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L’ultimo numero della rivista di Aliseo, dedicato al futuro degli Stati Uniti. 14 analisi per capire l’America, dalla geopolitica alla crisi interna

Gloria, infamia e ambiguità del concetto di autorità

Gloria, infamia e ambiguità del concetto di autorità

In un mondo lacerato dall’individualismo è forse giunto il tempo di riscoprire il senso dell’autorità politica per il Bene Comune. I Dieci Comandamenti  non sono l’imposizione arbitraria di un Signore tirannico. Essi  sono stati scritti nella pietra, ma innanzitutto furono iscritti nfel cuore dell’uomo come Legge morale universale, valida in ogni tempo e in ogni luogo GIOVANNI […]

In un mondo lacerato dall’individualismo è forse giunto il tempo di riscoprire il senso dell’autorità politica per il Bene Comune.

I Dieci Comandamenti  non sono l’imposizione arbitraria di un Signore tirannico. Essi  sono stati scritti nella pietra, ma innanzitutto furono iscritti nfel cuore dell’uomo come Legge morale universale, valida in ogni tempo e in ogni luogo

GIOVANNI PAOLO II
CELEBRAZIONE DELLA PAROLA AL MONTE SINAI
Monastero di Santa Caterina, 26 febbraio 2000

La necessità di voci autorevoli nel caos contemporaneo

Abbiamo parlato nello scorso articolo del processo di spoliticizzazione, di sfiducia e conseguente disinteresse per la cosa pubblica, un sentimento trasversale che attraversa anche una classe politica decadente, spesso più interessata a consolidare posizioni di potere personale piuttosto che rispettare il vincolo di fiducia che le dovrebbero legare al Popolo in un rapporto specchiale.

Non sono più voci autorevoli, le cui parole, gesti, decisioni sono ponderate, misurate, prudentemente preparate e con fermezza e ragionevolezza portate avanti. Spesso le decisioni sono prese di impulso sull’onda dell’ultimo sondaggio di gradimento, le parole usate con noncuranza senza attenzione per le implicazioni dirette e indirette di ciò che si sta dicendo.

Se oggi il termometro dei social è la bussola principale del Politico e il suo riferimento ultimo, si è perso il fondamento trascendente da cui sola può sgorgare una tensione ideale che non sia illusoria, ideologica cioè utilizzate per consolidare posizioni per amore di Potere e non per amore di Verità.

Se è vero infatti che, come ha ben rilevato Aristotele due millenni e mezzo fa, lo statuto della politica è indipendente dalla Metafisica, tuttavia è sempre al Vero, al Bene e al Bello che si fa riferimento ma nella chiave del Possibile, di come cioè l’umano possa farsene portatore e testimone.

Ecco: Testimone affidabile delle ragioni del Bene, del Giusto, del Vero, del Bello, questo dovrebbe essere il Politico, il quale però- a differenza dell’artista, del missionario o del filosofo- è chiamato a farlo, per citare una brillante espressione di Giambattista Vico, “nella feccia di Romolo”, nel terreno cioè limaccioso e ambiguo delle comunità umane. In esse però si conserva qualcosa del mondo delle Idee, una luce, un fulgore che spetta proprio al Politico passando anche attraverso le sozzure di questo mondo far risplendere nel cuore del Popolo affidato alle sue cure.

Riprendersi dalla sbornia anti-potestativa dell’illluminismo

Certo, in un’epoca come la nostra forgiata sulle categorie dell’illuminismo, del liberalismo e del marxismo – che hanno fatto del sospetto verso qualsiasi autorità e potere possibile un muro portante delle loro ideologie – affidarci alle parole di S. Paolo, secondo cui è bene che” Ciascuno sia sottomesso alle autorità costituite poiché non c’è autorità se non da Dio e quelle che esistono sono stabilite da Dio. Quindi chi si oppone all’autorità, si oppone all’ordinamento voluto da Dio” (Rm 13, 1 ss), sembra impresa ardua persino per un cristiano convinto.

Riconoscere che ciascuno di noi non si è fatto da solo ma è stato plasmato dal rapporto con dei simili che l’hanno introdotto al mondo, delle autorità che hanno disegnato il contesto sociale in cui si è cresciuti o nell’ambito scolastico hanno provato la dura impresa(di questi tempi soprattutto) di instillare in noi il desiderio di conoscenza e la sete di verità, non è più facile nonostante la sua ovvietà.

Perché questo?  Perché è occultata in noi la naturale disposizione ad affidarci con umiltà alle cure dell’Altro, nel vincolo che ci lega a lui non vediamo più il segno della Grazia di Dio ma la potenza pestifera dell’abuso di potere, insomma scorgiamo i prodromi dell’autoritarismo.

L’affidamento all’altro è visto – per citare il Kant dell’illuminismo – come “qualcuno che pensa per noi” per via della nostra “pigrizia e viltà”, c’è nella fede la perdita del senso critico non vale più l’agostiniano “credo ut intelligam, intelligo ut credam”, senso critico e fede, così strettamente legati, sembra siano oggi come ai tempi di Kant fatalmente disgiunti.

C’è in realtà un percorso piuttosto chiaro che, storicamente, ha portato l’uomo moderno a perdere ogni fiducia nel principio di autorità: esso discende dalla cultura protestante e dalla luterana separazione di Fede e Ragione, Città dell’Uomo e Città di Dio, una separazione che ha portato a vedere nel potere politico un male necessario. A vedere nella città degli uomini il prevalere inevitabile del male e la necessità di limitarlo sulla base di un potere assoluto, sciolto cioè da ogni vincolo razionale, e questo ha portato un autore come Cartesio a vedere in Dio una potestà assoluta, la cui volontà può violare ogni dettato della ragione e si pone in contraddizione aperta con l’umano e specularmente Hobbes a vedere nel sovrano un “Dio onnipotente”, sciolto da ogni vincolo ad eccezione di quelli sanciti nel patto civile con i cittadini tutto delegano al sovrano, eccetto l’ambito exlege del loro privato.

L’individuo come criterio del Bene e del Male

Su queste basi si sono strutturate tutte le ideologie dell’illuminismo, anche il “Contratto Sociale” di Rosseau e la filosofia politica di Kant che vedono nel contratto l’inizio di un mondo pienamente umano, con un’antropologia certo meno pessimistica di quella hobbesiana ma sempre venata di individualismo.

Il Singolo come un tutto autosufficiente, eccetto che per l’imprevedibilità delle passioni e la pericolosa seduzione del denaro, che porta al conflitto e – in Locke -all’istituzione dello Stato in nome di vita, libertà, proprietà: lo Stato come custode dei reciproci egoismi.

Il più pericoloso nemico dell’individuo è il suo difensore designato, ovvero proprio l’Autorità Pubblica. Per questo, le istituzioni vanno progettate per evitare il pericolo, denominato arbitrio politico (da Locke fino ad Hayek), che l’autorità pubblica si trasformi in oppressore anziché difensore dell’individuo.

L’uomo moderno negli Stati liberali è considerato come persona astratta titolare di diritti e soggetto economico autonomo, che nel recinto della società può mettere a frutto vizi e virtù della sua per citare Kant”insocievole socievolezza” che lo porta a competere sul terreno meritocratico, di uno Stato il cui ruolo socio-economico deve essere fortemente limitato per non cadere nel paternalismo.

Contro questa idea di Stato ma non contro l’idea alla sua base cioè quella di individuo si sono esposti prima Hegel e poi Marx, il primo sul piano di uno Stato “etico” che deve forgiare l’identità dell’individuo che si deve dissolvere nel Tutto “teistico” dello Stato, il secondo con l’idea di spostare il piano del discorso dai diritti civili (formali) a quelli sociali (materiali), rivoluzionando su base egalitaria la società per costruire una società senza classi. Strumento per attuare questa rivoluzione l’asperrima lotta di classe, che una volta istituita la dittatura del proleteriato euguagliato le condizioni economico-sociali dovrà estinguere la stessa idea di stato e di autorità politica, potenza vista come pestifera e autoritaria, machiavellianamente come teatro di lotte per il potere ideologiche e faziosa.

Il magistero della Chiesa e il concetto di autorità, ambiguità e potenzialità.

Contro l’evoluzione del concetto di autorità di cui il marxismo è la punta più acuminata si colloca la riflessione del Magistero della Chiesa Cattolica. Infatti come sostiene San Giovanni XXIII nella sua “Pacem in Terris”.

La convivenza fra gli esseri umani non può essere ordinata e feconda se in essa non è presente un’autorità che assicuri l’ordine e contribuisca all’attuazione del bene comune in grado sufficiente.

Tale autorità, come insegna san Paolo, deriva da Dio: “Non vi è infatti autorità se non da Dio” (Rm 13,1-6).

Tuttavia, la riflessione della Chiesa non ha un’interpretazione univocamente positiva del concetto del concetto di autorità, essa considera l’umano nella sua natura ambigua, ambivalente come animato da una continua lotta interiore tra la naturale tensione al Bene tenuta in essere dalla Grazia e il peso del peccato originale che lo trascina verso il basso, a pervertire la propria anima e il proprio corpo, voltando la faccia a Dio.

Dal momento in cui la natura umana è tale anche le autorità potranno pervertire la loro facoltà di “comandare secondo ragione” in una forza pestifera e incontrollata e come già sosteneva nel “De Regimine principum” Tommaso d’Aquino è nel popolo il potere di revocare con resistenza in alcuni casi aperta e armata il potere al sovrano corrotto e ingiusto, che viola la dignità dei membri della comunità da lui amministrata.

Questa concezione del potere è testimoniata dallo stesso Gesù dal momento in cui rifiuta il potere oppressivo e dispotico dei capi sulle Nazioni (cfr. Mc 10,42) e la loro pretesa di farsi chiamare benefattori (cfr. Lc 22,25), ma non contesta mai direttamente le autorità del Suo tempo. Nella diatriba sul tributo a Cesare  è fissato il limite e il diritto del potere temporale “nel dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio” si condanna ogni assolutizzazione delle autorità umane e il loro diritto per quanto concerne l’ordinamento della città secondo l’ottica del Bene Comune.

Autorità, Verità, Libertà

L’autorità, come si è detto, è postulata dall’ordine morale e deriva da Dio.

 Qualora pertanto le sue leggi o autorizzazioni siano in contrasto con quell’ordine, e quindi in contrasto con la volontà di Dio, esse non hanno forza di obbligare la coscienza, poiché “bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini”; (At 5,29) in tal caso, anzi, l’autorità cessa di essere tale e degenera in sopruso. Come sottolinea Giovanni XXIII nella “Pacem in Terris“: “La legge umana in tanto è tale in quanto è conforme alla retta ragione e quindi deriva dalla legge eterna. Quando invece una legge è in contrasto con la ragione, la si denomina legge iniqua; in tal caso però cessa di essere legge e diviene piuttosto un atto di violenza”.

L’autorità deve consentire alla libertà dei cittadini di potersi esprimere nella sua pienezza non solo libertà da e quindi come rivendicativa rispetto al potere politico sul piano dei diritti civili ma libertà sulla base di condizioni economiche di partenza eque ed un’educazione che stimoli la creatività e la sete di conoscenza in un’ottica di Verità e che stimoli il senso di appartenenza alla comunità.

Siamo dai primi istanti di vita nel grembo della madre dipendenti dall’altro, sussistiamo nell’essere mediante un’altra, è lì che impariamo a vivere la nostra esistenza in un rapporto di reciproco sostegno, lì impariamo l’amore e la solidarietà disinteressati.

L’uomo moderno- come sottolinea Ratzinger nel documento “Libertà e Verità”- aspira ad essere né da né verso né per ma del tutto libera, liberato dalla sua essenza umana per essere l’uomo nuovo senza condizioni che lo limitano né vincoli in una nietzchana “volontà di potenza” “al di là del Bene e del Male”. Ma dietro questa “autodeificazione” dell’uomo si nasconde “l’immagine di un idolo” e non l’immagine trinitaria del Dio che è totalmente “essere per”, “essera da e essere con”.

La libertà dell’essere umano può sussistere solo “nell’insieme ordinato delle libertà” e nell’ordinamento delle persone sulla base del posto che Dio ha riservato loro nel mondo, posto che devono essere messe nelle condizioni di ricoprire ma senza platoniche sudditanze ad un potere illuminato ed intangibile ma secondo una concezione di rappresentanza e limitazione del potere che affonda le sue radici nell’idea di comunità aristotelica di cui si è scritto approfonditamente nel precedente aricolo in ordine al Bene comune.

Lo Stato deve configurararsi in rapporto -per citare Agostino – alla giustizia in sé, altrimenti si trasforma in una banda di ladri, illegittimamente al potere. E’ simile al rapporto di Paternità che caratterizza la figura di Abramo, la cui fede per citare l’encilica “Lumen Fidei” di Papa Franceso “illumina le più profonde radici del suo essere, gli permette di riconoscere la sorgente di bontà che è all’origine di tutte le cose, e di confermare che la sua vita non procede dal nulla o dal caso, ma da una chiamata e un amore personali. Il Dio misterioso che lo ha chiamato non è un Dio estraneo, ma Colui che è origine di tutto e che sostiene tutto”

E’ questo cammino che le guide sono chiamate a tracciare, come mediatori informati alla legge naturale plasmata sull’immagine della divina. E’ come nel caso di Mosè, il mediatore e qui lasciamo spazio alle parole di Papa Francesco sempre nella sua prima enclica “Lumen Fidei “Il popolo non può vedere il volto di Dio; è Mosè a parlare con YHWH sulla montagna e a riferire a tutti il volere del Signore. La mediazione non diventa qui un ostacolo, ma un’apertura: nell’incontro con gli altri lo sguardo si apre verso una verità più grande di noi stessi. J. J. Rousseau si lamentava di non poter vedere Dio personalmente: « Quanti uomini tra Dio e me! »; «È così semplice e naturale che Dio sia andato da Mosè per parlare a Jean-Jacques Rousseau?». 

A partire da una concezione individualista e limitata della conoscenza non si può capire il senso della mediazione, questa capacità di partecipare alla visione dell’altro, sapere condiviso che è il sapere proprio dell’amore. La fede è un dono gratuito di Dio che chiede l’umiltà e il coraggio di fidarsi e affidarsi, per vedere il luminoso cammino dell’incontro tra Dio e gli uomini, la storia della salvezza”.

Affidarsi, accettare la mediazione non è qualcosa che un contratto può avere la forza vincolante di far rispettare, né il debole e fluttuante principio del consenso, né l’hobbesiano principio della spada che minaccia invece di sfaldare presto l’intero consorzio civile quando il timore dell’autoritarismo muta in consapevolezza e rabbia sociale.

L’unico fondamento che possa giustificare il potere politico non può che essere trascendente, al di là del gioco delle maggioranze e delle ideologie l’un l’altra contrapposte.

E’ nel conseguimento del compimento umano, nella speranza concreta di un tèlos avvicinabile con azione comune e dedizione che può sussistere il Bene Comune, essere esistenzialmente vissuto e praticato, lì nella mutua collaborazione e nel riconoscersi parte di una tradizione culturale e religiosa che ci costituisce che può incarnarsi l’Idea e che può prendere corpo anche un autentico progresso sociale che non sia un fuoco di paglia.

La via verso un’Autorità che Libera

Il Potere deve essere deve utilizzato in modo tale da essere liberante e non manipolatorio  nello spirito di retto consiglio e spirito di servizio oblativo, che ha come sua immagine più viva la figura paterna di Giuseppe, aperta verso l’Assoluto e animata da una fede concreta, operante e zelante nella carità, nell’amore e nel comando.

Vero è che la politica si situa come evidenzia Pascal nell’ordine della carne e del controllo dei corpi, che l’autorità umana non può far meno che poggiare su un palinsesto rappresentativo nell’ordine del simbolico: il medico e il suo camice, il giudice e la sua toga, il politico e la sua giacca e cravatta, il prete e la sua talare e quando quest’ordine viene meno ne risente anche la percezione legata all’autorevolezza, deve colpire l’immaginazione e l’impressione sensibile per scolpirsi nei cuori e nelle menti.

La Politica per non divenire mero artificio retorico deve però elevarsi dal piano della concupiscenza passionale, dal piano palpabile a quello impalpabile della giustizia e divenire “immagine autentica della Carità”, unendo a sé il popolo col vincolo dell’amorevole spirito di servizio ad imitazione di quello celeste.

E’ nel rapporto tra Mosè, il Dio Celeste e il suo Popolo che si configura l’ottica dell’amore disinteressato, Dio non chiede nulla per sé ma tutti i frutti del suo Amore dona al suo popolo, forgiando i loro cuori nell’ordine della Carità, in cui il Dovere è il Compimento dell’Umano e la sua Redenzione.

Qui all’uomo è offerta una promessa di Felicità, pregustabile già su questa terra, nonostante le tentazioni della Carne e quella, terribile, di riempire il Silenzio di Dio con il vuoto dell’angoscia che attanaglia l’uomo quando si trova nel dubbio, nella sofferenza, nell’oblio della speranza, nel silenzio della carità, nell’assenza della Fede in cui profilerano gli idoli: il Potere, l’Onore, il Successo, il Piacere per il Piacere, il radicalismo sociale nelle sue forme peggiori, il nazionalismo rivendicativo e l’odio razziale. Sentimenti che quando attanagliano le autorità rischiano di trascinare nel gorgo dell’errore e dell’orrore tutto il Popolo se non si fa spazio all’Attesa, all’Ascolto, alla Ricerca di ciò che supera i limiti, la miseria, il buio che talora attanagliano l’umano.

E’ forse l’ora che l’umanità riscopra il senso della Trascendenza, di un Al di là che si annuncia per l’Umano dinanzi al Volto insacrificabile del sofferente, simbolo del Logos che si è fatto carne, ha patito e ha sofferto, Redenzione che si annuncia in ogni miseria, indicando la Via per non rendere il mondo “una valle di Lacrime” ma per fare spazio alla Grazia e alla Gioia.

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Giacomo Bonetti

Giacomo Bonetti

Sono Giacomo Bonetti classe 2000 vengo da Fermo, splendida cittadina immersa tra le colline marchigiane. Studio Filosofia all'Università Cattolica di Milano. Tutto ciò che é umano mi appassiona.

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