Sanare ciò che sanguina
Cosa significa tornare alla vita cristiana oggi?
La Rerum Novarum invita a « tornare alla vita cristiana, senza la quale gli stessi argomenti stimati più efficaci, si dimostreranno scarsi al bisogno. Quanto alla Chiesa, essa non lascerà mancare mai e in nessun modo l’opera sua, la quale tornerà tanto più efficace quanto più sarà libera, e di questo devono persuadersi specialmente coloro che hanno il dovere di provvedere al bene dei popoli». Questo significa trasformare il messaggio di salvezza ascoltato in compito e missione, senza l’auto-compiacimento narcisistico di una religiosità privata e individualistica. Significa, cioè, rispondere con l’azione all’opera di rinnovamento continuo realizzata dallo Spirito Santo, nella consapevolezza che, come vi è una dimensione sociale della carità, vi è anche una dimensione sociale del peccato. Tanto il male quanto il bene operati dal singolo influenzano le comunità umane nell’orizzonte di un’inclusione o di un’esclusione, dell’edificazione dell’armonia o della semina di zizzania e discordia.
Carità Sociale
La Rerum Novarum prosegue accennando alla carità come al «più sicuro antidoto contro l’orgoglio e l’egoismo del secolo». La carità «è longanime, è benigna, non cerca il suo tornaconto, tutto soffre, tutto sostiene» e la salvezza del singolo è «effusione di questa carità».
In questo senso, l’estensione sociale della carità non può non toccare il peccato sociale rappresentato dallo sfruttamento economico-sociale operato spesso in lungo e in largo dal capitalismo liberale, che ha condotto ad una società capitalistica ormai marcescente, fondata sul dogma calvinistico del lavoro “duro”, attraverso il quale ogni singolo uomo otterrebbe la propria salvezza. Una salvezza della quale il merito, sancito dal mercato, sarebbe il segno. Il capitalismo, pur presentandosi molto più spesso in chiave atea, liberale e libertina, non ha mai dismesso questa tentazione di assurgere ad una funzione sacrale e salvifica, quasi una sorta di idolatria opposta a quella del marxismo ortodosso.
Una nuova idea di Società
La società capitalistica è strutturata, per usare le parole di Giovanna Botteri, sul «devi lavorare, devi lavorare duro, dipendi dal lavoro che fai, dai soldi. E oggi, improvvisamente, nelle strade, si sente qualcos’altro: che c’è una vita oltre il lavoro e che bisogna rivendicare anche questa vita oltre il lavoro»
Il diritto al Tempo Libero
Sulla stessa lunghezza d’onda sono le parole di Melenchon, che rivendicano il diritto al tempo libero, al tempo della libera contemplazione personale, quello che cristianamente, per i monaci benedettini, francescani e domenicani per cui c’è un ozio che è “nemico dell’anima” e “i fratelli devono dicarsi in alcune ore ai lavori manuali e in altre invece, pure determinate, alla lettura dei libri contenenti la Parola di Dio”(Alessandro Paglia, Il monastero come azienda, Edizione grafica Sanvitese, 2017), era il tempo dell’Ora, cioè dell’attività autotelica della contemplazione, che segue e/o precede quello del Labora, ossia il tempo del lavoro manuale.
Ebbene, Melenchon ha affermato: «Noi difendiamo il diritto di prendersi una pausa durante l’esistenza, il tempo libero, il tempo in cui uno decide da sé stesso quello che va a fare. Vivere, amare, leggere poesie, pitturare. Il tempo libero è quello che ci dà la possibilità di essere integralmente umani, produrre meglio, lavorare di meno, lavorare tutti e faticare di meno. Diritto di vivere pienamente umanamente nel tempo libero, nel tempo auto-gestito»[3]
Ridurre l’orario di lavoro
In questo senso ridurre l’orario di lavoro sarebbe un obiettivo importante per far spazio ad una logica di mercato che non sia solo legata al profitto e alla massimizzazione dell’utile ma che abbia di mira il bene integrale delle persone.
L’attuale governo Meloni nella persona del ministro Urso ha operato un’apertura importante sul tema, proclamando la propria disponibilità a venire incontro ad una richiesta operata dal sindacato più rappresentativo cioè la CGIL, a lavorare sul tema “senza pregiudizi“, sottolinenando come l’attuazione di tale proposta debba accompagnarsi ad “una saggia politica industriale con l’obiettivo di aumentare produttività e occupazione”.
Il superamento della Società della prestazione
In questo senso sembra che ad una società della prestazione debba sostituirsi una civiltà del valore, fondata su un’educazione integrale che tenga conto dei due aspetti dell’uomo, quello lavorativo e quello contemplativo, l’arte di procurarsi il necessario per vivere e quella di esercitare la meraviglia di fronte al Creato. In questo senso la famiglia è il tempio della contemplazione e della pace anche se, citando Emanuele Samek Lodovici, in essa «ciascuno è amato per se stesso, non per il ruolo che ricopre», non in quanto funzionale ad un sistema di profitto o ad un meccanismo sociale o economico. Sappiamo che nella vita quotidiana siamo accettati, fuori dalla famiglia, nella misura in cui svolgiamo una funzione è quindi rientriamo in un meccanismo, per esempio l’ambiente di un ospedale, di un tribunale, di un ufficio”I rapporti fuori della famiglia, sono rapporti bronzei, di prestazione, si usa dire, ma nella famiglia non si è accettati per le prestazioni che si danno, ma per quello che si è»(Emanuele Samek Lodovici, Una Vita Felice, Edizioni Ares, p. 35-36).
Questa scissione tra il tempo della famiglia e quello del lavoro ha spesso finito per risolversi sporcando la famiglia stessa, trasformandola nel luogo di formazione di ragazzi pronti per il mercato del lavoro e per il gioco della competizione economica, plasmati da genitori ansiosi di proiettarli nel mondo, che desiderano si realizzi per loro il sogno borghese dell’affermazione sociale.
E’ lo spazio della contemplazione a rendere veramente liberi
Al contrario, la famiglia dovrebbe essere «il luogo dove le persone sono accolte per quello che sono» e in cui si può trasmettere il principio secondo cui «non importa il risultato ma il come». In questo senso, il modo attraverso il quale ci si confronta con la realtà diventa fondamentale per entrare in rapporto profondo con essa. Infatti, l’uomo è fatto per le altezze della contemplazione, per comprendere la Verità delle cose e la Verità che pone le cose, l‘inoggettivabile per eccellenza, lo scrigno di ogni perfezione, ciò che sta ad ogni cosa come l’atto del suo Essere. Ossia quello che noi chiamiamo Dio, per citare Tommaso d’Aquino.
Lavoro, Verità e Bellezza
È nella contemplazione di questa altezza e di questa Verità che sta la Libertà, in una passività che riceve e contempla, per il quale ogni atto della volontà e dell’amore può essere di preparazione o complemento, ma non sostanza. Non è nel Lavoro che è tutta l’essenza dell’uomo, alienata dall’iniqua distribuzione delle ricchezze e dalla “L’animale forma cose solo secondo la misura e il bisogno della specie cui appartiene, mentre l’uomo sa produrre secondo la misura di ogni specie e dappertutto sa conferire all’oggetto la misura inerente, quindi l’uomo forma anche secondo le leggi della bellezza”.
In questo senso non è il Lavoro che rende liberi, come tristemente recitavano le targhe dei campi di Auschwitz, o che rende onore, come recitavano le targhe d’ingresso dei gulag. Ciò che rende onore all’uomo è l’operare il Bene e il contemplare il Vero, due attività che stanno al di là di ogni atto indirizzato al concreto del quotidiano operare mondano.
La natura contemplativa dell’uomo
L’uomo non è solo animal laborans.
Il Lavoro è parte integrante dell’esperienza umana, ha una sua nobiltà, ma non va assolutizzato, monumentalizzato e idolatrato. Più in alto del Labora sta l’Ora.
Citando le parole ancora molto attuali di Pieper nell’Elogio della filosofia: «Oggigiorno non dovrebbe riuscire difficile a nessuno immaginarsi un mondo la cui atmosfera sia quasi completamente determinata da un continuo e generale abuso del linguaggio, ridotto ormai soltanto a slogan.|…| Non dobbiamo però neppure dimenticare un’altra verità che, sebbene, non s’imponga con altrettanta evidenza, occorre immediatamente richiamare alla nostra consapevolezza: colui che, in mezzo a un ambiente condizionato a tal punto da appelli, manifesti pubblicitari e annunci opportunistici, riuscisse a tenere presente con fermezza l’effettiva, autentica realtà delle cose, colui che, sia pure in silenzio e in segreto, con le parole del cuore, fosse in grado di esprimere la conoscenza di ciò che realmente è, ebbene costui si sarebbe conservato uno spazio di libertà!»(J. Pieper, Elogio della Filosofia, Edizioni Ares, p. 52, 2022).
Recuperare uno spazio personale
Spinti dalle innumerevoli offerte di consumo e dai ritmi stressanti di lavoro o studio come sottolinea Papa Francesco nell’esortazione apostolica Guadete ex Exsultate, «a volte non lasciamo spazi vuoti in cui risuoni la voce di Dio. Tutto si riempie di parole, di piaceri epidermici e di rumori ad una velocità sempre crescente. Lì non regna la gioia ma l’insoddisfazione di chi non sa per che cosa vive. Come, dunque, non riconoscere che abbiamo bisogno di fermare questa corsa febbrile per recuperare uno spazio personale, a volte doloroso, ma sempre fecondo, in cui si intavola il dialogo sincero con Dio? In qualche momento dovremo guardare in faccia la verità di noi stessi, per lasciarla invadere dal Signore, e non sempre si ottiene questo se uno «non viene a trovarsi sull’orlo dell’abisso, della tentazione più grave, sulla scogliera dell’abbandono, sulla cima solitaria dove si ha l’impressione di rimanere totalmente soli»
È da questo spazio di contemplazione che la vita prende senso, spazio in cui dedicarsi ad esempio alla preghiera, alla letteratura, alla filosofia. Filosofare infatti «equivale … ad ascoltare in modo tanto profondo e totale che questo silenzio, tutto assorto nell’ascolto, non sia interrotto o disturbato da nulla, neppure da una sola domanda»(J. Pieper. Elogio della Filosofia, Edizioni Ares, 2022, p. 55)
Comprendere la fragilità, ascoltare il dolore
L’infelicità desolante dei nostri tempi dipende da un sistema che ha elogiato la prestazione, che ha messo il fare al centro, dimenticando che la libertà dell’uomo non si estrinseca in un febbrile attivismo, ma nel silenzio assorto della contemplazione. E in questo senso sono valide le parole di Emanuele Samek Lodovici: «L‘infelicità non dipende dal fatto che il mondo non dà all’uomo le cose, ma dipende dal fatto che lui è ormai incapace di riceverle. Questa è l’infelicità del nostro mondo che viene il presente e non gode nel presente. Perché facciamo tutto il possibile per non soffrire, ma nella misura in cui facciamo il possibile per non soffrire atrofizziamo la nostra capacità di gioire|…|solo chi non rifiuta in linea di principio alla possibilità della fatica, della sofferenza, del fare agli altri gratuitamente, solo chi rischia sé stesso, può vincere sé stesso e perfezionarsi, perché l’acrobata è bravo anche quando cade …. e questo fenomenologo che si chiama Gesù ci dice di star attenti a non essere uomini per il domani, perché bisogna vivere il presente e il presente si vive se si ha la capacità di accettare la sofferenza: non andare a cercarla, ma essere disposti ad accettarla in linea di principio»(Emanuele Samek Lodovici, Una Vita Felice, Edizioni Ares, p. 23, 2023).
Verso una società dell’Essere
Il soffrire, connotato della condizione umana, per il cristianesimo pena in conseguenza della colpa d’origine, viene continuamente atrofizzato dalla nostra società con l’effetto di vivere una vita in superfice mentre il dolore si sedimenta in profondità, inconsciamente, riemergendo in modo repentino ed inaspettato.
Dalla società della prestazione sarebbe ora di passare alla società dell’Essere, in cui si viene valutati per quello che si è e non per quello che si ostenta o si ha» per capire «che quello che conta non sono principalmente i risultati ma il come; se hai capito questo verranno anche i risultati, se non lo hai capito, anche i risultati che verranno non potranno essere da te compresi»(Emanuele Samek Lodovici, Una Vita Felice, Edizioni Ares, p. 38, 2022).
L’ozio creativo
Da come noi ci approcciamo alla realtà, ad esempio mettendola in questione filosoficamente e riflettendo sui dati che essa ci offre, dipende il nostro stare al mondo e la risposta alle nostre domande sul perché e sul che cos’è ciò che abbiamo intorno.
Oggi la questione tempo libero è riemersa all’intero delle proteste francesi sull’innalzamento dell’età pensionabile: l’uomo non è solo lavoro – è senz’altro uno dei temi di questa protesta – ma è svago, spiritualità libera, giocosità, esercizio dell’attenzione in una speculazione libera e disinteressata sulla realtà che lo circonda. Melenchon ha detto parole interessanti e tanto i sindacati quanto le associazioni giovanili hanno fatto presente questo concetto: c’è una vita oltre il Lavoro e quest’ultimo è parte importante, certamente, ma non integrale dell’esistenza umana. Esso può, sì, nobilitarla, ma può anche guastarla, e non solo se è malpagato o poco sicuro, ma anche se non lascia la possibilità di un ozio creativo, anche se i macchinari stancano fino all’eccesso o mettono a rischio la vita del lavoratore, diventando quindi fonte di stress, anche se il lavoro è inserito nel contesto di una vita frenetica sull’onda della corsa al guadagno e in una prospettiva di felicità sempre rimandata.
Per una vita senza divisioni
La felicità è ora, può essere ora, e non dipende solo dal lavoro; quest’ultimo è degno, ma non è la sola parte essenziale dell’esperienza umana in questo mondo.
«Noi cristiani — ha scritto Josemaría Escrivá — non conduciamo una doppia vita; manteniamo un’unità di vita coerente, semplice e forte, nella quale si fondono e si compenetrano tutte le nostre azioni»(Josemaria Escrivà, Amici di Dio, ed. Ares, 12 gennaio 2001). Non si tratta di una vaga aspirazione, di un generico stato d’animo di nostalgia del divino. Anche per san Josemaría il raggiungimento di una simile unità rappresenta «una condizione essenziale per tutti coloro che intendono santificarsi nelle circostanze ordinarie del loro lavoro, delle loro relazioni famigliari e sociali. Gesù non ammette la divisione»(Josemaria Escivà, Amici di Dio, ed. Ares, 12 gennaio 2001).

Dignità e valore della contemplazione
La vita per essere autenticamente umana deve comprendere, oltre al lavoro, l’attività contemplativa, l’essere assorti, concentrati, in un’attività pienamente libera e disinteressata. Vita Felice è quella trascorsa nella contemplazione disinteressata.
Per Aristotele la prerogativa della contemplazione appartiene in prima istanza a Dio ma egli la condivide con noi. Quindi è una cosa divina a cui noi però partecipiamo metafisicamente.
Come scrive Aldo Vendemiati «essere morali non è solo tendere al dio, ma far sì che le nostre strutture culturali e politiche corrispondano in qualche modo alla sua sapienza pur nella inevitabile contingenza e indeterminazione in cui la vita pratica è situata»(Aldo Vendemiati, Dio e l’etica, p. 43).
In questo senso Aristotele nella Politica indica che « bisogna seguire le stesse preferenze che valgono per le parti dell’anima e per le loro attività, cioè la guerra in vista della pace, l’occupazione in vista dell’ozio, le cose necessarie e utili per quelle belle. Il politico deve legiferare tenendo presenti tutte queste cose, secondo il fine delle parti dell’anima e delle loro attività, mirando alle cose migliori e ai fini»(Aristotele, Politica, ed. Bur, p. 601.). E cioè il lavoro, l’occupazione, il necessario per vivere devono essere in funzione di qualcosa di superiore, bisogna nutrire con poesia, letteratura, arte, filosofia, religione, la meraviglia di fronte alla Realtà.
Una pausa nell’esistenza per essere pienamente umani
Nella società odierna l’uomo è considerato come un lavoratore per il quale esiste la pausa ma come funzionale al riprendersi dal lavoro per nuovo lavoro. Non esiste la quiete di un tempo affrancato dal meccanismo lavorativo, tempo di un’attivitá disinteressata e quindi libera. Per istituire questo tempo libero ed essere quindi integralmente umani, é necessaria “una pausa nell’esistenza”, per citare ancora il bel discorso di Melenchon, che impedisca all’uomo di trasformarsi in una ruota alienata del meccanismo socioeconomico.
La felicità dell’uomo è nella contemplazione nella ricerca della ragione ultima di ciò che accade nel mondo. Con la contemplazione l’uomo va al cuore della realtà in cui é immerso, nelle profondità del Cosmo e del proprio animo.
Contro il rigorismo ascetico di certo capitalismo è un antidoto sicuro citare Tommaso D’Aquino: «È contrario alla ragione – scrive – essere di peso agli altri col non mostrarsi mai piacevoli o con l’impedire il divertimento altrui… quelli che rispetto al giuoco peccano per difetto, non dicono mai niente di divertente e non tollerano che altri lo facciano, questi stessi sono viziosi, pedanti e maleducati».
La salvaguardia dell’uomo interiore
In questo senso è da confutare un certo determinismo funzionale alla società della prestazione e di quello che Simon Weil definirebbe “il grande animale sociale”, tale determinismo nega questo spaaio di libertà e dignita, come dice uno dei suoi esponeti lo psicologo Skinner «Ciò che sta per essere abolito è l’uomo autonomo: l’uomo interiore, l’homuncolus, il demone che ci possiederebbe, l’uomo difeso dalle letterature della libertà e della dignità. Questa abolizione è ormai molto in ritardo[…] Egli(l’uomo interiore, n.d.r) ha tratto origine nella nostra onoranze, e, a mano a mano che la nostra comprensione aumenta, la sostanza di cui è composto si dilegua […] È necessario per la salvezza della specie umana. Non esitiamo a dire addio all’uomo in quanto tale. Solo spodestandolo possiamo passare […] dall’inferenza all’osservazione, dal miracolo alla natura, dall’inaccessibile al manipolabile”(Shoshana Zuboff, Il futuro dell’umanità nell’era dei nuovi poteri, ne Il capitalismo della sorveglianza, 2019 Luiss University Press, p. 455).
Dire addio all’uomo è però quantomeno controverso, in quanto ognuno di noi fa esperienza di coscienza nel valutare le azioni da compiere e nel dare alle azioni possibili un grado di positività o negatività, tale valutazione é possibile solo interrompendo il flusso degli eventi e serbandosi uno spazio per sé nella riflessione. Tale termine deriva dal latino re-flectere e sta a significare in chiave filosofica volgere indietro col pensiero quanto ci é dato nella realtà e quindi ai sensi fino a coglierne l’essenziale, quindi comprendere per poi sapere come agire.
Uno spazio di libertà
Esperienza tipicamente umana è quella dell’attenzione, del concentrarsi su un oggetto posto dalla ragione o dalla cui entità la ragione viene investita e che la volontà desidera. In questo senso ha detto parole efficaci Simone Weil: «L’attenzione è distaccarsi da sé e rientrare in sé stessi, così come si inspira e si espira. L’attenzione consiste nel sospendere il proprio pensiero, nel lasciarlo disponibile, vuoto e permeabile all’oggetto»( S. Weil, Attesa di Dio, Adelphi, 2008, p. 197).
Deve essere garantito uno spazio di libertà e intangibilità rispetto allo Stato, lo spazio per speculare liberamente sulla natura, sull’essere, dal particolare all’universale, lo spazio che Maria Zambrano definisce di “solitudine e libertà”(Maria Zambrano, Personane Democrazia, la storia sacrificale SE 2021), della luce della coscienza, che agisce nella Polis tuttavia senza obliare la propria singolarità, la propria il singolo esiste come personalità libera al di là dell’egoismo e non solo come parte di una comunità, come istanziazione della specie uomo, ma è singolarità incarnata, che si predica dell’universale ma in carne ed ossa, in “questa carne e queste ossa”(S. Tommaso d’Aquino, De ente et essentia, Bompiani, Milano, 2017, p. 87.), come sottolinea Tommaso nel De Ente et Essentia.
Verso il superamento del determinismo imperante
Il determinismo e la minaccia alla libertà personale compare ogni qual volta si immanentizzi il trascendente: dal Dio di Spinoza, dotato di pensiero ed estensione, libero e necessario, dal quale ogni uomo è determinato necessariamente ad agire, al Dio di Hegel, che è necessità totale e che arriva ad incarnarsi nello Stato, non lasciando spazio alla libertà personale che è deprivata della sua forza impattante nella società.
Sulla stessa lunghezza d’onda si muove il capitalismo nella sua opera di feticizzazione della merce e divinizzazione del profitto, ma anche Marx quando prospetta il comunismo come un destino ineluttabile e necessario, una Gerusalemme Celeste dell’uguaglianza, talora lasciandosi andare ad un linguaggio apertamente messianico. Questa atmosfera messianica è presente in questo passo dell’”Ideologia Tedesca”:<< la società regola la produzione generale e appunto in tal modo mi rende possibile di fare oggi questa cosa, domani quell’altra, la mattina andare a caccia, il pomeriggio pescare, la sera allevare il bestiame, dopo pranzo criticare, cosí come mi vien voglia; senza diventare né cacciatore, né pescatore, né pastore, né critico>>(K. Marx-F. Engels, L’ideologia tedesca, Editori Riuniti, Roma, 1972, pag. 24).
Qui Marx, oltre al tema del Lavoro, poi esaltato a dismisura dai regimi comunisti, introduce il tema del tempo libero e del disinteresse, lo spazio di libertà dell’attività disinteressata e fine a sé stessa, della contemplazione, uno spazio in cui si vive la propria singolarità e unicità in rapporto col silenzio e con la solitudine, intesa come rapporto con la propria coscienza, che non è incapsulabile in un meccanismo sociale.
Guardare alla realtà con gli occhi della mistica
Contro il determinismo si erge Martin Buber che ne Il principio dialogico e altri saggi scrive: «La sola cosa che può divenire fatalità per l’uomo è la credenza nella fatalità: essa impedisce il movimento della conversione. Fin dall’inizio credere nella fatalità impedisce il movimento della conversione. Fin dall’inizio credere nella fatalità porta fuori strada”(Martin Buber, il Principio Dialogico e altri saggi, Ed. San Paolo, p. 99). “Ogni considerazione riguardo al processo è solo un ordine, il “nient’altro che si è divenuto” i separati eventi del mondo, l’oggettualità come storia. La presenza del tu, il costituirsi a partire dal legame, le è inaccessibile.
Essa non conosce la realtà dello spirito, né il suo schema vale per lo spirito|…| Colui che è sopraffatto dal mondo dell’esso è costretto a vedere nel dogma del processo inalterabile una verità che produce chiarezza nel pullulare delle cose; in verità esso lo rende ancor più profondamente dipendente dal mondo dell’esso. Tuttavia, il mondo del tu non è sbarrato|…|E liberarsi dalla fede nella non-libertà significa diventare liberi»(ivi p. 100).
Secondo Buber, oltre al modo tecnico di guardare al mondo per controllarlo e farne esperienza (scienze dure ma non solo) vi è il modo mistico, che guarda al mondo dandogli del tu e si apre con meraviglia allo splendore del creato.
Lavorare in libertà
In ogni società, citando la Caritas in Veritate di Benedetto XVI, il lavoro dovrebbe essere «l’espressione della dignità essenziale di ogni uomo e di ogni donna: un lavoro scelto liberamente, che associ efficacemente i lavoratori, uomini e donne, allo sviluppo della loro comunità; un lavoro che, in questo modo, permetta ai lavoratori di essere rispettati al di fuori di ogni discriminazione; un lavoro che consenta di soddisfare le necessità delle famiglie e di scolarizzare i figli, senza che questi siano costretti essi stessi a lavorare; un lavoro che permetta ai lavoratori di organizzarsi liberamente e di far sentire la loro voce; un lavoro che lasci uno spazio sufficiente per ritrovare le proprie radici a livello personale, familiare e spirituale; un lavoro che assicuri ai lavoratori giunti alla pensione una condizione dignitosa». Il lavoro deve quindi assicurare un tenore di vita dignitoso ed uno spazio di libertà in cui essere pienamente sé stessi.
Un tempo per ritrovare sé stessi
Secondo Paolo VI, ogni popolo deve «criticare ed eliminare i falsi beni che porterebbero con sé un abbassamento dell’ideale umano, accettare i valori sani e benefici per svilupparli, congiuntamente a loro, secondo il proprio genio particolare». Bisogna perciò promuovere un “umanesimo plenario” Un umanesimo «aperto verso l’Assoluto, nel riconoscimento d’una vocazione, che offre l’idea vera della vita umana. Lungi dall’essere la norma ultima dei valori, l’uomo realizza se stesso che trascendendosi. Secondo l’espressione giusta di Pascal: «L’uomo supera infinitamente l’uomo».
In questo senso per una vita pienamente umana |…|deve essere garantita ad ogni futuro lavoratore «un’adeguata istruzione. Resta chiaro ovviamente che ogni uomo, che partecipa al processo di produzione, anche nel caso che esegua solo quel tipo di lavoro, per il quale non sono necessari una particolare istruzione e speciali qualificazioni, è tuttavia in questo processo di produzione il vero soggetto efficiente, mentre l’insieme degli strumenti, anche il più perfetto in se stesso, è solo ed esclusivamente strumento subordinato al lavoro dell’uomo»
Guadagnare in consapevolezza.
Piuttosto che tentare di anticipare l’ingresso degli studenti nel mondo del Lavoro, con il progetto di Alternanza Scuola/Lavoro, bisognerebbe insegnare loro a divenire coscienti della realtà che li circonda, portando la filosofia oltre il confine dei Licei, negli istituti tecnici, al fine di formare lavoratori manuali o futuri ingegneri dotati di una preparazione umanistica integrale, che permetta di rispondere con coscienza alle sfide che attendono ciascun uomo non solo sul mercato del lavoro ma più in generale nella vita.
In questo senso sottolineava Giovanni Paolo II° «Bisogna sottolineare e mettere in risalto il primato dell’uomo nel processo di produzione, il primato dell’uomo di fronte alle cose. Tutto ciò che è contenuto nel concetto di “capitale” – in senso ristretto – è solamente un insieme di cose. L‘uomo come soggetto del lavoro, ed indipendentemente dal lavoro che compie, l’uomo, egli solo, è una persona. Questa verità contiene in sé conseguenze importanti e decisive”[3].
La mistica come unità teoretico-pratica dell’umano
“L’insegnamento della Chiesa ha sempre espresso la ferma e profonda convinzione che il lavoro umano non riguarda soltanto l’economia, ma coinvolge anche, e soprattutto, i valori personali. Il sistema economico stesso e il processo di produzione traggono vantaggio proprio quando questi valori personali sono pienamente rispettati».
In questo senso, come sottolinea Levinas ogni uomo andrebbe indirizzato «alla ricerca di una verità è appunto una relazione che non si fonda sulla privazione del bisogno. Cercare e ottenere la verità significa essere in rapporto, non perché si è definiti da altro da sé, ma perché, in un certo senso, non si manca di niente».(Emmanuel Levinàs, Totalità e infinito, Jaca Book, p. 59) Un’educazione che insegni ad andare oltre la logica del bisogno, del piacere-dispiacere, del più e del meno, per abbracciare invece la logica dell’essere, dell’autentica felicità, in cui non vi è né il più né il meno ma la felicità, l’eterno presente dell’essere. Felicità che è l’agostiniana “insatiabilis satietas”, qualcosa che sazia e che allo stesso tempo non basta mai, ovvero l’incontro tra Amore e Conoscenza, in questo senso il miglior modo di stare al mondo è quello mistico di aderire all’Essere nel pratico operare e nel teoretico contemplare, una contemplazione in azione, un’ontologia della vita, qui è lo spazio della libertà come scrisse Carmen Hernandez rivolgendosi a Gesù:” Vieni, vieni, amore della mia gioventù e mia speranza. Infondimi energia, che sto crollando nel nulla” e “Forza mia… grazie, mi conforti nel profondo. Sento la libertà”
Foto in evidenza: “The Persistence of Memory (1931) by Salvador Dali” by hannibal1107 is licensed under CC BY 2.0.