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Scopri Il ritorno delle guerre

L’ultimo numero della rivista di Aliseo, dedicato allo studio dei conflitti contemporanei. 14 analisi per capire come sono cambiate le guerre e perchè ci toccano da vicino

I perchè della crisi umanitaria in Sri Lanka
La crisi umanitaria in Sri Lanka: colpa di una famiglia al potere da tempo o delle contingenze geopolitiche?

L’ondata di malcontento che da circa un mese sta attraversando lo Sri Lanka è il risultato della crisi più grave che il paese abbia subito da quando ha ottenuto l’indipendenza dal dominio britannico nel 1948. L’emergenza senza precedenti sta spingendo masse di cittadini appartenenti ad ogni estrazione sociale a protestare per le strade, spesso in maniera molto violenta, contro il governo e le scelte politiche del presidente Gotabaya Rajapaksa e del primo ministro Mahinda Rajapaksa, suo fratello maggiore. Non deve stupire che le due cariche politiche più importanti dello stato siano in mano a dei fratelli, poiché sono circa 40 i membri della famiglia Rajapaksa che hanno avuto ruoli istituzionali importanti dai primi anni duemila ad oggi. Uno dei nove ministeri che sono stati recentemente in mano ai Rajapaksa, quello delle Finanze, ha visto come ministro Basil Rajapaksa, il quale non potendo concorrere in politica poiché in possesso di doppia cittadinanza, singalese e statunitense, ha ottenuto comunque la carica grazie ad una repentina manovra costituzionale attuata dal PM Mahinda. Ironicamente Basil è stato accusato di frode e soprannominato “Mr 10%” poiché si ritiene che per ogni progetto approvato dal suo ministero egli trattenga per sé il 10% dei costi totali. Questo genere di accuse ha fatto emergere agli occhi dell’opinione pubblica la palese corruttibilità della famiglia Rajapaksa che di fatto sta monopolizzando la scena politica singalese degli ultimi venti anni.

Le dimissioni di Mahinda e l’elezione del nuovo Primo Ministro

Da quando sono scoppiate le proteste nella capitale, Colombo, ben 29 ministri hanno rinunciato al proprio posto lasciando tuttavia insoddisfatti i cittadini che hanno continuato a tenere alta la tensione in città. L’escalation di dissenso nei confronti del governo ha di fatto costretto il presidente Gotabaya a chiedere le dimissioni del fratello Mahinda e a dichiarare di nuovo lo stato d’emergenza. Sancendo una svolta storica per la politica singalese, il 9 maggio, Mahinda Rajapaksa ha presentato le proprie dimissioni da PM cercando con tale atto di arrestare l’ondata di violenza crescente nel paese. La crisi ha però preso una piega inaspettata quando, nonostante l’uscita di scena del PM, nella notte le proteste si sono intensificate e milioni di cittadini hanno dato alle fiamme alcune residenze private e gli uffici pubblici di innumerevoli esponenti del governo, autorità locali e sindaci ritenuti coinvolti nella mala gestione della famiglia Rajapaksa gettando di nuovo nel caos l’intero paese. La situazione si è sbloccata quando, il 12 maggio, il presidente Gotabaya ha nominato come nuovo PM Ranil Wickremesinghe, un volto noto nella politica dello Sri Lanka. Ranil Wickremesinghe ha già ricoperto la carica in passato, guida lo United National Party, è noto per le posizioni liberali in tema d’economia ed è stato scelto per restituire credibilità internazionale al paese. L’auspicio delle autorità è che la formazione del nuovo governo segni anche la fine delle violenze nelle strade e del feroce malcontento popolare. Va tuttavia sottolineato che la maggioranza dei singalesi non ha apprezzato la nomina di Wickremesinghe, considerato ancora troppo in linea con il governo dei Rajapaksa.

Le scelte economiche e la debt-trap cinese in Sri Lanka

Dagli anni duemila, lo Sri Lanka ha cercato faticosamente di emergere tra le economie del sud-est asiatico attraverso investimenti sul territorio, creazione di opere pubbliche colossali e modernizzazione dei settori trainanti per il paese, il primario ed il terziario. In questo contesto la Cina, esattamente come avvenuto in molti paesi africani, ha attuato quella che viene chiamata “debt-trap theory”. Secondo questa teoria la Cina farebbe credito ad economie medio/basse di paesi in via di sviluppo per miliardi di dollari da investire in opere pubbliche e infrastrutture di discutibile valore economico per poi mettere le mani sulle stesse una volta che le nazioni in questione siano impossibilitate a ripagare il debito. Il debito singalese ammonta a 8 miliardi di dollari, generato per intero da prestiti cinesi, e a causa della crisi economica ad oggi le casse dello stato possono ripagare solo il 25% di questo enorme debito che, secondo gli analisti, è cresciuto del 70% da quando i Rajapaksa sono al potere. L’esempio più significativo di questo genere di speculazione è il porto di Hambantota, inaugurato nel 2010 e costato circa 361 milioni di dollari. Per questa cifra il governo singalese, dopo il rifiuto da parte di USA e India, trovò un finanziamento dalla Cina e la mastodontica opera venne realizzata in poco tempo. Tuttavia i costi di manutenzione e le spese del porto superavano di gran lunga le entrate e per evitare” temporaneamente” la crisi economica la scelta fu di affidare la gestione del porto di Hambantota alla Cina per ben 99 anni. Una scelta ridicola e disastrosa che ha dato inizio all’incontrollata speculazione cinese nello Sri Lanka.

L’emergenza umanitaria e le cause minori

Nonostante i recenti aiuti alimentari ed economici arrivati da Bangladesh e India, in tutta l’isola si vive uno scenario di guerra in cui milioni di persone devono fare i conti con l’assenza di elettricità anche per 10 ore al giorno, col cibo scarso e razionato, con l’assenza di medicinali e con le violente proteste nella capitale e nelle città vicine. Nel 2021, il governo dello Sri Lanka ha deciso di rendere completamente organica la produzione agricola proibendo ogni tipo di fertilizzante chimico. Questa decisione potrebbe sembrare encomiabile se non fosse che sia stata presa senza una vera e propria conoscenza dei rischi per il settore agricolo nazionale che ha infatti registrato un crollo drastico della produzione di cibo. Per giunta, negli ultimi due anni, il Covid-19 ha messo in ginocchio il paese nel quale sono stati registrati più di 600mila casi, circa 16mila morti e ben oltre mezzo di milione di ricoveri che hanno fatto crollare in fretta il fragile apparato sanitario singalese ed esasperato la popolazione. Gli errori politici hanno quindi accompagnato le gravi crisi internazionali, pandemia in primis e poi la guerra in Ucraina, che hanno colpito ed isolato un paese il cui settore turistico è di fondamentale importanza. La mala gestione interna e la corruzione, la speculazione da parte di giganti stranieri e le inevitabili emergenze internazionali stanno mettendo a dura prova lo Sri Lanka e il suo popolo, vittime di una crisi senza precedenti e nella quale è sempre più difficile prevedere se il fiero leone singalese che svetta sulla bandiera nazionale tornerà di nuovo a ruggire.

Foto in Evidenza: “Anti-government protest in Sri Lanka 2022” by AntanO is licensed under CC BY-SA 4.0.

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Matteo Borgese

Matteo Borgese

Nato a Roma nel 1996. Ho frequentato il Liceo Classico per poi proseguire in un percorso di crescita e studio delle discipline umanistiche che mi ha avvicinato sempre più alla filosofia orientale. Mi occupo del subcontinente indiano e di tutto quello che riguarda la cultura e la storia antica e contemporanea dell'India. Appassionato di storia delle religioni, di mistica e del rapporto tra l'uomo e il divino nella sua totalità, cerco di scorgere nella politica contemporanea gli echi delle dottrine filosofiche antiche.

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