È ormai chiaro che il conflitto tra Russia e Ucraina abbia reso i rapporti fra Oriente ed Occidente ancora più freddi: le sanzioni ai danni dei cosiddetti oligarchi, e del popolo, russi e la ferrea volontà di Putin e del suo governo di non cedere al tavolo dei negoziati delineano il quadro di una guerra che sembra ogni giorno sempre più ideologica e destinata a polarizzare il mondo. Se in questo scenario ci sono paesi la cui posizione nell’uno o nell’altro blocco è chiara, ben definita, al contrario alcune potenze hanno scelto la via del centrismo.
Nazione leader di questa politica di non allineamento è l’India del premier Narendra Modi. Modi è in carica dal 2014 col suo partito Bharatiya Janata Party (BJP), il Partito Popolare Indiano, che in questi anni di governo ha attuato politiche estere fondate sul dialogo coi propri vicini e su una stretta collaborazione diplomatica con i leader di Stati Uniti e Russia giocando spesso il ruolo di mediatore tra le parti. Nella crisi che vede scontrarsi le forze ucraine e quelle russe questa politica centrista è stata però percepita in Occidente come una chiara scelta di vicinanza del presidente Modi a Putin.
Sebbene infatti il governo indiano abbia fin dall’inizio condannato sia l’aggressione militare russa sia la guerra come mezzo di risoluzione dei conflitti territoriali, allo stesso tempo si è astenuta dal convalidare le sanzioni imposte dal blocco Atlantico alla Federazione Russa e agli oligarchi, sostenendo l’importanza del dialogo e la necessità di una risoluzione pacifica del conflitto che non danneggi i delicati rapporti diplomatici ed economici tra le nazioni.
La posizione dell’India assicura un vantaggio internazionale non indifferente sul piano strategico poiché di fatto l’India di Modi sta da un lato mediando nella crisi e dall’altro sta trovando terreno fertile per allentare la tensione con i propri vicini, Pakistan e Cina in primis, che da sempre sono una spina nel fianco per lo sviluppo e la sicurezza del paese.
Nelle scorse settimane il governo indiano ha infatti dato il via ad un nuovo processo di relazioni con la Cina di Xi Jinping, il quale apprezza notevolmente che l’India di Modi non abbia condannato la posizione cinese su Taiwan e Hong Kong, temi che invece non lasciano indifferenti le potenze e i media occidentali. Persino Shebaz Sharif, Primo Ministro pakistano, ha recentemente parlato della necessità di instaurare una “pace permanente” tra India e Pakistan. Modi sembra dunque perfettamente non allineato tra le forze mondiali in campo, incarnando uno stile politico non certo nuovo nel panorama indiano, che fa parte di un retaggio culturale tanto antico quanto straordinariamente attuale.
L’equidistanza nell’epoca moderna: l’opera politica di Jawaharlal Nehru
Per comprendere a pieno le mosse di Modi nel quadro attuale bisogna fare un passo indietro e incontrare colui che in epoca moderna diede inizio alla politica centrista dell’India indipendente: Jawaharlal Nehru. Egli fu uno strettissimo collaboratore ed erede spirituale del Mahatma Gandhi, divenne primo ministro dal 1947 al 1964 alla testa del Congresso Nazionale Indiano e durante la guerra fredda propose lo stile politico del centrismo come base dei rapporti fra le nazioni non allineate.
In un momento storico simile a quello attuale in cui l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti reggevano la delicata bilancia delle sorti del mondo, Nehru scorse l’opportunità di una politica neutrale che avrebbe permesso lo sviluppo interno e il ruolo di mediatore all’India ormai libera dal dominio britannico. Gli americani erano considerati da Nehru, nonostante fossero e siano ancora oggi i maggiori partner economici del paese, rozzi e materialisti e il capitalismo liberista sembrava un sistema troppo distante per le necessità indiane.
Allo stesso modo, sebbene il premier avesse una considerazione più alta della Russia nel periodo zarista, lo statalismo comunista del tempo non era comunque un’alternativa valida. Le percezioni personali di Nehru però non erano importanti quanto le reazioni delle due superpotenze a questa politica centrista. Se da un lato l’Urss aveva appoggiato la neutralità di New Delhi, dall’altro gli Usa, esattamente come oggi, giudicarono “se non immorale, quanto meno amorale” la condotta di Nehru al quale veniva imputato di ignorare la lotta tra il “bene” e il “male”.

Fu durante la conferenza di Bandung, in Indonesia, indetta nel 1955 su iniziativa, tra le altre, dell’India, della stessa Indonesia e che comprendeva 29 nazioni afro-asiatiche di recente indipendenza, che Nehru enunciò i cinque principi della pace, adottati in seguito anche da numerose altre nazioni, facendosi leader e portavoce di tutti quegli stati che cercavano nel centrismo la loro via di realizzazione internazionale. I cinque principi della pace (Pancha Shila) erano il rispetto dell’integrità territoriale di ogni stato, la non aggressione, la non interferenza, lo sviluppo di rapporti basati sulla parità e su reciproci vantaggi e la coesistenza pacifica. L’influenza del pensiero di Ghandi su questi precetti è evidente.
La conferenza inoltre contribuì ad accrescere il prestigio internazionale di Nehru tanto che nello stesso anno Nikita Kruscev, segretario del partico comunista sovietico, e Nikolai Bulganin, presidente dell’Urss, visitarono l’India e stipularono alcuni importanti accordi economici e politici con New Delhi. Questo però, esattamente come avviene oggi, mise in dubbio l’equidistanza della politica di Nehru dai due blocchi. Il centrismo sembra dunque un delicato sistema di indifferenza e compromesso che ben si sposa con la millenaria cultura politica indiana. Non è infatti un segreto che Nehru fosse fortemente ispirato da uno dei più famosi sovrani dell’India antica: Ashoka.
L’ultimo imperatore Maurya e la nascita del pacifismo centrista
Ashoka, il cui lungo regno durò all’incirca dal 268 al 233 a.C., fu l’ultimo imperatore della dinastia Maurya e forse il più grande sovrano della storia dell’India antica. Jawaharlal Nehru vide infatti nella tolleranza e ne pacifismo del governo di Ashoka sia un punto di riferimento per le proprie scelte interne ed esterne, sia un motivo d’orgoglio per l’elevato grado di civiltà raggiunto dalla società indiana dell’epoca Maurya e raramente eguagliato nella storia antica.
Ashoka, sovrano indù convertito negli ultimi anni di vita al buddhismo, attuò importanti riforme politiche e sociali alle quali Nehru, come abbiamo visto, si ispirò oltre duemila anni dopo. Il sovrano Maurya applicò la tolleranza politica e religiosa non solo al proprio stato ma anche a quelle nazioni confinanti con le quali instaurò rapporti di amicizia e benevolenza, non rifiutando la guerra in linea di principio ma creando una rete di influenza basata sui principi che teorizzò come fondamenta dello stato.
La legge del “dhamma” di Ashoka si basava su quattro principi fondamentali: la benevolenza verso tutti gli esseri umani, il rispetto delle varie identità religiose, la non violenza (ahimsa) e la realizzazione di opere di pubblico interesse. I quattro principi di Ashoka non solo sono stati fortemente ricalcati da Nehru, ma sono anche ciò che storicamente ha ispirato il pacifismo del pensiero gandhiano basato sulla non violenza e la tolleranza.
Vi sono dunque i presupposti per condividere la tesi di alcuni storici che presenta l’immagine del subcontinente indiano come un oceano in tempesta la cui superfice è sconvolta dal vento e dalle onde e tuttavia a pochi metri di profondità le acque rimangono perfettamente immobili. L’attuale centrismo e il non allineamento di Modi dunque non sono altro che il lungo processo di “statica evoluzione” della cultura politica e sociale indiana che affonda le radici nella storia ed emerge ancora oggi come efficace strumento diplomatico.
L’ago della bilancia nella cooperazione militare internazionale
Tolleranza e pacifismo non significano debolezza. Il governo Modi ha infatti attuato importanti riforme, lo schema Agnipath tra tutte, per rafforzare e rendere più giovane e preparato l’intero comparto militare. Sebbene la linea del BJP sia quella di evitare ad ogni costo un conflitto diretto con i vicini pakistani e cinesi, la propaganda che spinge alla rivendicazione di territori contesi deve essere però necessariamente sostenuta dall’investimento di risorse sulle forze armate.
Con circa un milione e mezzo di uomini operativi, la struttura militare dell’esercito, dell’aviazione e della marina indiana può senza dubbio vantare di sfiorare il primato in termini numerici, ma è ben noto che l’addestramento di queste truppe sia generalmente piuttosto carente e non certo in linea con quello delle grandi potenze mondiali. In tal senso, per migliorare la preparazione generale riuscendo comunque a mantenere i piedi in due staffe, le forze armate indiane hanno condotto negli ultimi anni esercitazioni militari congiunte sia con gli Stati Uniti che con Russia e addirittura Cina e Pakistan.
Nella regione del Himachal Pradesh, nell’estremo nord dell’India, è in corso nel mese di agosto la tredicesima edizione del “Vajra Prahar”. Per la durata di 21 giorni, un contingente di truppe appartenenti a due squadroni di paracadutisti delle Forze Speciali statunitensi parteciperà a diverse esercitazioni militari in cui saranno simulate operazioni antiterrorismo e di sbarco aereo in territorio montuoso. Scopo primario del Vajra Prahar inoltre è ribadire come USA e India siano impegnate bilateralmente a cooperare sul piano strategico-militare.
La stessa volontà di collaborazione militare e rapporti diplomatici pacifici è da ricercare nelle esercitazioni congiunte con Russia e Cina denominate “Vostok-2022”, che avranno luogo quest’anno in territorio russo. L’amicizia tra Modi e Putin e tra i rispettivi paesi che rappresentano, non è certo lo stesso tipo di relazione che lega Cina e India. Ciò però non ha impedito la partecipazione indiana alle esercitazioni, la cui presenza sicuramente è stata apprezzata da Pechino e che arriva in un contesto in cui, ora che gli occhi sono puntati su Taiwan, segnali di apertura da parte di paesi vicini fanno particolarmente comodo.
Il governo Modi sembra dunque essere riuscito a dare nuova linfa all’eredità della neutralità internazionale della tradizione politica indiana. Perfino l’idea del pacifismo risulta incasellata in un progetto di riforme e sviluppo militari prettamente difensivi e non stona col mosaico ideologico generale del BJP e del suo leader.
In un mondo sempre più polarizzato, l’India rimane senza bandiera ma più che mai nel vivo del gioco geopolitico mondiale nel quale può mostrare i muscoli come potenza o giocare il ben più conveniente ruolo di mediatrice tra le parti.
Immagine in evidenza: “File:Indian Prime Minister Narendra Modi and Russian President Vladimir Putin at the signing of Russian-Indian documents, 2016.jpg” by Presidential Press and Information Office is licensed under CC BY 4.0.