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La Guerra dello Yom Kippur cinquanta anni dopo e l’alluvione al-Aqsa

La guerra dello Yom Kippur e le lezioni dimenticate di Israele. Analogie e differenze con il conflitto tra Israele e Hamas

Sono le 14 del 6 ottobre del 1973. Truppe egiziane e siriane si sono ammassate sui confini sud e ovest di Israele e hanno appena lanciato l’invasione. Lo Stato ebraico sta per andare incontro alla sua crisi militare più profonda. È appena cominciata la guerra dello Yom Kippur.

Il nome che verrà dato al conflitto è quello dell’omonima celebrazione, che in ebraico significa “Giorno dell’espiazione” ed è la più importante festività di Israele. La guerra dello Yom Kippur è stata anche una delle guerre più intense nel Medio Oriente in quel periodo storico, arrivata a seguito di anni di tensioni tra lo Stato ebraico e i suoi vicini arabi.

Carro armato israeliano M60 distrutto nei pressi del canale di Suez (1973) | Israel Press and Photo Agency (I.P.P.A.) / Dan Hadani collection, National Library of Israel / CC BY 4.0, CC BY 4.0, Wikimedia Commons

Pochi anni prima, nel 1967, Israele aveva combattuto e vinto la “Guerra dei sei giorni”, dalla durata così breve perché lo Stato ebraico eliminò le forze della coalizione araba tramite un attacco preventivo che colse alla sprovvista gli eserciti nemici. La vittoria fu tanto schiacciante perché fin dalle prime ore di scontri, mezzi e attrezzature arabe furono distrutte ancora prima di essere utilizzate e gli Israeliani occuparono la Penisola Sinai, casus belli della guerra del Kippur.

Nel ‘73 le parti si invertirono. Furono Siria ed Egitto a cogliere completamente impreparato l’esercito israeliano, sfondando le difese ai confini e penetrando fino al cuore dello Stato ebraico. Per giorni la possibilità di essere di fronte alla fine di Israele sembrò lo scenario più realistico. L’esercito era disunito, le forze nemiche numericamente soverchianti.

È evidente come la necessità di una rivalsa e l’odio che i Paesi arabi nutrivano contro Israele siano state le due cause maggiori dello scoppio delle ostilità, insieme al controllo del Canale di Suez. Israele non era stato riconosciuto da nessuno Stato della coalizione araba e fin dalla sua creazione nel 1948 la tensione era stata altissima.

I Siriani occuparono le alture del Golan, un importante punto strategico, mentre le truppe egiziane passarono il canale di Suez e penetrarono nel Sinai. Israele riuscì però a riorganizzarsi, anche grazie alla superiorità tecnologica che il supporto degli Stati Uniti gli garantiva.


La guerra dello Yom Kippur, da sconfitta a vittoria strategica

Bloccata l’avanzata siriana, il generale Ariel Sharon, che diverrà poi Primo ministro, condusse una brillante controffensiva a discapito dell’esercito egiziano. Questa volta furono gli israeliani a superare vittoriosamente il Canale, occupando territori e infrastrutture chiave all’interno del territorio nemico.

La situazione prima di questo ribaltamento di fronte era così tragica che il gabinetto del primo Ministro Golda Meir pensò di ricorrere all’atomica, decisione che alla fine venne accantonata per motivi politici e morali

Si giunse alla fine ad una pace mediata dall’Onu, che impose il cessate il fuoco. L’Egitto riconobbe ufficialmente l’esistenza di Israele in cambio del ritorno ai precedenti confini. Tale riconoscimento, però, portò a un sensibile peggioramento dei suoi rapporti con gli altri Paesi arabi, che vi videro un significativo voltafaccia.

Oggi, sono molti a tracciare un paragone con lo Yom Kippur e la guerra che si sta svolgendo in questi giorni tra Israele e Hamas, la milizia sunnita che controlla la Striscia di Gaza. Se per certi versi tale paragone appare forzato se non completamente errato, in altri casi può aiutare a far luce su una vicenda dai molti lati oscuri.

Può essere utile indagare nel passato anche per comprendere come la situazione possa svilupparsi, in un momento di grande incertezza. Non a caso Hamas ha scelto proprio il cinquantesimo anniversario dello Yom Kippur per scatenare la sua offensiva, quasi a collocarsi in linea di continuità con quanto accaduto nel passato.

La congiuntura geopolitica è radicalmente mutata rispetto al ’73. Il primo macro-elemento che deve essere individuato è la mancanza del bipolarismo che invece caratterizzava la situazione politica internazionale negli anni della Guerra dello Yom Kippur. La dialettica tra Unione Sovietica e Stati Uniti giocò infatti un ruolo fondamentale nella storia di Israele.

Limitandoci solo al conflitto del 1973, l’invasione di Egitto e Siria non sarebbe stata così efficace senza armi e attrezzature fornite dall’URSS. In particolare, fu la grande quantità sistemi anti-carro di produzione sovietica a rivelarsi efficace nelle prime fasi del conflitto.

Soldati israeliani in un trasporto militare durante la Guerra dello Yom Kippur | By Photographer: Israel Press and Photo Agency (I.P.P.A.) / Dan Hadani collection, National Library of Israel / CC BY 4.0, CC BY 4.0, Wikimedia Commons

Ancora più significativo fu il ponte aereo allestito dagli Americani dopo gli iniziali rovesci israeliani. Tramite esso arrivarono mezzi e armi in sostituzione di quelli andati persi o distrutti nei primi scontri. Alla lunga questo maggiore supporto avrebbe condotto alla vittoria le forze di Tel Aviv.

In particolare, all’inizio del conflitto l’allora Capo di stato maggiore David Elazar propose al ministro della difesa Moshe Dayan e alla prima ministra Golda Meir di bombardare le forze aeree e missilistiche nemiche finché fossero rimaste a terra.

Meir, con grande lungimiranza, rifiutò sostenendo che questo avrebbe danneggiati irrimediabilmente la figura di Israele all’estero, mostrandolo come aggressore e compromettendo i rapporti con gli Stati Uniti. A distanza di anni, il celeberrimo Segretario di Stato Henry Kissinger, tra gli uomini più potenti e influenti di quel mondo, confermò quello che Meir temeva.

Tutti questi esempi mostrano come il conflitto fra Israele e Stati arabi non fosse circoscritto al Medio Oriente, ma rientrava nella più ampia portata della Guerra Fredda. Questo alzava la posta in gioco del conflitto, ma lo semplificava anche di molto: Israele fedele alleato dell’America, la colazione araba sostenuta dai soveitici.

Un contesto mutato

Non a caso, nei suoi discorsi odierni, Joe Biden sottolinea come l’aiuto a Israele non verrà meno, esattamente come è sempre accaduto in passato. Oggi però l’antico dualismo della Guerra Fredda è andato ovviamente perduto, emergono altri interessi e altri importanti attori.

È difficile stabilire come Hamas abbia raccolto soldi e risorse militari. Molti evidenziano l’importanza dell’Iran e del Qatar, oltre al partito libanese Hezbollah, nel finanziamento della rete terroristica, ma si tratta di legami e responsabilità difficili da individuare, e soprattutto quantificare.

Questa maggior diffusione del potere e aumento degli attori in campo sottolinea la debolezza delle Nazioni Unite. Esse appaiono in difficoltà, di certo sprovviste della forza per imporre un cessate il fuoco come accadde in passato, coordinandosi con gli Stati Uniti e l’Urss

Al contrario, l’Occidente ha dovuto chiedere ad alcuni di questi nuovi attori di mediare fra le posizioni in guerra. Non più Stati Uniti e Russia, ma Stati che fino a pochi anni fa era impensabile proporre per una posizione tanto delicata: Turchia, Stati del Medio Oriente come il Qatar, perfino il Sudafrica.

Se è necessario trarre una lezione da questo fenomeno, si potrebbe dire che l’asse delle influenze è sempre più lontano dall’Occidente, e che nuove potenze stanno sorgendo. A preoccupare sono le condizioni di questi Stati. Turchia e Qatar, per fare solo due tra i nomi più noti, sono da anni alla ribalta per le diseguaglianze e l’ingiustizia che caratterizzano i loro regimi politici, oltre ai legami con diversi gruppi che i Paesi occidentali considerano come terroristi.

Avevamo già scritto sul come questi Stati stiano cercando di ripulire la loro immagine internazionale. Il proporsi come mediatori può essere letto anche in quest’ottica. La Turchia, ad esempio, ha ancora in sospeso la richiesta di ingresso nell’Unione Europea. Di recente, il presidente Erdogan ha fatto ancora pressioni affinché venga accettata. La Turchia stessa, che ha condotto feroci attacchi verbali ad Israele, ha poi mostrato un atteggiamento ambivalente, con l’espulsione di alcuni miliziani di Hamas che si trovavano lì in esilio.

L’attacco di Hamas e le lezioni dimenticate dello Yom Kippur

L’attacco di Hamas si inserisce in un momento di crisi per il governo di Netanyahu. Il Primo ministro israeliano sta guidando il governo più a destra della sua carriera politica e della storia di Israele. Per conservare il potere, infatti, ha dovuto creare una coalizione con partiti della destra sionista.

La sua posizione non è mai sembrata precaria come in questo periodo, con un fallimento militare sulle spalle e il gradimento da parte dell’elettorato a picco. Ha dovuto anche prendere decisioni difficili sull’invasione della Striscia di Gaza e sugli ostaggi in mano ad Hamas.

Il paragone storico con la guerra dello Yom Kippur non sembra sorridere a “Bibi”. L’allora Primo Ministro Golda Meir, dopo aver condotto il Paese durante la guerra, dovette dare le dimissioni alla fine del conflitto.

Ad oggi, in piena crisi, è impensabile che Netanyahu si dimetta. Diverso sarà il panorama una volta terminata la guerra con Hamas, anche in base all’esito degli scontri e alle decisioni politiche che gli altri Paesi avranno preso. Una caduta in disgrazia dell’uomo che per decenni ha guidato Israele non sembra da escludere, in particolare se dovessero emergere anche responsabilità politiche sul fallimento dell’esercito e dei servizi segreti.

Un interessante parallelismo può essere quello del controllo della frontiera da parte di Israele, e di conseguenza del ruolo che i servizi segreti hanno svolto. In entrambi i casi Israele è apparso debole e preso alla sprovvista. Nel 1973 la sorpresa è stata pressoché totale. Le truppe nemiche hanno varcato la frontiera con una predominanza di uomini e mezzi tale da rendere impossibile qualsiasi resistenza.

Le cifre ufficiali raccontano bene questo squilibrio: sulle alture del Golan 180 carri israeliani ne hanno fronteggiati 1400, mentre a presidiare il canale di Suez vi erano 500 Israeliani contro gli 80mila egiziani.

Allo stesso modo, i video diramati da Hamas dopo l’attacco del 7 ottobredimostrano la totale impreparazione dell’esercito di Israele a fronteggiare un attacco di quel tipo. In un articolo precedente abbiamo raccontato come la barriera ad altissima tecnologia che divide Gaza dallo Stato ebraico sia stata abbattuta da semplici bulldozer, con le truppe colte alla sprovvista e le apparecchiature di sorveglianza messe rapidamente fuori uso.

C’è però una grande confusione sul ruolo che il Mossad e le agenzie di intelligence hanno svolto in questi conflitti. Da un lato, in entrambi i casi sembrano avere fallito su tutta la linea. La reputazione dei servizi segreti israeliani è leggendaria, e più volte le informazioni recuperate hanno permesso a Israele di vincere i potenti vicini. Nel 1973 e nell’ottobre 2023, invece, sono apparsi semplicemente inadeguati.

Se oggi non abbiamo abbastanza elementi per valutare eventuali falle nel Mossad, o se c’è stato un errato calcolo da parte politica o militare sull’effettivo rischio, nel 1973 i documenti emersi negli anni raccontano di un’iniziale presa sotto gamba del nemico. Prima dell’assalto, però, le notizie si fecero sempre più chiare e indicavano un assalto in forze. Ci fu quindi una responsabilità politica importante nei rovesci iniziali della guerra dello Yom Kippur

Moshe Dayan, ministro della Difesa israeliano durante il conflitto del 1973 | By IDF Spokesperson’s Unit, CC BY-SA 3.0, Wikimedia Commons

Dal nemico statuale alle minacce asimmetriche

Rimanendo sul lato prettamente militare, Israele appare di fronte a un bivio. Qui le differenze con il ‘73 sono significative. Lo Yom Kippur è stato combattuto contro Stati riconosciuti a livello internazionale, con un esercito regolare e confini ben stabiliti.

Al contrario, oggi Israele sta rispondendo a un attore non statuale, e dunque lo scontro è asimmetrico. Non ha confini ben definiti e neanche un esercito regolare di cui si possono conoscere con precisione numero delle truppe o assetti militari. I tunnel a Gaza usati da Hamas per nascondersi sono lunghi più di 60 chilometri e rendono la conduzione delle ostilità molto difficile.

Questo solleva dei problemi etici che nel 1973 non erano neppure sul tavolo. La politica internazionale è spaccata su temi legati al bombardamento a tappeto che colpisce anche i civili – circa 12mila fino a oggi, secondo le fonti palestinesi -, fino a che punto la reazione di Israele sia lecita e quali confini di violenza non vadano superati.

È ovvio che il massacro di moltissimi israeliani e il sequestro di altrettanti richieda da parte di Netanyahu il pugno duro. Tutta la diplomazia internazionale sta cercando di mediare affinché la situazione in una delle zone più difficili e tormentate del mondo non peggiori ulteriormente. A lungo andare, tuttavia, l’aumento delle perdite civili a Gaza danneggerà (se non lo ha già fatto) la reputazione dello Stato ebraico.

Una differenza fondamentale rispetto al ’73 è costituito dagli obiettivi delle operazioni militari. In questo caso Tel Aviv punta alla distruzione di Hamas e al rendere inoffensiva la Striscia di Gaza. I problemi di Israele riguardo a questo sono atavici e strutturali. Israele è inferiore demograficamente e per estensione rispetto ai Paesi vicini. Questo rende particolarmente difficile (se non impossibile), l’annessione di questo territorio, popolato da due milioni di persone per la maggior parte ostili.ha


Questo comporta che essi non possano disperdere eccessivamente le loro forze, malgrado i funzionari militari abbiano confermato l’allargamento dell’offensiva verso il sud, né occupare per lungo tempo un territorio vasto e popoloso come quello di Gaza. Malgrado lo strapotere tecnologico su Hamas, difficilmente un’operazione militare potrà sradicarlo completamente dalla Striscia.

Allo stesso modo, è molto difficile ipoteizzare che le truppe israeliane possano rimanere a Gaza per lungo tempo. I costi dell’operazione sono già lievitati e, come detto, gli Israeliani sono fisiologicamente troppo pochi per permettersi una dispersione così importante delle loro forze.

Come Netanyahu e gli altri attori politici e militari risponderanno a questa crisi porterà a un nuovo equilibrio in Medio Oriente, in aree già piagate dalla guerra e dalla povertà. Per ora non si vedono soluzioni a breve termine del conflitto, e anche le mediazioni sono fallite. La cosa certa è che la tragedia dello Yom Kippur, almeno in parte, si è ripetuta, ma non si è decisamente voltata in commedia.

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Foto in evidenza: By Photographer: Israel Press and Photo Agency (I.P.P.A.) / Dan Hadani collection, National Library of Israel / CC BY 4.0, CC BY 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=139294500

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