Andrès Manuel Lopez Obrador (detto Amlo), attuale presidente del Messico, ha mantenuto nel corso della legislatura alti livelli di consenso, incentrando sulla propria figura la politica di governo. Tuttavia, con l’approssimarsi delle elezioni permangono alcune incognite sulle posizioni che assumerà il Paese in futuro, soprattutto in politica estera.
Lo scontro diplomatico con l’Ecuador ha dominato la cronaca messicana nelle ultime settimane. Venerdì 5 aprile la polizia ecuadoriana ha fatto irruzione nell’ambasciata messicana, dove si era rifugiato Jorge Glas, vicepresidente dell’Ecuador durante la presidenza di Rafael Correa.
Gli agenti si sono fatti strada con la forza tra il personale diplomatico e hanno sequestrato Glas, ora in custodia a Quito. Glas aveva già scontato una pena di cinque anni per corruzione, mentre ora è accusato di appropriazione indebita di fondi pubblici.
L’episodio è giunto al termine di giorni di tensione tra i due Paesi: per primo Obrador aveva criticato la regolarità delle ultime elezioni in Ecuador, affermando che l’assassinio del candidato Fernando Villacencio nell’agosto 2023 avrebbe alterato l’esito elettorale; in risposta, il governo del presidente ecuadoriano Daniel Noboa dichiarava l’ambasciatrice messicana «persona non gradita». Il giorno successivo veniva arrestato Glas, in violazione delle norme di diritto internazionale sulle relazioni consolari.
In particolare L’Ecuador è accusato dell’inosservanza della Convenzione di Vienna del 1961, che regola l’immunità diplomatica e sancisce, tra le altre cose, l’impossibilità di entrare con la forza nelle ambasciate.
Noboa ha giustificato l’intervento dichiarando che «l’Ecuador è una nazione sovrana» e che non «permetterà a nessun criminale di rimanere libero». Da parte sua Obrador ha definito il raid ecuadoriano come un «atto autoritario» e «una palese violazione del diritto internazionale e della sovranità del Messico», annunciando l’interruzione delle relazioni diplomatiche con l’Ecuador.
Il Messico, nel tentativo di marginalizzare la posizione dell’Ecuador, ha ottenuto sostegno anche dagli altri paesi della regione. L’Organizzazione degli Stati Americani ha ricordato ai suoi membri il loro “obbligo” di non “invocare norme di diritto interno per giustificare il mancato rispetto dei loro obblighi internazionali”, mentre i ministeri degli Esteri dei paesi dell’America Latina, tra cui Argentina, Cuba e Brasile, hanno condannato le azioni dell’Ecuador.
La reazione messicana è andata al di là dei confini regionali: la ministra degli Esteri Alicia Bárcena ha annunciato che porterà il caso di fronte alla Corte Internazionale di Giustizia «per denunciare la responsabilità dell’Ecuador nella violazione del diritto internazionale».
La “Dottrina Estrada”
La politica estera del Messico di Obrador è stata definita dagli analisti come incostante e poco ambiziosa: ne sarebbero dimostrazione le ridotte visite di Stato del presidente messicano all’estero – limitate solo agli Stati Uniti, all’America Centrale e a Cuba.
Tuttavia è proprio nella politica regionale che va individuata la cifra della politica estera messicana. La prossimità geografica agli Stati Uniti genera tra i due paesi un legame, ora crescente, di interdipendenza economica, che limita necessariamente la mobilità diplomatica messicana a livello internazionale.
Storicamente il Messico vanta una lunga tradizione di neutralità, in linea con la “Dottrina Estrada”, che guida la politica estera del Paese dal 1930. Il Messico fino ad oggi – e a differenza della maggior parte degli altri Paesi – non rilascia dichiarazioni formali di riconoscimento diplomatico di nuovi stati o governi.
Di rado infatti il governo messicano prende posizione sulle dispute internazionali. Neutrale nel conflitto israelo-palestinese, in cui ha solo domandato alla Corte Penale Internazionale di investigare possibili crimini da entrambe le parti; così come nella guerra in Ucraina, dove Obrador ha marcato le distanze da Washington, criticando l’approccio americano al conflitto. Il presidente messicano si è rifiutato di imporre sanzioni a Mosca e ha dichiarato che le sanzioni e l’invio di armi all’Ucraina «siano solo serviti ad aggravare il conflitto» e che la strategia della Nato di inviare armi in Ucraina sia «immorale».
Durante la presidenza, Obrador ha invece mantenuto come obiettivo primario il raggiungimento di una posizione di leadership tra i paesi dell’America latina. Le dichiarazioni sull’Ucraina possono essere interpretate proprio con l’intenzione di segnalare la volontà di avvicinamento al “global south”, e soprattutto a quei paesi dell’America Centrale e Meridionale più ostili agli Stati Uniti.
Inoltre il Messico nel settembre 2023 ha nuovamente preso parte al G-77, gruppo precedentemente noto come Movimento dei Paesi Non Allineati, da cui si era ritirato nel 1994 per aderire all’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (Ocse), a predominanza occidentale.
Il supporto ricevuto in occasione del sequestro di Glas potrebbe in questo senso confermare la capacità messicana di creare legami nell’area e di non apparire isolato di fronte alle prevaricazioni straniere.
Il Messico tra Cina e Stati Uniti
Nonostante formalmente il Messico si dichiari neutrale, in realtà la crescente rilevanza degli scambi commerciali con Washington lo coinvolgono indirettamente nelle dinamiche di competizione internazionale.
Nella prima metà del 2023 il Messico è divenuto il primo partner commerciale degli Stati Uniti, superando la Cina che deteneva il gradino più alto del podio dal 2014. A partire dalle guerre commerciali avviate dalla presidenza Trump, gli scambi commerciali tra Washington e Pechino hanno subito un calo che ha determinato un conseguente aumento dei flussi con il Messico.
Il processo di riavvicinamento tra le due economie è segnato anche dalle decisioni da parte di diverse multinazionali americane di trasferire la produzione dall’Asia al Messico. Nel 2023 Tesla ha ritardato l’espansione pianificata di una sua fabbrica a Shanghai e ha invece annunciato un nuovo stabilimento da 15 miliardi di dollari nello Stato di Nuevo Leon, mentre altre decine di aziende, tra cui Walmart, Amazon, Samsung, Nissan stanno concentrando maggiori investimenti in Messico.
Le opportunità economiche create dal fenomeno di nearshoring della produzione statunitense hanno limitato le possibilità di intensificazione dei rapporti economici del Messico con Pechino. In più occasioni, il Messico si è dimostrato più cauto e prudente rispetto agli altri Paesi dell’America centrale e meridionale sia per quanto riguarda gli scambi commerciali, ma anche in relazione ai tentativi cinesi di indurre la regione a una demarcazione più netta dal vicino statunitense.
Il Messico non ha infatti aderito alla Nuova via della seta, né alla Banca Asiatica d’Investimento per le Infrastrutture, a differenza di molti altri paesi dell’America latina. Gli stessi investimenti cinesi in Messico ammontano a circa 4,7 miliardi, una cifra nettamente inferiore a quanto destinato a Brasile e Argentina, rispettivamente 15 e 10 miliardi di dollari.
Nell’intraprendere relazioni commerciali di maggior respiro con la Cina il Messico è anche vincolato dalla clausola della “pillola avvelenata” inclusa nell’Accordo Usa-Messico-Canada stipulato tra i tre paesi del Nord America nel 2018 al fine di contrastare l’espansione economica cinese, in cui vengono preclusi accordi di libero scambio con i “Non-market country”.
Tali condizioni hanno indotto a un inasprimento delle politiche economiche messicane nei confronti della Cina: nell’agosto 2023 il governo di Obrador ha imposto unilateralmente una tariffa del 25% su diversi materiali, tra cui vetro, acciaio e alluminio, per quei paesi con i quali non ha un accordo di libero scambio.
Cosa aspettarsi dalle prossime elezioni presidenziali
Il 4 giugno si terranno le elezioni presidenziali, in cui per la prima volta nella storia recente del Messico post-indipendenza una donna potrebbe ricoprire la carica di Presidente del Paese.
La candidata favorita dai sondaggi è Claudia Sheinbaum, capo del governo di Città del Messico fino allo scorso giugno, vicinissima a Obrador ed esponente del suo partito Morena. La popolarità del partito del presidente uscente è tale da aver condotto all’unione delle opposizioni, che sosterranno Xóchitl Gálvez, candidata del Fuerza y Corazón por México (Forza e Coraggio per il Messico), una coalizione che raccoglie tutti i Partiti tradizionali messicani: Pri, Pan e Prd.
Il Partido Revolucionario Institucional (Pri) ha detenuto il potere ininterrottamente per gran parte del ‘900; mentre il Partido Acción Nacional (Pan), è un partito conservatore che per primo aveva fermato il dominio del Pri nei primi anni Duemila. Entrambi con l’ascesa di Morena hanno visto nettamente ridimensionato il proprio peso politico.
Obrador è infatti riuscito in poco tempo a stravolgere gli assetti politici del Paese. Candidato sconfitto per pochi punti percentuali alle presidenziali del 2006 e del 2012 con il Partido de la Revolución Democrática (Prd), nel 2014 fonda il partito Movimiento de regeneración nacional (Morena), con cui inizia a scalare gli indici di gradimento.
È grazie alla Austeridad Republicana, dottrina politica proposta da Obrador contraria agli sprechi della burocrazia messicana, che Amlo conquista una netta vittoria nelle ultime elezioni a scapito di Pri e Pan, partiti che in passato da rivali avevano dominato la storia politica del Paese, ma che insieme nel 2018 ottengono solo la metà dei voti.
La visione di governo di Morena prende il nome di Cuarta Tranformación, che si richiama alle altre tre fasi che hanno inciso nella storia recente del Messico: la guerra di indipendenza, la guerra di riforma e la rivoluzione messicana. La Cuarta Tranformación unisce la lotta alle élites con ingenti investimenti in opere infrastrutturali, attraverso politiche di interventismo statale che insistono su una forte centralità dello Stato in economia.
L’apprezzamento verso Obrador è rimasto a livelli tali che in caso di una sua ricandidatura la vittoria sarebbe quasi indiscutibilmente sua. Tuttavia la costituzione messicana, oltre a prevedere un mandato presidenziale che ha pochi eguali al mondo (dalla durata di 6 anni), non consente la rielezione di un presidente. Ciò nonostante la Cuerta Tranformación potrebbe non rimanere incompiuta: Sheinbaum, candidata di Morena e forte della popolarità del partito, ha promesso di proseguire gran parte delle politiche dell’attuale presidente.
Le sfide della futura presidente
Chiunque vincerà tra Sheinbaum e Gálvez dovrà governare uno dei Paesi con i più alti tassi di povertà e disuguaglianza, oltre che uno dei più violenti: nel 2021 registrava una media di 28 omicidi ogni 100mila abitanti, dato che secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine, renderebbe il Messico il quarto Paese più violento al mondo e il secondo delle Americhe.
Tra le questioni irrisolte della presidenza Obrador, permane la difficile gestione dei rapporti con gli Stati Uniti. Nonostante il nearshoring stia avvantaggiando economicamente il Messico e abbia avvicinato le due nazioni, la gestione dell’immigrazione e del traffico di Fentanyl costituiscono i principali ostacoli ad una maggiore intesa.
L’immigrazione è un tema chiave nel dibattito pubblico statunitense e su cui si svilupperanno in larga parte le prossime elezioni presidenziali. Se Trump aveva affrontato la questione minacciando di imporre dei dazi ai prodotti messicani per indurre Obrador a cedere sulle politiche migratorie, Biden ha adottato un approccio più diplomatico al fine di stabilire con il presidente messicano un rapporto di collaborazione.
Dal 2022, in base a quanto riportato dal Dipartimento di Stato Americano, il Messico ha aggiunto centinaia di posti di blocco per l’immigrazione e decuplicato il personale addetto alle forze dell’ordine. Nonostante il Messico non abbia mai detenuto così tanti migranti nella storia recente come negli ultimi anni, i numeri non accennano a diminuire, con più di due milioni di attraversamenti illegali delle frontiere in ciascuno degli ultimi due anni fiscali, il doppio rispetto al 2019.
Tra i fattori che avrebbero contribuito alla crescita del numero dei migranti è la proliferazione dei cartelli del narcotraffico e di altri gruppi criminali, il cui numero secondo l’International Crisis Group è cresciuto dai 76 del 2010 ai 200 attuali.
Ad oggi hanno sviluppato una libertà di azione tale da poter disporre di organizzazioni militari strutturate e profondamente radicate sul territorio. Nella Battaglia di Culiacán del 2019, in cui l’arresto del figlio di Joaquín Guzmán (detto El Chapo) scatenò la reazione del Cartello di Sinaloa, la violenza dei narcotrafficanti fu tale da costringere le autorità al rilascio di Guzmán.
I narcos sono anche responsabili del contrabbando Fentanyl, sostanza oppioide sintetica importata dalla Cina, prodotta in Messico ed esportata negli Stati Uniti. Le frizioni in questo caso riguardano le modalità di contrasto allo straripante potere dei cartelli. Nonostante le pressioni statunitensi, Obrador ha inaugurato un approccio meno conflittuale alla criminalità organizzata incentrato sulla riduzione del tasso di omicidi, criticando la guerra alla droga sostenuta dagli Stati Uniti, ritenuta come mortale e inefficace.
In gioco è il futuro della seconda economia dell’America latina, quarta nel continente per popolazione, Paese di cruciale importanza per la sicurezza e l’economia Statunitense, e quindi capace di alterare gli equilibri del vicino.
La lotta per la presidenza degli Stati Uniti si svilupperà infatti su molti ambiti che dipendono strettamente dalle scelte della politica messicana: la nuova presidente potrebbe disporre di un potere negoziale che ha pochi precedenti nella storia del Paese.