La Germania in difficoltà potrebbe tenere aperto un reattore, mentre l’Ue inserisce l’atomo tra le energie verdi
Parlando in un incontro con i cittadini a Berlino, il ministro dell’Economia e della Protezione Climatica tedesco Robert Habeck ha dichiarato che «se le famiglie e le industrie taglieranno il proprio consumo di gas del 15-20%, allora avremo ottime possibilità di superare l’inverno». L’intento era quello di rassicurare, ma è una grandissima ammissione di debolezza. La Germania, la più importante economia d’Europa e la quarta al mondo, è talmente dipendente dalle importazioni di gas russo che deve tagliare di un quinto i suoi consumi quasi da un giorno con l’altro, con ripercussioni potenzialmente enormi sulla sua produttività.
In ben altre circostanze, l’energia, dell’accordo di governo firmato a Berlino lo scorso anno tra socialdemocratici, Verdi e liberali. Gli ecologisti, di cui Habeck è co-presidente, erano tornati al governo dopo i 16 anni targati Merkel con un’agenda molto decisa per quanto riguarda la protezione dell’ambiente. L’aumento dei prezzi dell’energia, acuitosi enormemente dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, ha cambiato lo scenario. I Verdi, fermi nel loro supporto a Kiev, hanno accettato di riaprire le centrali a carbone per sopperire alla riduzione del gas russo: da Mosca Berlino dipendeva infatti per quasi la metà dei propri consumi. per una miope eredità dell’era Merkel.
E se di questo lascito della cancelliera gli ecologisti avrebbero fatto volentieri a meno, su un altro non vogliono proprio tornare indietro: l’addio al nucleare. Dopo l’incidente alla centrale di Fukushima nel 2011, il governo Merkel decise di abbandonare l’atomo. Oggi in Germania rimangono accesi solamente 3 reattori, che dovrebbero essere spenti entro la fine dell’anno. Da più parti, inclusi gli alleati di governo liberali, si levano voci perché la vita delle centrali venga prolungata.
I Verdi però sono contrari, con Habeck che evidenzia come il ruolo del nucleare in Germania sia ormai residuale, dunque non farebbe una grande differenza fermare le chiusure. L’unica centrale che potrebbe ottenere un’eccezione è quella di Isar in Baviera: lo farà solo se uno stress test potrà dimostrare che è in grado di fornire un aiuto energetico sufficiente per quest’inverno.
I tormenti di chi ha abbandonato il nucleare in Europa
La Germania non è l’unico Paese europeo ad aver scelto di abbandonare l’atomo dopo Fukushima. Una scelta simile è stata presa dalla Svizzera, che dopo l’incidente in Giappone ha deciso di non costruire nuove centrali e di dismettere i cinque reattori attuali al termine del loro ciclo vitale. Anche il Belgio aveva deciso per il phase out nucleare entro il 2025. La guerra in Ucraina però, ha portato il governo guidato dal liberaldemocratico Alexander De Croo a prolungare di almeno 10 anni la vita di due reattori. «Per troppo tempo al nostro Paese è mancata visione e questo ha creato molta incertezza», ha dichiarato il primo Ministro annunciando la decisione.
De Croo guida una fragile coalizione di 7 partiti (in Belgio non esistono partiti nazionali, ma solo compagini fiamminghe e vallone). Per unirvisi nel 2020, i verdi avevano preteso l’addio all’atomo entro il 2025, ma hanno convenuto con la scelta di allungare la vita ai reattori Dohel 4 e Tihange 3. Nel frattempo però l’esecutivo ha annunciato che nella notte tra il 23 e il 24 settembre il reattore Dohel 3 sarà scollegato dalla rete elettrica: simile sorte per il Tihange 2 entro il prossimo 1 febbraio. Il Belgio per ora sembra insomma voler mantenere la sua volontà di passaggio alle rinnovabili, utilizzando il nucleare solo per pochi anni come fonte di transizione. Vedremo se il piano andrà avanti o se subirà altri passi indietro.
L’Unione europea spinge per l’atomo
Proprio nella capitale belga l’energia atomica ha ottenuto una grande vittoria che secondo molti ne segna una vera e propria nuova gioventù. Le istituzioni europee infatti hanno deciso di inserire nucleare e gas tra le fonti energetiche della tassonomia verde, meritevoli di aiuti economici perché pulite. Grande sponsor della scelta è stato il presidente francese Emmanuel Macron. Parigi è il principale produttore di energia atomica in Europa e Macron ha vinto le elezioni quest’anno anche grazie alla sua difesa a spada tratta dell’atomo, osteggiato invece dai verdi e dalla sinistra. La Francia non solo non abbandonerà il nucleare, ma costruirà almeno 6 nuovi reattori nei prossimi anni.
Simili a quelle francesi le scelte di Regno Unito e Paesi Bassi. Il governo di Boris Johnson ha annunciato di voler costruire 8 nuovi reattori per produrre tramite nucleare il 25% della propria domanda di energia entro il 2050. All’Aia invece, l’atomo è stato uno dei collanti su cui il primo Ministro Mark Rutte è riuscito a trovare un patto di coalizione dopo mesi di estenuanti trattative.
A differenza della Germania, per l’Olanda l’energia atomica è necessaria per compiere una definitiva transizione ecologica. All’unico reattore presente nel Paese ne saranno aggiunti 2 nei prossimi anni. La Polonia invece, che oggi non produce energia nucleare, ha deciso di costruire una centrale con 6 reattori entro il 2033. La scadenza sembra ottimista a molti esperti, ma il governo di Varsavia, ancora fortemente dipendente dal carbone, ha tracciato la via.
E l’Italia?
La spinta nuclearista presente in Europa inizia a farsi sentire anche in Italia. L’argomento è al centro dell’attuale campagna elettorale, con il centrodestra e il terzo polo favorevoli al ritorno all’atomo, mentre centrosinistra e Movimento 5 Stelle sono contrari. In seguito al referendum del 1987 infatti, l’Italia ha chiuso le sue centrali nucleari. Il governo Berlusconi IV tentò di tornare a produrre energia atomica nel nostro Paese, ma un ulteriore referendum bloccò il progetto nel 2011.
Legalmente oggi in Italia è possibile approvare un piano per tornare all’atomo: i referendum abrogativi hanno infatti una durata di 5 anni. I favorevoli sottolineano il grande pregio di non essere inquinante e di avere bisogno di poche materie prime, ma i contrari ricordano che ripartire da zero è molto costoso e necessita di tempi lunghi. In un’analisi seria però, bisogna considerare che l’alternativa difficilmente sono le sole fonti rinnovabili, che per loro natura sono intermittenti.