La decisione รจ infine arrivata: lโintera Italia si trova in lock-down. Il virus Covid19, ormai pandemico su scala globale, รจ ormai impossibile da circoscrivere ai suoi focolai iniziali, e lโobbiettivo del governo Conte รจ quello di ridurre quanto prima la curva dei contagi per evitare un ulteriore sovraccarico del Sistema Sanitario Nazionale tra circa due settimane, quando si cominceranno a notare i primi effetti del distanziamento sociale imposto tramite provvedimenti dโemergenza emanati dallo stesso Consiglio dei Ministri. LโItalia adotta quindi per tutto il territorio dello Stato il cosiddetto Protocollo Codogno.
Gran parte del Paese si trova quindi confinato nel proprio domicilio, i locali sono chiusi e vige il divieto di uscire di casa se non per ragioni di assoluta necessitร (cibo e farmaci). Lโimpatto economico di queste misure, che sono appena cominciate in gran parte del Paese, ma che andranno avanti almeno fino al 3 Aprile, sarร durissimo: la recessione รจ praticamente assicurata, nonostante le misure che governo ed Unione Europea hanno promesso di attuare a sostegno delle imprese italiane. Secondo Il Sole 24 ore, che cita uno studio dellโUfficio Parlamentare per il Bilancio, se anche lโepidemia dovesse essere totalmente arginata entro il mese prossimo (obbiettivo che appare molto difficile), il 2020 si concluderร quasi certamente con una contrazione del PIL italiano. Non sembra portare molto ottimismo lโavvicinarsi di Pasqua, che questโanno cade il 12 Aprile: il settore del turismo รจ in deprivazione pressochรฉ totale, e le prenotazioni, sia nazionali che dallโestero sono praticamente azzerate, senza contare che molti paesi hanno sospeso in toto i voli verso i nostri aeroporti. Se anche lโItalia vedesse una curva calante dei contagi attorno alla data delle festivitร pasquali non cambierebbe molto, dato che per quel giorno saranno gli altri paesi europei ad essere nel pieno del picco pandemico, con una popolazione quindi pressochรจ impossibilitata a muoversi. Lโimpatto tuttavia rischia di estendersi, proprio per via del diverso stadio di avanzamento da stato a stato della pandemia, anche allโestate. Anche se tutti ce lo auguriamo, non รจ detto che lโItalia sarร completamente libera dal virus durante i mesi estivi, che costituiscono il grande serbatoio del turismo nazionale, nรฉ รจ detto che lo saranno gli altri Paesi di provenienza dei turisti che solitamente frequentano il nostro Paese; lโItalia potrebbe anzi essere costretta a tenere fuori volontariamente questi turisti a causa di un possibile contagio di ritorno, come sta facendo la Cina in questi giorni.
La produzione industriale inoltre non se la passerร meglio: al blocco totale attuato dallโItalia, che anche se non ferma le industrie ne sta molto penalizzando il lavoro quotidiano, si somma lo stesso blocco cinese tuttโora in corso. Sono moltissime infatti le aziende italiane che abbisognano delle fabbriche cinesi per componentistica elettronica, pezzi di ricambio e materie plastiche. Lo stop dellโHubei ha giocoforza causato lo stop anche di molte industrie del Belpaese. Annullate inoltre decine di Fiere (lโ80% delle quali concentrate in Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto), con un danno economico e dโimmagine di miliardi di euro. Il tutto tacendo delle piccole attivitร e dei piccoli negozi, ovvero quelle piccole partite IVA, spesso con uno o due dipendenti, che sono quasi totalmente scoperte dalle misure di tutela del governo, che invece privilegiano la tutela del lavoro dipendente. Se il blocco totale dovesse andare per le lunghe รจ probabile che, a fronte delle spese che non cessano mai, una volta ritiratasi la marea dellโemergenza sanitaria ci troveremo di fronte a cittร completamente desertificate, dove rischiano di essere pochissimi i piccoli negozi e le attivitร sopravvissute ad un cosรฌ lungo periodo di serrata forzosa. Una crisi di cosรฌ vaste proporzioni, anche se limitata alla sola Italia, avrebbe giร conseguenze devastanti sullโeconomia della stessa, ma la pandemia non รจ destinata ad arrestarsi ai nostri confini. Francia, Germania e tutto il resto dellโUnione Europea cominciano in questi giorni a venire seriamente colpite dal contagio. Germania e Francia in particolare sono i primi due paesi per volume di export italiano, cui seguono Stati Uniti, Svizzera, Regno Unito, Spagna, Belgio e Polonia. Soltanto in nona posizione troviamo, malgrado tutto, la Cina, davanti di soli 0,2 punti percentuali ai pur piccoli Paesi Bassi. Eโ quindi evidente che dei primi dieci Paesi verso cui lโItalia esporta, ben sei sono membri dellโUnione Europea, e ben nove sono ancora (e lo saranno per mesi) allโinterno dellโemergenza Covid-19. Lโimpatto di una crisi di simili proporzioni su tutta lโUnione Europea sarebbe giร devastante in caso di contagio della sola Italia, dato che lโUE non puรฒ permettersi il collasso di unโeconomia di sessanta milioni di abitanti senza serie conseguenze per gli altri stati membri, e sarร dunque ancor piรน devastante, con fallimenti a catena di industrie e delocalizzazioni selvagge.
Che Europa ci attenderร quando tutto sarร finito? Eโ difficile descrivere oggi, nel marzo 2020, quella che sarร lโEuropa del marzo 2021, ma รจ facile immaginare che sarร unโEuropa piรน povera, attraversata da tensioni sociali piรน forti e da una mordace instabilitร economica, e le crisi, si sa, attirano i pescecani. Esattamente come il crack della Russia eltsiniana degli anni โ90 attrasse torme di pescecani occidentali ansiosi di comprarsi infrastrutture e materie prime a prezzo di saldo, cosรฌ potrebbe accadere, da Est verso Ovest, dopo la crisi economica del Coronavirus. Non sarebbe perรฒ la Russia a restituirci il colpo: โsanificataโ da imbelli sanzioni europee e dal cordone sanitario del gruppo di Visegrad la Russia non ha infatti nรฉ la potenza geopolitica nรฉ la ricchezza per tentare una simile scalata al know-how ed agli asset strategici dellโUnione Europea. Li ha perรฒ Pechino, sulla quale non gravano sanzioni, che ha unโeconomia ben piรน forte e strutturata di quella russa e che, fattore forse ancor piรน decisivo in questo momento, sta giร uscendo dalla crisi virale da essa stessa innescata.
La penetrazione economica nellโUE da parte della Cina di Xi Jingping non รจ una novitร : dal 2012 al 2018 gli investimenti cinesi in Unione Europea sono passati da 1,6 a 35 miliardi Euro. Basti come esempio il settore portuale: approfittando della crisi greca, la Cina ha acquisito per trentacinque anni il controllo totale del principale porto ellenico, quello del Pireo, tramite la China Ocean Shipping Company, che ne detiene il 100%, ma sorte analoga hanno subito anche il porto spagnolo di Valencia e quello belga di Zeebrugge, tutti detenuti dai cinesi tramite quote superiori al 50%. Ma anche altri importantissimi porti dellโUE sono pesantemente condizionati dal controllo cinese di loro terminali. I cinesi โpossiedonoโ infatti il 35% del piรน importante porto dellโUnione, quello olandese di Rotterdam, il 20% di quello di Anversa (terzo porto dellโUnione), il 40% di quello di Vado Ligure (nel silenzio dei sovranisti italiani). Questo per fare un elenco dei piรน importanti, a cui si possono aggiungere importantissime quote dei francesi Marsiglia, Nantes, Le Havre e Dunkirk, dello spagnolo Bilbao e del maltese Marsa Scirocco. Quando la marea del coronavirus si sarร ritirata, รจ facile immaginare dove la Cina andrร a far valere la sua valuta pregiata.
Anche nel settore industriale la Cina continua ad acquisire asset strategici in Europa Occidentale ed Orientale. Il decantato paradiso della sovranitร , il gruppo di Visegrad, รจ allโavanguardia nella penetrazione cinese in Unione Europea. Mentre infatti la Germania e la Francia cercano da qualche anno di contenere i danni e proteggere i propri know-how, paesi come Polonia e Repubblica Ceca, dove il lavoro costa poco ma il know-how industriale รจ elevato, attirano la mosca cinese come farebbe un vasetto di marmellata. Un processo che mette in allarme non solo la Russia, che in Europa Orientale nutre da sempre ambizioni egemoniche, se non economiche quantomeno politiche, ma anche la stessa Germania, abituata a considerare i paesi Visegrad come il proprio naturale cortile di casa. Scendendo nel piano piรน squisitamente quotidiano basti invece pensare a quanti spazi delle nostre cittร , italiane ma non solo, sono oggi proprietร di cittadini cinesi: ristoranti, bar, centri benessere, intere chinatowns, sorte spesso al posto di imprese e piccoli negozi locali falcidiati alla crisi giร serpeggiante da almeno una dozzina dโanni. Si puรฒ stare certi che lโocchio del dragone abbia giร al centro della propria pupilla tutti questi patrimoni che, alla fine della crisi sanitaria del Covid-19 si troveranno, purtroppo, in vendita a prezzi ribassati. La crisi economica che si sta profilando allโorizzonte (oggi Piazza Affari ha avuto la chiusura peggiore della sua storia, con un tonfo di oltre sedici punti percentuali) trasformerร lโItalia e lโUE in un grande outlet per il capitalismo di Stato cinese. Saprร lโEuropa tutelarsi con leggi specifiche che la proteggano dallโimperialismo economico del dragone di Pechino?
Marco Malaguti
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