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Esercito europeo: un’analisi cinica

Durante il discorso sullo Stato dell’Unione la Presidente von der Leyen ha auspicato la nascita di una difesa comune europea ma con questi propositi è un fallimento annunciato

“Nelle ultime settimane vi sono state numerose discussioni sulle forze di spedizione, sul loro tipo e sul loro numero: gruppi tattici o forze di intervento dell’UE. Tutto questo è senza dubbio parte del dibattito e credo che farà anche parte della soluzione. La questione fondamentale, però, è il motivo per cui in passato ciò non ha funzionato. Si possono avere le forze più avanzate al mondo, ma se non si è mai pronti a utilizzarle, qual è la loro utilità? Ciò che ci ha frenato finora non è solo una carenza di capacità: è la mancanza di volontà politica.” Questo è un estratto di quanto la Presidente Ursula von der Leyen ha dichiarato durante l’annuale discorso sullo stato dell’Unione. Si è parlato di molte cose, dal green deal al cyber spazio, per arrivare al tema scottante di un esercito europeo comune. Questo estratto non è però importante solo perché sembra essere una prima e chiara presa di posizione sul tema della difesa all’interno della UE ma anche, e principalmente, perché è pieno di mezze verità.

Definire forze più avanzate del mondo” gli asset militari dei paesi UE è nella migliore delle ipotesi una svista, nella peggiore un colpevole tentativo di sovra rappresentare davanti ai profani la nostra reale situazione. Dichiarare che non si agisce, nel mondo, per pura mancanza di volontà politica rientra nella stessa categoria d’azione.

Non agiamo perché non possiamo, e non potremo per molto tempo, in particolar modo se quanto millantato dalle organizzazioni europee dovesse diventare realtà: creare un comando centrale a Bruxelles che gestisca un rinato “esercito europeo” potenziato rispetto all’attuale struttura degli EUBattlegroups e con capacità expeditionary e una struttura di Joint Situational Awarenesscentralizzata. Il gergo militare impiegato nel discorso è volutamente nebuloso ma vedremo nel dettaglio cosa significano questi termini tecnici usati sia dalla Presidente che dal Generale Graziano, attuale presidente del Comitato Militare dell’Unione Europea.

Inoltre, vista l’entità che un tale piano dovrebbe avere sul panorama geopolitico e strategico mondiale non possiamo esimerci dal fare un parallelo con l’organizzazione, in tali campi, delle forze armate degli USA. Sebbene tenendo conto le dovute differenze del caso è comunque opportuno raffrontare ciò che si vorrebbe fare in Europa con ciò che è, ad oggi, lo stato dell’arte in tali campi a livello globale. Gli americani sono ad oggi il più capace e performante apparato bellico sotto molti punti di vista, tra cui spiccano per l’appunto sia la Joint Operability and Situational Awareness che le notevoli capacità Expeditionary. Tracciare una linea di ciò che questo significa in America sarà utile a capire perché il progetto europeo è destinato a non funzionare.

Esercito europeo: la guerra è questione di numeri

Prima di iniziare a parlare di Battlegroups bisogna chiarire un punto preliminare: cos’è una brigata. Una brigata è la più piccola delle “Grandi Unità” di un esercito ovvero quei macro-raggruppamenti che formano capacità combattive autonome, in pratica il minimo impiegabile in maniera autonoma per un’operazione.

Generalmente parlando dai 1500 ai 3000 uomini formano una Brigata, con multiple brigate, da 3 in su, che formano una divisione che è il vero nodo su cui si instaura una pianificazione strategica e i movimenti delle unità sul campo. Per capirci, durante la Seconda guerra mondiale, i tedeschi lanciavano in contro i sovietici svariate decine di divisioni alla volta, specialmente intorno a Stalingrado e Leningrado.

Ora, un Battlegroup europeo è un’unità a livello di Brigata, generalmente formato da forze provenienti da 2 o più nazioni e pronto all’uso in qualsiasi momento. Si tratta di unità prevalentemente omogenee e che difficilmente includono reggimenti diversi da quelli meccanizzati, di fanteria, ranger o esploranti. Per questo possono essere anche definiti delle Light Brigades o Rapid Reaction Forcesovvero delle unità dispiegabili rapidamente ma non in grado di condurre un combattimento frontale contro un esercito regolare in autonomia.

Una delle più famose di queste unità è il Multinational Land Force composto da elementi italiani, sloveni e ungheresi, formato per l’appunto da alpini e qualche unità motorizzata e di fanteria leggera. L’Unione Europea mantiene attivi contemporaneamente due Battlegroups, per un totale di circa 3000 uomini di fanteria prevalentemente leggera.

Ora, il progetto di ammodernamento presentato dal Generale Graziano prevede che tale numero venga aumentato a 6000 uomini divisi in 4 Battlegroups e che venga inserita anche qualche capacità pesantetra le componenti dei vari gruppi tattici. In sostanza si raddoppierebbe il numero inserendo un minimo di capacità corazzata per dare sostanza al tutto e rendere i Battlegroups una specie di Divisione leggera europea.

Anche ammesso che ciò si possa fare il discorso è deludente: qualche mese fa, con il solo intento di mostrare i muscoli e senza scomodare forze specifiche, la Russia di Putin ha schierato al confine con l’Ucraina circa 200mila uomini e circa 1000 mezzi corazzati. Secondo il piano di Graziano potremmo schierare come prima risposta solo 6000 uomini di fanteria leggera e forse una cinquantina di carri armati. Ovviamente non stiamo considerando la presenza di eventuali forze armate nazionali perché il nostro intento è analizzare l’utilità di questo “potenziamento” delle “forze armate europee”.

Per fare un altro esempio: è generalmente riconosciuto che per sconfiggere una resistenza in un territorio ostile in una situazione di occupazione o Counterinsurgency sia necessaria una forza di occupazione equivalente ad almeno un soldato ogni 100 abitanti, anche 1 a 50 se la popolazione ha facile accesso alle armi.

Ora, un progetto definito “ambizioso” da alcune delle massime entità politico-militari del nostro continente potrebbe, secondo questo criterio, avere notevoli difficoltà nell’occupare una città della dimensione e con una popolazione simile a quella di Genova o Palermo anche se utilizzasse l’intera forza militare a disposizione dell’Unione Europea. Traslando il discorso a più realistici contesti non fa che peggiorare: figurarsi tale poderosa forza militare occupata a gestire contesti altamente dinamici, per esempio nella costa sud del Mediterraneo.

Esercitazione NATO “Iron Wolf”.

La capacità Expeditionary, sogno lontano

Per capacità Expeditionary s’intende la capacità in capo ad una forza armata di proiettare la propria potenza militare in vari luoghi del globo, anche lontani dalla propria area geografica di competenza, in breve tempo e di mantenerli operativi in maniera semi autonoma per un sufficiente lasso di tempo.

L’unico attore globale, attualmente, che si può senza dubbi definire Exepeditionary capable sono gli stati uniti d’America, seguiti a ruota dalla Cina che sta rapidamente strutturando forze tali da garantirsi questa preziosa capacità militare. In generale questa tipologia di approccio dottrinario e/o strategico richiede una serie di prerequisiti che permettono alle forze expeditionary di operare al pieno delle loro capacità senza incorrere in complicazioni esponenziali o rischi eccessivi per il personale.

Il primo requisito è la capacità di operare in un contesto Joint, ovvero in cui il comando dell’operazione sia centralizzato a prescindere dalle varie Armi presenti nella forza di spedizione (nel caso americano si tratta spesso di Marines, Navy e Air Force). Questa caratteristica non è da sottovalutare vista la drammatica incapacità delle forze armate delle nazioni europee di sviluppare questo tipo di competenza, come vedremo più avanti.

Il secondo e più importante elemento è la disponibilità di una potente flotta da Blue Watere la presenza di basi di proprietà o alleate sparse in gran parte delle regioni del globo, utilizzabili sia come punto di lancio della spedizione che come eventuale appoggio in situazioni di necessità. Il terzo punto è di natura prettamente tecnica e riguarda il tipo di mezzi militari di cui si dispone e con cui si potrebbe equipaggiare le forze inviate sul campo.

Le forze armate americane mantengono due principali strutture expeditionary: gli Stryker Brigade Combat Teams e le tre forze di spedizione dei marines, o MEF. Per quanto riguarda gli SBCT si tratta di brigate di fanteria meccanizzata su blindati, gli Stryker per l’appunto, capace di essere trasportata ovunque nel mondo tramite i C130 Hercules, con tanto di mezzi di supporto, e che può schierare, ovunque, fino ad una brigata in 96 ore o una divisione intera in 120.

Gli Stryker in dotazione a queste brigate sono sia in versione Dragoon, ovvero cacciacarri, che nella versione per il supporto della fanteria e trasporto. Le Marines Expeditionary Forces sono invece tre divisioni operative dei marine con al loro interno tutto l’alveo di competenze, dall’aereonautica ai mezzi di sbarco anfibi, necessarie per svolgere operazioni in autonomia in qualunque contesto globale.

Stiamo guardando quindi ad una capacità expeditionary in grado di schierare più di 4 divisioni ovunque nel mondo, circa 60.000 uomini, con tanto di mezzi di supporto, aereonautica e veicoli blindati e che può contare su una fittissima rete di supporto logistico grazie alle innumerevoli basi americane sparse per il mondo. In più è possibile per le forze americane utilizzare mezzi blindati appositamente progettati per essere aviotrasportati, gli stryker appunto, e ciò permette un’altissima mobilità operativa alle spedizioni a stelle e strisce.

Come possiamo vedere ciò che rende in ultima analisi una forza militare expeditionary capable è una fitta rete di combinati disposti di natura logistica, tecnologica e operativa che attualmente nessun ipotetico esercito europeo potrebbe eguagliare, tanto meno nei numeri citati poc’anzi. Gli USA hanno capacità Expeditionary perché sono la forza più potente al mondo e non viceversa.

Battlegroup NATO in esercitazione invernale.

L’ultima follia, un Joint Situational Awareness

Poco fa abbiamo parlato della capacità Joint, ovvero la possibilità di una forza armata di far lavorare di concerto l’intero alveo delle proprie componenti (Aereonautica, Esercito e Marina) così da raggiungere un fine comune. Potrebbe sembrare scontato che le varie componenti delle Forze Armate debbano lavorare di concerto ma è strabiliante notare come spesso e volentieri si fa esattamente l’opposto nella pratica.

Basti vedere il caso degli F-35B italiani che vengono contesi tra Aereonautica e Marina da anni in una vera e propria sfida campanilistica. In Italia ormai è cosa nota che sia impossibile mettere d’accordo i vari Stati Maggiori ma la situazione è più o meno simile in tutto il continente. Le varie componenti delle Forze Armate nazionali, in Europa, hanno spesso troppa storia alle spalle per accantonare le proprie tradizioni e i propri concetti operativi e quindi tendono a lavorare scoordinate le une dalle altre.

Ora, il problema di ciò che si sta proponendo riguardo al rinnovo dei Battlegroups è di far lavorare in un contesto Joint non solo diverse componenti di una forza armata, ma diverse componenti di diverse forze armate. Un esempio: far lavorare nella stessa brigata l’Aereonautica polacca con l’Esercito francese e la Marina italiana. Anche sorvolando sull’ovvio problema linguistico resterebbe il fatto che quelle unità non riuscirebbero ad operare neanche con le controparti nazionali di quelle unità, tanta è l’incapacità europea nel campo della collaborazione interforze. Se a questo si aggiunge la sciagurata idea di un comando centralizzato a Bruxelles, con tutte le problematiche che la gestione centralizzata porta con sé, si prospetta la totale incapacità di lavorare al di sopra di una qualsiasi soglia di efficienza plausibile da parte dei nuovi Battlegroups.

Per quanto riguarda la Joint Situational Awareness il problema è ancora più profondo perché prevalentemente politico: per decidere cosa sia rilevante in un dato momento per un osservatore bisogna prima di tutto avere una visione d’insieme dell’interesse di quell’osservatore. Bisogna, in sostanza, che chi vuole capire cosa stia succedendo abbia una chiara idea di cosa vuole sapere e fino a che punto.

In Europa, dove ognuno ha interessi contrastanti ed egoistici e pressoché ogni servizio segreto lavora al riparo dagli occhi degli altri, non funziona così. Come potrebbe questo ufficio giudicare cosa è rilevante, contemporaneamente, sia per l’Italia che per la Francia e la Polonia? La stessa questione afghana, che ha spinto la Presidente a parlare di questo elemento, non è percepita allo stesso modo da tutti i membri Ue.

Siamo di fronte quindi ad un progetto, per fortuna ancora solo teorico, destinato a fallire per tutta una serie di fattori non contingenti ma strutturali che difficilmente verranno risolti o superati nel breve periodo. Se costruito su queste basi il futuro della difesa comune europea è quanto mai tetro e sembra quasi che molti dei responsabili di questo progetto facciano dichiarazioni più per mero tornaconto propagandistico che per reale necessità operativa.

In un mondo che diventa sempre più agguerrito e violento l’Europa continua a rimanere sempre più indietro, anche quando cerca di fare un passo avanti. Per decenni non abbiamo dovuto preoccuparci di noi stessi grazie alla massiccia presenza americana ma quei tempi sono finiti. Ora dobbiamo difenderci da soli ma con queste idee non andremo lontano.

Foto in evidenza: “Latvia welcomes NATO battlegroup” by NATO is licensed under CC BY-NC-ND 2.0.

Prima foto: “NATO battlegroup tested at Exercise Iron Wolf” by NATO is licensed under CC BY-NC-ND 2.0.

Seconda foto: “NATO Battlegroup Latvia conducts urban operations training” by NATO is licensed under CC BY-NC-ND 2.0.

Leonardo Venanzoni

Sono nato a Roma nel lontano '97. Ho studiato al Liceo Classico e mi sono laureato in "Scienze per l'investigazione e la sicurezza" e sono in procinto di laurearmi alla magistrale sempre nello stesso settore. Mi occupo di Medio Oriente, di qualsiasi cosa sia un'arma, specialmente se viaggia sul mare, e di intelligence. Collaboro con Aliseo perché credo che l'informazione contemporanea pecchi di superficialità e che qualcuno debba pur produrre qualcosa di valido.

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