Non è facile rispondere. Si tratta di un interrogativo intorno al quale si sono spese le energie intellettuali di alcune tra le migliori menti della storia occidentale e non solo. Viene naturale chiedersi se sia appropriato ragionare in simili termini per quanto riguarda una questione di tale natura: come se l’Europa non fosse che una nuvola suscettibile ad essere modificata dal primo colpo di vento, o una porzione di mare delimitata da barriere galleggianti che mutano la propria disposizione ad ogni cambio di corrente.
Eppure, a un più attento esame dei fatti, è impossibile che sfugga l’estrema difficoltà che hanno avuto pensatori e politici di tutte le epoche a definire l’Europa tanto da un punto di vista geografico, individuando dei confini oggettivi per questa estrema propaggine dell’Asia, quanto da un punto di vista culturale, assegnando dunque una forma all’idea di Europa – la quale è mutata, effettivamente, ogni volta che si sono alzati i venti della storia.
L’idea di Europa
Sfogliando la premessa al volume intitolato Storia dell’idea di Europa di Federico Chabod, è possibile che l’attenzione del lettore venga catturata dalla seguente citazione, ardita quanto originale – ma in realtà piuttosto famigliare per quanti si interessino o scrivano di Europa –, ad opera dell’intellettuale irlandese Edmund Burke: «Nessun europeo potrebbe essere completamente esule in alcuna parte d’Europa». Tale affermazione è giustificata alla luce di un «sistema di vita e d’educazione più o meno uguale in tutta questa parte del mondo» che portò a una «somiglianza di consuetudini sociali e di forme (ndr. stili) di vita» che il suo autore ravvisa su tutto il continente già nell’epoca in cui scrive, e cioè la seconda metà del Settecento.
Niente di più lontano dal vero, come gli ultimi due secoli e mezzo ci hanno dimostrato. Proprio verso la fine del ‘700, il fragile equilibrio fondato sulla comunanza dei costumi cui Burke fa riferimento sarebbe precipitato a causa degli eventi innescati dalla Rivoluzione francese; si considerino anche il rafforzamento di principi libertari poi esportati dalle guerre napoleoniche e successivamente rimessi in discussione dalla Restaurazione, l’affermazione incontrastata del capitalismo in maniera parallela e complementare al trionfo della Rivoluzione industriale. Aspetti, questi ultimi, che portarono alla creazione di una fiorente industria nel Nord Europa e, di contro, alla polarizzazione della società in borghesia e proletariato, e si potrebbe continuare.
Quello che ha l’aria di essere un errore di valutazione commesso da Burke in merito a un ragionamento squisitamente oggettivo di natura sociale, quello cioè che considera lo stile di vita degli “europei”, può essere spiegato ipotizzando che l’affermazione di partenza vada rovesciata: è come se, pur avendo scritto che la comunanza dei costumi e degli stili di vita accomuna tutti gli europei, Burke in realtà, anche solo inconsciamente, intendesse significare che è l’essere europei ad accomunare i diversi costumi e stili di vita diffusi per tutto il continente.
La situazione geopolitica dei Paesi dell’Europa occidentale all’indomani del termine della Seconda guerra mondiale, caratterizzata da un più o meno enfatico abbandono delle politiche di potenza, seguito da un ridimensionamento ad attori regionali di seconda fascia a vantaggio quasi esclusivo degli Stati Uniti, insieme a una certa uniformità degli stili di vita all’insegna del benessere – questo a sua volta garantito dall’arrivo di copiosi investimenti proprio da Oltreoceano – portano a uno scenario probabilmente vicino a quello immaginato da Burke e costituiscono le premesse per l’inizio di un processo di integrazione prima tra i principali Paesi dell’Europa occidentale, e poi dell’Europa tutta.
Questa nuova forma di collaborazione tra le potenze europee prevede inizialmente un semplice coordinamento delle economie, ma alcune tappe della sua evoluzione mostrano il tramutarsi di tale idea di Europa in una convergenza politica. Il processo di integrazione comincia nel 1951 con la firma del Trattato di Parigi da parte di sei Paesi che decide la creazione della Ceca e arriva al Trattato di Maastricht del 1993, con cui nasce l’Unione europea.
Con il passare degli anni i confini di “questa” Europa – tutta politica e storicamente determinata, ad oggi quantomeno di gran lunga inferiore rispetto all’idea sui si fonda – si sono allargati sempre di più: dal punto di vista del numero dei Paesi membri (passati dai sei che firmarono gli accordi della Ceca nel 1951 ai 27 che attualmente compongono l’Unione Europea), e dal punto di vista dei confini politici e giuridici che la definiscono, alla luce dell’abolizione delle frontiere interne decisa dalla Convenzione di Schengen nel 1990, sostituite da un’unica imponente frontiera esterna. L’area o spazio Schengen oggi comprende 26 paesi e copre una porzione considerevole del continente che chiamiamo Europa.
Questa è la forma che oggi l’Europa assume agli occhi dei più. Ripercorrere l’evoluzione della forma del nostro continente, decisamente liquido sebbene non sia composto da mari, isole e arcipelaghi come l’Oceania, o ancora pieno di laghi e fiumi alla stregua dell’America Settentrionale, può dirci molto sulle diverse idee che nei secoli si sono avute dello stesso e quindi su un’eventuale identità europea.
Dalla Grecia al mondo
I Greci non inventarono semplicemente il nome – attribuendolo però a una donna meravigliosa capace di far innamorare di sé un dio – ma lo riempirono di un significato. L’idea di Europa si definisce fin da subito in contrapposizione all’altro, e il grande Altro nella storia occidentale è sempre stato l’Asia, in materia di costumi e, ancora prima, di organizzazione politica; l’Europa (che per loro corrisponde alle aree storicamente in contatto con il mondo greco, Italia e la costa meridionale di Francia e Spagna) possiede lo spirito di libertà antitetico al dispotismo tipicamente asiatico. In sintesi, partecipazione di tutti alla vita pubblica e condurre la vita secondo le leggi, non secondo l’arbitrio di un despota.
La conquista di Alessandro Magno e la creazione dell’enorme “ecumene ellenistica” avrebbero tagliato alla radice ogni ulteriore sviluppo del concetto appena nato di Europa, che si definisce nel confronto con l’alterità; poco più tardi un’altra ecumene intercontinentale, quella romana, avrebbe operato nella stessa direzione lasciando in vita una sola contrapposizione, la coppia romano-barbaro. Il Medio Evo in questo non altera di molto la situazione: la nuova idea di christianitas, fondata sulla contrapposizione cristiano-pagano e quindi intesa come insieme geografico di tutte le aree del mondo abitate da quanti hanno fede in Cristo, sembra apparentemente trascendere l’idea di Europa, che quindi resta in secondo piano.
Ciononostante, qualcosa inizia a cambiare. Anzitutto Germania e Inghilterra sono acquisizioni medievali che entrano a far parte del mondo culturale cristiano romano. Inoltre, con l’invasione araba dell’Africa settentrionale il Mediterraneo cessa di essere Mare Nostrum. Infine, l’Impero bizantino, che era stato il nucleo originario dell’idea di Europa, la cellula geminatrice di tale mondo spirituale, da sempre geograficamente compreso sotto il punto di vista geografico, esce lentamente dalla sfera morale dell’Europa: tale processo, iniziato già durante i secoli del Basso Impero, trova il suo coronamento simbolico con lo Scisma d’Oriente nel 1054.
Machiavelli è il primo a formulare, rifacendosi ai Greci, l’Europa come una comunità che ha caratteri specifici anche al di fuori dell’ambito geografico, e puramente terreni, laici e non religiosi. L’Europa, a differenza dell’Oriente dei grandi imperi, ha una sua personalità basata su un proprio caratteristico modo di organizzazione politica: è sempre stata composta da tanti piccoli poteri perennemente in conflitto tra loro.
Più tardi, nel pensiero dei filosofi illuministi settecenteschi che riprendono e sviluppano le idee dell’autore del Principe, sono i principi di un diritto pubblico comune ad accomunare veramente tutte le entità statali del continente, fatta eccezione per la Russia, e non più una manciata assiomi di mera politica pratica. Le supposte caratteristiche politiche dell’Europa non sono più sufficienti, «con il tipo politico europeo è collegato un tipo di civiltà diverso da quello degli altri continenti».
L’idea di un diverso modello di civiltà è naturalmente il frutto dell’esperienza maturata dagli Stati europei nei due secoli che separano Machiavelli da Voltaire, quella che passa alla storia come l’era delle “grandi scoperte geografiche”. L’uomo europeo, il quale ha pensato di “inventare” l’America (cfr. Todorov, La conquista dell’America, il problema dell’altro), tracciare i confini di molti Paesi africani con squadra e compasso, aprire a colpi di cannonate le porte di alcune capitali nell’estremo Oriente, non può che agire in nome di un nuovo modello di civiltà, cui lui appartiene a spese degli altri. Per un periodo storico tutto sommato limitato ma decisamente significativo per le sorti del pianeta, i confini dell’Europa sono stati estesi all’intero pianeta.
Non che tutto il mondo fosse Europa: non si trattò mai di un mondo europeo, quanto di un’Europa mondiale, in condizione di dire la sua in ogni angolo del globo. L’Europa, a differenza degli altri continenti, è sempre esistita indipendentemente dai propri confini geografici, pressoché inesistenti, e da quelli politici, continuamente mutati. In sintesi, non possiamo che confermare l’osservazione di partenza secondo la quale rispondere a una domanda come quella che ci siamo posti inizialmente non è affatto cosa semplice.
A differenza di quanto accade per le forme geometriche, infatti, nell’ambito della cultura e della politica non esistono assiomi che ci possano guidare verso la comprensione immediata delle cose e della loro natura, che nel caso dell’Europa è un po’ anche la sua forma.
Foto in evidenza: “Europa, 1538 / Pomponio Mela” by Biblioteca Nacional de España is licensed under CC BY-NC-ND 2.0.