ALISEO: Generale Camporini, nella notte tra il 17 e il 18 gennaio il governo israeliano ha definitivamente approvato l’accordo sul cessate il fuoco nella Striscia di Gaza, raggiunto dai negoziatori di Hamas e Israele dopo lunghe trattative mediate anche da Qatar e Stati Uniti.
Lei che idea si è fatto di questa tregua? Pensa che possa durare?
Generale Camporini: si tratta di un accordo faticoso raggiunto con un negoziato che si è prolungato oltre ogni auspicabile attesa e devo dire che i contenuti di questo di questo accordo sono contenuti che hanno meccanismi piuttosto complessi, nella questione degli scambi, nella questione del cessate il fuoco e di come avvengono gli scambi, con una tempistica difficile e delicata. È un accordo molto complesso che adesso vedremo alla prova dei fatti.
Non è affatto scontato che tutto vada liscio, ma il fatto che tale accordo sia stato raggiunto dopo mesi e mesi di negoziati fa sperare che chi ha negoziato questa tregua sia ben consapevole della sua complessità e quantomeno la voglia condurre a termine.
I punti fondamentali sono due, a mio avviso: che cosa succederà alla fine di questo periodo e soprattutto come verrà garantita la governabilità di Gaza. Questi sono i punti fondamentali sui quali non abbiamo nessuna certezza e che condizioneranno sicuramente i prossimi mesi.
ALISEO: alla luce delle recenti immagini che mostrano i combattenti di Hamas, ben equipaggiati, festeggiare nelle strade di Gaza, volevo chiederle come si spiega il fatto che Israele non sia riuscito a neutralizzare completamente Hamas e le sue capacità di riorganizzazione, nonostante questo fosse il principale obiettivo annunciato all’inizio della guerra.
Generale Camporini: le potrei rispondere citando un’intervista che ha rilasciato qualche giorno fa David Petraeus (generale statunitense ed ex direttore della Cia, NdA), il quale diceva di fare attenzione, perché quando si opera in ambiente urbano e si bonifica un quartiere, un edificio, un blocco, non è che una volta bonificato si prende e si torna a casa, perché immediatamente quel blocco, quell’edificio o quel quartiere, viene nuovamente occupato dalle forze nemiche che sono riuscite a sopravvivere. La tattica che gli israeliani, per loro stessa ammissione, hanno applicato, è quella del colpire e andarsene, non del colpire e rimanere.
Se le Forze Armate israeliane fossero riuscite a bonificare le aeree, mantenendone il controllo, Hamas sarebbe stato indebolito in maniera più significativa. Hanno invece preferito bonificare le aree e poi dedicarsi ad altro, non so se questo è dovuto anche al fatto che sarebbero state necessarie risorse numeriche molto più elevate.
Questo può spiegare la capacità di Hamas di riorganizzarsi, perché in quel dedalo di cunicoli scavato al di sotto della città, è chiaro che la possibilità di sopravvivere è abbastanza elevata, e in un momento in cui il nemico israeliano se ne è andato io salto fuori di nuovo, magari indebolito o ridotto in numeri, ma salto fuori di nuovo. Una tattica di combattimento urbano che purtroppo è una delle più onerose e difficili e, se vogliamo, meno temibili dal punto di vista tattico.
Io facevo poi anche un’altra osservazione vedendo quelle fotografie, che era relativa al fatto che danno l’evidenza di un sostanziale “benessere” di quei gruppi armati, che evidentemente non sono stati toccati dalle privazioni di cui ci ha ampiamente parlato la stampa. Privazioni di viveri, acqua e quant’altro.
Questo è secondo me indicativo del fatto che in questo specifico aspetto Israele ha completamente perso la guerra della comunicazione, perché è stato presentato come un affamatore, che però evidentemente non è riuscito ad affamare.
Queste immagini sono per me l’emblema della capacità mediatica di Hamas di fare accettare la propria visione, la propria lettura e la propria narrazione all’opinione pubblica mondiale, mentre Israele da questo punto di vista è stato totalmente perdente.
ALISEO: appena dopo l’accordo per il cessate il fuoco, Israele ha ripreso le operazioni militari in Cisgiordania. È verosimile, a suo avviso, che Tel Aviv concentri ora i suoi sforzi su quest’aerea? Potrebbe ripetersi una situazione simile a quella di Gaza?
Generale Camporini: in Cisgiordania non credo che possa ripetersi una situazione simile a quella di Gaza perché il radicamento sul terreno da parte di Hamas non può essere paragonato a quello che aveva, o tutt’ora ha — questo lo vedremo — a Gaza.
Il problema puramente militare è dunque ridotto rispetto a quello che si presentava a Gaza. È chiaro che chi si trova in una situazione di guerra se riesce a fermare le attività militari su uno dei fronti ha certamente la possibilità di scagliarsi con molta più energia ed efficacia verso gli altri fronti, cosa che Israele sta facendo.
Ha praticamente azzerato Hezbollah e, anche Hamas, nonostante l’ottimo aspetto dei guerriglieri che hanno liberato gli ostaggi, è sicuramente non nelle condizioni in cui si trovava un anno fa. Vi è dunque la possibilità per Israele di concentrarsi su altri fronti, come la Cisgiordania.
ALISEO: sicuramente è presto per trarre conclusioni definitive su una vicenda che, come lei accennava, è tanto complessa. Però ad oltre un anno dal 7 ottobre 2023 e con il concretizzarsi della tregua, le chiedo: che bilancio si può fare, ad oggi, di questo conflitto? Ci sono vincitori, a suo avviso?
Generale Camporini: premesso che nelle guerre di vincitori non ce ne sono mai, tutti quanti perdono qualcosa, posso dire che questa vicenda è molto complessa e articolata, perché non riguarda solo due contendenti, non riguarda soltanto Hamas e Israele che sono in prima linea, ma riguarda tutti gli equilibri dell’area mediorientale, è un gioco estremamente complesso che io tendo sempre a leggere come un gioco per la ricerca di una sorta di egemonia regionale, in cui i giocatori principali sono l’Iran, la Turchia e l’Arabia Saudita.
Fra gli attori principali mi permetta di sottolineare che non c’è Israele. A mio avviso, Israele, nella sua storia, è stato uno strumento di cui si sono avvalsi i giocatori locali per il loro obiettivo di egemonia regionale. Mi rendo conto che quello che sto dicendo può apparire molto strano, ma io ricordo colloqui con alte personalità iraniane a cui chiedevo i motivi del loro atteggiamento e ho tratto questa conclusione. Dunque, il gioco è molto più ampio e non è ancora finito.
Vi è però chi riesce a lucrare dei vantaggi da questa vicenda, penso sicuramente a Netanyahu che vi è riuscito, in primo luogo per sé stesso e in seconda battuta per la stabilità della sua posizione politica; poi penso a quella parte di Israele che ritiene di avere dei diritti su territori che invece non le vengono riconosciuti. Si tratta dell’estrema destra israeliana, degli ultraortodossi, che oggettivamente hanno degli obiettivi francamente molto discutibili. Però in questa fase è chiaro che anche loro hanno tratto vantaggio da quello che sta accadendo.
Ripeto, molto dipenderà dalla governance che si stabilirà nei territori abitati dai palestinesi, quindi Gaza e Cisgiordania. È qui che si giocherà la partita successiva, e cioè una partita molto complicata perché, da parte di una consistente fetta dell’elettorato israeliano, si punterà ad un ampliamento della presenza israeliana in quei territori, e la comunità internazionale non vorrà consentirlo.
Dunque, è fondamentale quello che accadrà su chi governerà i territori abitati dai palestinesi, e se, in qualche modo, si riuscirà a far andare avanti il concetto di “due popoli, due Stati”. È tutto da discutere, aspettiamoci tempi ancora molto dinamici.
ALISEO: a Gaza il bilancio totale delle vittime è salito oltre le 45mila. Crede che questa risposta così dura da parte israeliana possa essere diventata un boomerang in termini di immagine per lo Stato ebraico? Penso ad esempio all’interruzione degli Accordi di Abramo tra Riyad e Tel Aviv.
Generale Camporini: sì, gli accordi di Abramo con Riyad sono stati sospesi, ma io sono assolutamente certo che appena la situazione diventerà più stabile questi accordi procederanno, perché l’Arabia Saudita ha un interesse vitale a che questi vengano raggiunti, implementati e sviluppati.
Credo che questo sia uno degli obiettivi strategici dell’Arabia Saudita, che ha chiaramente nel suo schieramento gli altri attori del Golfo, gli Emirati e il Bahrain (nonostante in quest’ultimo vi sia una popolazione per la maggioranza sciita, e cioè contrapposta ai sunniti wahhabiti dell’Arabia saudita).
Io sono convinto che questi Accordi procederanno, chi perde in tutta questa situazione è l’Iran, che vede sicuramente fallire il suo disegno di arrivare fino al Mediterraneo e fortemente erosa la sua capacità operativa, vista la fine che stanno facendo i suoi proxy a partire da Hezbollah, ma anche gli Houthi, che, con l’Iran di oggi che ha scarse capacità di alimentarli, avranno i loro problemi.
ALISEO: in questo contesto, che lei ha tratteggiato così intricato e delicato, l’Italia può svolgere ancora un ruolo, o siamo condannati all’irrilevanza?
Generale Camporini: i singoli Paesi dell’Unione Europea ben poco possono con la loro minuscola capacità operativa. La nostra capacità operativa in questo contesto si può definire “minuscola” così come quella francese, quella tedesca e quant’altro.
Io immagino che vi possa essere un ruolo per l’Unione Europea in quanto tale e quindi vedremo che cosa deciderà la Commissione e che cosa decideranno i governanti, perché ricordiamoci che la politica estera ha un carattere prettamente intergovernativo e non comunitario, e quindi il ruolo della Commissione è un ruolo se vogliamo marginale, per così dire di stimolo.
Se i Paesi europei decideranno di recitare un ruolo in quest’area che è così vitale per loro, a questo punto ci potrebbe essere una loro partecipazione, sicuramente finanziaria, com’è stata fino ad adesso. L’Europa è uno dei più grandi sostenitori dal punto di vista finanziario, lo è stata anche negli anni passati. Ma anche dal punto di vista operativo, e cioè bisogna capire che fine farà Unifil in Libano, dove vedremo se l’Unione Europea giocherà un ruolo oppure se lo faranno i singoli Paesi.
Sono tutti quesiti che devono essere affrontati. L’importante è sapere che ci sono questi quesiti, perché se uno conosce i problemi si può avvicinare a delle soluzioni, e spesso riguardo il Medio Oriente non c’è stata adeguata consapevolezza dei problemi.
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