era riuscito a fuggire con la famiglia oltreoceano ed evitare il processo di Norimberga -, portarlo in Israele e iniziare le udienze prima che altri Stati potessero intervenire.

Eichmann, infatti, doveva essere giudicato in Germania come cittadino tedesco, ma Israele rifiutò sempre l’estradizione, poiché la pena di morte a cui volevano condannarlo lì era stata abolita. Per questo il Mossad dovette operare velocemente, senza condividere informazioni o collaborare con nessuno.
Il processo al funzionario nazista portò alla pubblicazione del capolavoro di Hannah Arendt “La banalità del male”, nato dagli articoli che scrisse delle sedute in tribunale. La Arendt stessa racconta nelle prime pagine del libro l’importanza che il Mossad ricoprì all’interno della vicenda. Da quel momento il servizio segreto israeliano si distinse per altri successi, diventando il più temuto del mondo.
Reclutamento, addestramento, indottrinamento
Negli anni le vie per entrarvi sono cambiate. Inizialmente bisognava fare richiesta ad un’ambasciata israeliana o statunitense, oppure passare per l’esercito. Ad oggi il Mossad ha deciso di sveltire le operazioni, aprendo perfino una pagina Facebook in cui è possibile fare richiesta, insieme alla curiosa sezione “lavora con noi” del loro sito governativo.
Si diventa così katsa, agenti operativi sottoposti a durissime prove di addestramento. Sui metodi che il Mossad usa per preparare i propri agenti vi è un gran segreto, squarciato da qualche solitaria pubblicazione di spie oggi in pensione o che vivono sotto falso nome. È il caso di Nima Zamar (pseudonimo), francese di origine ebraica che ha raccolto la sua esperienza nel libro “Ho dovuto uccidere”:
“L’interesse supremo della nazione richiede curiosi sacrifici. Forse il più difficile è quello di aumentare al massimo la propria sensibilità psicologica. Vedere tutto, sentire tutto, capire tutto e indovinare il resto. L’allenamento fisico richiede solo tempo ed energia, oltre a una forma mentis predisposta a concedere entrambe le cose senza fare storie. Investire le proprie risorse nella sensibilità è più complicato perché genera un dolore quasi costante”.
Altro libro fondamentale per comprendere il Mossad è “Attraverso l’inganno” di Victor Ostrovsky. Canadese di origine ebraica, oggi ultra-settantenne, ha raccontato più nel dettaglio a cosa le aspiranti spie vanno incontro.
Dopo iniziali test attitudinali e psicologici, che possono anche durare ore, avviene un’iniziale scrematura dei candidati. Seguono altri appuntamenti in cui i candidati sono sottoposti a serrati interrogatori che mettono a nudo le loro vite, la storia delle famiglie, ambizioni, paure, perfino dubbi morali ed etici.
Ostrovsky racconta che una delle domande è «pensi che uccidere per il tuo Paese sia una cosa negativa?».
Solitamente questa fase dura quattro mesi, con un interrogatorio ogni tre giorni. Saggiata così la forza d’animo e l’integrità morale secondo gli standard richiesti, si passa alla visita medica. Se superata, si entra ufficialmente nell’organizzazione. Seguono due anni di durissima preparazione fisica e psicologica.
Lavorare sotto copertura per il Mossad
L’indottrinamento avviene nella Midrasha, sede dell’accademia del Mossad. Si impara a resistere al dolore fisico, alla tortura, a privazioni di sonno, cibo e acqua. Ostrovsky spiega che spesso ci si accontenta di due tazze di tè al giorno.
Ci sono poi aspetti più tecnici: saper vivere e lavorare sotto copertura, saper plasmare la propria personalità su di essa fin quando gli stessi agenti esperti del Mossad non riescono più a riconoscere la realtà dalla finzione.
Questo avviene in colloqui che durano ore, in cui il katsa viene registrato. Egli deve vedersi e rivedersi fin quando non impara ad essere un’altra persona. Diversi agenti hanno paragonato questo processo ad una seduta di autocoscienza.
Zamar racconta invece delle privazioni psicologiche e dell’indottrinamento, che diventa parte integrante della personalità. Lei stessa si dice stupita della potenza che il suo corpo era in grado di generare una volta che questo addestramento era completato. Senza emozioni, senza rimorsi, parla di un vero e proprio lavaggio del cervello che rende i katsa armi letali.
Le stesse nozioni di giustizia e di etica vengono completamente capovolte. È giusto sparare anche se sono coinvolti civili, il benessere dello Stato è al di sopra della giustizia, è il giusto stesso. Uccidere per servire lo Stato è un dovere. Non stupisce che ben pochi riescano a portare a termine un tale percorso. Su 5mila aspiranti, in media, solo 5 entrano a tutti gli effetti nel Mossad.
Una storia di successi (con qualche errore)
Dopo la cattura di Eichmann, la storia del Mossad è costellata da azioni spettacolari e coronate da successo, che ne hanno rafforzato l’immagine. Proprio la caccia ai nazisti sfuggiti a Norimberga ha costituito un campo di prova importante. Oltre allo stesso Eichmann contiamo l’assassinio di Herbert Cukurs, mentre il tristemente celebre Josef Mengele riuscì a sfuggirgli solo per annegare al largo della costa brasiliana.
Sempre ad opera del Mossad, il celebre discorso di denuncia dei crimini di Stalin di Nikita Chrusciov che venne intercettato e consegnato a Washington, creando non poco scompiglio e provocando reazioni di portata globale.
Ricordiamo ancora l’operazione “Ira di Dio”, con il quale il Mossad prese di mira ed eliminò numerosi membri di Settembre nero e dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, oltre al sabotaggio del sistema missilistico iraniano tra gli anni Sessanta e Settanta.
Avvicinandosi alla cronaca di questi giorni, nel 2008 venne ucciso in Siria Imad Mughniyah, uno dei leader di Hezbollah, mentre solo nel 2005 il Mossad aveva eliminato Ahmed Yassin, leader spirituale di Hamas. Tutti nomi che gli occidentali hanno riscoperto di recente, nel modo peggiore.
Il Mossad ha avuto un ruolo di primo piano anche per quanto riguarda gli scenari bellici che hanno coinvolto Israele nel Novecento. Il caso più celebre fu quello di Eli Cohen, spia che recuperò preziose informazioni militari che permisero di conquistare il Golan durante la guerra dei Sei giorni. Cohen finirà impiccato in una piazza di Damasco, ma è tutt’ora l’agente simbolo di questo servizio segreto.

I fallimenti non mancano, ovviamente. Il gerarca nazista Walter Rauff gli sfuggì sempre, e più volte gli agenti israeliani fecero fuoco sulla persona sbagliata. Il caso più emblematico fu quello di Ahmed Bouchiki, cameriere marocchino assassinato perché confuso con uno dei leader di Settembre nero.
Il primo “fallimento” del Mossad: la guerra del Kippur
La più grave falla del Mossad rimane però quella della guerra del Kippur. Oggi i parallelismi con quanto sta accadendo sulla Striscia di Gaza si sprecano. Ed effettivamente le analogie non sono poche. Nel 1973 l’Egitto attaccò in Sinai provando una gravissima crisi militare e uno dei conflitti a più alta intensità della storia per quantità di materiale bellico utilizzato.
La situazione si stabilizzò grazie ad un intervento risoluto di Kissinger, presa senza consultare il presidente Nixon. L’abile diplomatico capì che il presidente era troppo provato dallo scandalo Watergate per agire con decisione, e di fatto lo tagliò fuori dai negoziati.

Anche nel 1973 Israele si trovò colta alla sprovvista. Si pensava che gli Egiziani, con cui la tensione era alle stelle, non avrebbero attaccato senza gli aerei militari di ultima generazione promessi dall’Unione Sovietica. Una previsione che si rivelerà completamente errata.
Inoltre, sole sei ore prima del conflitto, l’agente senior del Mossad Ashraf Marwan (genero del presidente egiziano Nasser) cambiò idea e predisse l’attacco. In queste sei ore l’allarme venne preso sotto gamba, e si ritenne di optare per una chiamata alle armi lenta e graduale.
Dopo alcuni giorni di rovesci militari, Tel Aviv riuscì a reagire grazie a una potente controffensiva e all’appoggio diplomatico degli Stati Uniti, ma perse comunque la patina di invincibilità acquisita con la guerra del 1967. Non a caso L’Opec, cartello dei Paesi arabi esportatori di petrolio, scatenò proprio in quell’anno il blocco al commercio con l’Occidente come ritorsione per l’aiuto fornito a Gerusalemme.
Come leggere il fallimento nel prevedere l’attaco di Hamas
Sabato 7 ottobre i miliziani di Hamas, organizzazione dal passato e dalla storia complessi, ha attaccato Israele con modalità che per molti sono da definire terroristiche. Uomini armati hanno colpito indistintamente i civili sulla frontiera della Striscia di Gaza, arrivando a decapitare i bambini. Inoltre, sono stati presi numerosi ostaggi, un elemento ulteriore di discussione politica ed etica che incendia i dibattiti odierni.
Ciò che colpisce è che, stando a quanto sappiamo in data odierna, il Mossad non aveva recepito il pericolo, né aveva allertato politici e militari di movimenti sospetti di materiale bellico o uomini.
Eli Maron, ex capo della Marina israeliana, ha dichiarato: «È un fallimento colossale, la classe dirigente ha semplicemente fallito, con enormi conseguenze».
Ciò che vi è di sicuro è che un attacco di così ampio respiro, organizzato nei minimi dettagli, ha richiesto mesi di lavoro. Si sono dovuti ammassare gli uomini, armarli, rifornirli. Da quanto emerso i miliziani di Hamas avevano già effettuato sopralluoghi attraverso dei complici, ed una volta entrati in territorio palestinese hanno potuto addirittura registrare video di propaganda mentre uccidevano i civili, incontrastati.
Un evento drammatico, che stona con la preparazione di Israele sulla frontiera. Solo una settimana prima dell’incursione, funzionari NATO visitavano le barriere ad altissima tecnologia che il governo di Gerusalemme aveva preparato. Vi sono droni che sorvolano l’area dotati del software Red wolf, potenziato dall’intelligenza artificiale per riconoscere i volti. Poi torrette automatiche e telecamere sparse ovunque.
La barriera su cui tutta questa tecnologia trova posto è alta sei metri, dotata di sensori per il monitoraggio biometrico. È stata sfondata in più punti come fosse di carta dai caterpillar di Hamas, oppure aggirata dagli “uomini rana” o miliziani in deltaplano a motore. Pare che il Mossad avesse avuto segnalazioni di esercitazioni di questi reparti.

L’attacco di Hamas, dal punto di vista strettamente militare, entrerà nella storia e insegna molto sui limiti della protezione che robotica e intelligenza artificiale sono in grado di fornire, almeno ad oggi. Anche il fallimento del fattore umano è però importante. Il generale israeliano in pensione Amir Avivi ha dichiarato che la raccolta di informazioni nella Striscia avviene tramite mezzi tecnologici e sempre meno tramite uomini e donne infiltrati e sotto copertura.
Pare che, per citare il generale, i miliziani siano «tornati all’età della pietra». Per aggirare i servizi segreti non hanno utilizzato apparecchiatura tecnologica, neanche cellulari o computer. Erano dotati, però, di modernissime apparecchiature per ingannare i sensori elettronici sulle barriere.
Un ex leader del Mossad, Efraim Halevy, ha dichiarato che: «Non avevamo la minima idea di cosa stesse succedendo. Non abbiamo avuto avvertimenti di nessun tipo fino alla mattina dell’attacco. Dobbiamo ammettere che l’operazione è stata ben preparata e perfettamente coordinata»
Faqiri parla anche dello stupore che i servizi segreti hanno sperimentato per l’importante quantità di missili usata da Hamas, circa 3mila. Non si credeva l’organizzazione palestinese in grado di produrne così tanti, in particolare riuscendo a mantenerne la costruzione segreta.
Mettendo da parte per un secondo l’orrore degli eventi di questi giorni, e analizzando il solo lato militare e di spionaggio, è evidente come Hamas abbia colpito un nemico facendo leva sui suoi punti di forza, che si sono rilevate debolezze. La stessa tecnica militare, che sembra andare verso una sempre maggiore automatizzazione e l’uso di macchine al posto di uomini, ha subito un brusco arresto.
Il problema attorno al quale ragionare è che uno dei più moderni Stati del mondo, con l’attrezzatura più sofisticata ad oggi disponibile, sia stato schiacciato da “banali” mezzi di demolizioni e aggirato da deltaplani a motore.
Bisognerà poi capire dove si annida l’errore che Israele ha compiuto. Potrebbe essere la tecnologia a non essere pronta, oppure l’uomo a non essere in grado di leggere i dati forniti da essa. La cosa certa è che la dottrina utilizzata da Tel Aviv si è rivelata catastrofica, e a farne le conseguenze è ancora una volta una delle zone più tormentate del mondo.