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La guerra industriale silenziosa tra Europa e Stati Uniti

L'inflation Reduction Act varato dall'amministrazione Biden aumenta il margine di competitività dell'industria americana su quella europea. Preoccupazioni e contromosse di Berlino, Parigi e Bruxelles

Se la guerra economica contro la Federazione Russa non accenna a placarsi, neanche all’interno del fronte occidentale la situazione è meno tesa. La vecchia Europa si trova presa tra due fuochi: da un lato la Rusia, dall’altro gli Stati Uniti, dove l’energia costa un quarto rispetto all’Ue e il Congresso ha approvato l’Inflation Reduction Act o Ira (cioè il Green Deal statunitense), un massiccio sistema di sovvenzioni per favorire le tecnologie verdi. 

Un ammontare di circa 370 miliardi di dollari per incentivare il reshoring delle catene di produzione, tra cui quelle di energia rinnovabile, batterie e auto elettriche, in Nord America – Canada e Messico inclusi – lasciando a bocca asciutta l’Europa che teme la desertificazione industriale. La mossa di Washington ha già messo a rischio un importante investimento di Intel su suolo tedesco, di ben 17 miliardi per una nuova fabbrica di semiconduttori, facendo adirare Berlino tanto da spingere l’ad del colosso statunitense, Pat Gelsinger, a rassicurare il governo tedesco a Davos. Gelsinger ha dichiarato che con il progetto “stiamo andando avanti” ma ha anche ricordato la lentezza europea nell’approvazione del Chips Act.

Berlino teme la deindustrializzazione

Berlino vorrebbe da una parte modificare le norme in materia di aiuti di stato, che attualmente limitano la capacità dei paesi membri di sovvenzionare le imprese, per evitare l’inasprirsi della concorrenza all’interno dell’Unione e con gli USA. L’ammontare delle risorse introdotte dall’amministrazione americana, infatti, potrebbe indurre (se non lo stanno già facendo) molte imprese a delocalizzare e varcare l’Atlantico, senza considerare il considerevole aumento della competitività delle stesse imprese americane, foraggiate da così consistenti risorse pubbliche.

Se anche la Germania, culla di rigore e austerità, teme lo spettro della deindustrializzazione, significa che il pericolo è concreto, specie se il fronte occidentale non è l’unico aperto. Ricordiamo l’annosa questione della concorrenza “sleale” a Oriente: i tedeschi sono ormai consapevoli del pericolo rappresentato dall’altro grande concorrente, nonché “rivale sistemico”, che oltre a sussidiare le proprie industrie da decenni controlla anche le filiere delle terre rare, su tutte il litio: la Cina

In opposizione alla dura (e spesso miope) dottrina mercantilista che ha portato il cancelliere Olaf Scholz e una delegazione di industriali a visitare il presidente Xi Jinping appena dopo la sua terza nomina (di fatto un’incoronazione), il governo tedesco sta lavorando con altri soggetti geopolitici come India e Giappone, mentre le aziende stanno rivalutando i rischi di fare affari in Cina e intensificando le loro attività in altri Paesi, spingendo il fenomeno del friendshoring.

Possiamo dire da quanto sta avvenendo in questi giorni che l’Unione Europea si è dimostrata decisa a rispondere con fermezza (almeno a parole) all’Ira del governo Biden, per fermare sul nascere un’emorragie di competitività e imprese e investimenti. Nel consesso dell’Ecofin bene ha fatto il ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti a sottolineare il pericolo di un semplice allentamento delle regole in materia di aiuti di stato, con il risultato di avvantaggiare gli stati membri che godono di un margine di bilancio più ampio, aggravando così le divergenze economiche all’interno dell’Unione.

Una mossa che potrebbe frammentare il mercato interno, perché paesi come la Germania, che hanno conti pubblici più in ordine e dunque maggiore disponibilità di cassa, potrebbero mettere sul piatto molte più risorse di quanto possa fare l’Italia, il cui debito pubblico impedisce grandi manovre. Da ultimo agevolare solamente gli aiuti di stato senza costruire una strategia comune e organica potrebbe creare i presupposti per un’Europa a due velocità, con conseguenti, ingiusti, squilibri.

La strategia industriale dell’Eliseo

La Francia, patria dello “stato stratega” in economia, segna un grande attivismo, presentando il piano, chiamato “Made in Europe” i giorni 9 e 10 febbraio prossimi, al vertice dei capi di stato o di governo dei paesi dell’UE a Bruxelles. La strategia dell’Eliseo dovrebbe avere forma quadripartita.

Il primo aspetto riguarderebbe l’imposizione di target comunitari sulle tecnologie chiave per ridurre la dipendenza dai fornitori stranieri e fissare obiettivi di produzione interna entro il 2030, richiamando quanto fatto con il Chips Act in materia di semiconduttori. Vengono richiesti interventi di semplificazione delle procedure autorizzative per i siti industriali e una riforma del mercato energetico comune che garantisca alle imprese energia a prezzi più bassi. 

Il secondo aspetto punterebbe ad una modifica della normativa europea sugli aiuti di stato: Parigi sostiene la necessità di garantire sostegni emergenziali a settori critici fino al 2030, sottoforma di sussidi o di crediti d’imposta.

Terzo aspetto sarebbe la predisposizione di fondi europei per i settori chiave, in modo da riequilibrare le differenti capacità finanziarie dei paesi membri. La Francia ha proposto la creazione di un “fondo di emergenza” che attingerà alle risorse già raccolte per altri scopi (RePowerEU e magari si potrebbe spingere per una riforma del MES in senso di fondo per la transizione energetica), e successivamente l’istituzione di un nuovo strumento, un “fondo sovrano” dedicato alle industrie critiche.

Ultima declinazione della strategia francese, una politica commerciale tale da meccanismi appositi per la difesa dalla concorrenza estera (forse avremo finalmente l’implementazione della carbon border tax).

Il Net-Zero Industry Act: una quasi risposta europea

Al tentativo di contrastare la politica industriale aggressiva del governo americano ha risposto anche la presidente della Commissione Ursula von der Leyen, intervenendo al forum di Davos, chiarendo che l’8 febbraio prossimo, giorno del Consiglio europeo, verrà presentato il Net-Zero Industry Act. Questo il nome altisonante del pacchetto di misure con cui l’Ue intende rispondere provvedimento dalla chiara natura protezionista dell’Amministrazione Biden, molto poco in linea con le regole del Wto. 

La Commissione propone un piano che punta a ridurre lo svantaggio competitivo dell’Europa rispetto agli Stati Uniti, offrendo alle imprese europee dei sussidi da utilizzare per finanziare la transizione verde dei processi industriali. Questo strumento europeo, dai contorni ancora fumosi, vorrebbe finanziare con prestiti e sovvenzioni programmi strategici.

Se le caratteristiche dello strumento sono ancora poco chiare, ancora più dubbi ci sono in merito alla sua dotazione finanziaria. Avremo l’emissione di nuovi eurobond come durante la pandemia? Avremo come nel caso del Next Generation EU la mutualizzazione del debito? L’unica certezza è che la cosa avrà tempi lunghi, ammesso che ottenga il giusto consenso tra gli Stati membri.

Foto in evidenza di Kateryna Babaieva: https://www.pexels.com/it-it/foto/uomo-che-tiene-la-pala-3361230/

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