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L’ultimo numero della rivista di Aliseo, dedicato al futuro degli Stati Uniti. 14 analisi per capire l’America, dalla geopolitica alla crisi interna

INTEGRAZIONE EUROPEA, storia, struttura e limiti del modello UE

INTEGRAZIONE EUROPEA, storia, struttura e limiti del modello UE

In seguito alla seconda guerra mondiale e alla spartizione dellโ€™Europa in due blocchi risultante da Yalta, le vie che si aprivano per il futuro del continente erano fondamentalmente tre: lโ€™adozione di un regime comunista (ciรฒ che successe giocoforza nellโ€™Europa dellโ€™est), lo smantellamento totale dellโ€™apparato industriale tedesco e lo smembramento della Germania per eliminare alla radice […]

In seguito alla seconda guerra mondiale e alla spartizione dellโ€™Europa in due blocchi risultante da Yalta, le vie che si aprivano per il futuro del continente erano fondamentalmente tre: lโ€™adozione di un regime comunista (ciรฒ che successe giocoforza nellโ€™Europa dellโ€™est), lo smantellamento totale dellโ€™apparato industriale tedesco e lo smembramento della Germania per eliminare alla radice il neo che rendeva fragili gli equilibri nellโ€™Europa continentale da quasi cento anni, convertendola in unโ€™economia agricola e pastorale (il piano Morgenthau), e, per ultimo, lโ€™integrazione europea. Alla fine si optรฒ, come รจ noto, perlomeno in Europa occidentale, per questโ€™ultima soluzione, lasciando una Germania, seppur divisa, forte, militarizzata e industrializzata.

Il processo di integrazione europea รจ stato lungo, e non รจ ancora terminato. Dal punto di vista esclusivamente economico, unโ€™integrazione economica procede attraverso diversi gradini: il primo, quello piรน debole, รจ la creazione di unโ€™area di commercio preferenziale, ovvero una mutua riduzione dei dazi doganali, il secondo รจ lโ€™area di libero scambio, il terzo รจ lโ€™unione doganale (custom union), ovvero lโ€™adozione delle stesse tariffe verso i prodotti provenienti da un paese terzo, il quarto รจ il mercato unico (ovvero il libero movimento di merci, capitale e lavoro), il quinto รจ lโ€™unione monetaria (lโ€™adozione di una valuta comune) e il sesto e ultimo รจ lโ€™unione economica, ovvero una totale coordinazione di politiche economiche, comprese quelle fiscali. Dopo il trattato di Maastricht, lโ€™integrazione economica europea รจ arrivato al quinto gradino, e sembra che la via per arrivare al sesto si sia paralizzata.

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Eโ€™ inutile girarci attorno, negli ultimi anni la questione centrale sollevata dai partiti sovranisti ed euroscettici รจ quello della moneta unica, che secondo questi ultimi avrebbe causato squilibri nel saldo delle partite correnti tra i paesi europei (ovvero il saldo della bilancia commerciale sommato a quello dei servizi, redditi primari e secondari e trasferimenti unilaterali correnti), dato che, per il fatto di essere una moneta forte, avrebbe favorito lโ€™export tedesco (infatti il tasso di cambio dellโ€™euro รจ molto simile a quello del marco) e sfavorito quello di altri paesi che erano dotati di monete piรน deboli, diminuendo quindi la competitivitร  dei loro prodotti. Il risultato รจ quindi che le economie del nord Europa ottengono surplus nel saldo delle partite correnti, mentre quelle del sud deficit che vengono finanziati dalle economie del nord, costringendo quindi i paesi del sud ad indebitarsi ancora di piรน, creando un circolo vizioso che alimenta sempre di piรน questi squilibri. Questa puรฒ essere unโ€™argomentazione piuttosto convincente, a cui probabilmente si dedicherร  un articolo apposito in futuro, ma che tuttavia non spiega tutto.

Uno dei vantaggi della fine dellโ€™era delle svalutazioni competitive (ovvero lโ€™impossibilitร , in presenza di un regime di cambi fissi, di ridurre il valore della propria moneta per rendere i propri prodotti piรน competitivi nel mercato internazionale) รจ il fatto che traspare con chiarezza quali paesi siano veramente piรน competitivi di altri per via della loro maggior produttivitร  (che รจ data dalla combinazione di tre fattori produttivi: capitale, lavoro, tecnologia), senza poter โ€œbarareโ€ attraverso meccanismi di dumping sociale; e in termini di produttivitร , intensitร  di capitale e livello tecnologico, nonchรฉ di capacitร  di innovazione, la Germania รจ certamente sopra paesi come Italia, Spagna, Grecia o finanche la Francia. Insomma, la fine dellโ€™era delle svalutazioni competitive mette finalmente in luce tutti i problemi strutturali di economie ormai stantie e senza capacitร  di innovazione nรฉ di sufficiente accumulazione di capitali.

Ma perchรฉ si รจ arrivati a concepire lโ€™idea di una moneta unica? Fondamentalmente per il fallimento del precedente Sistema Monetario Europeo. Occorre innanzitutto, prima di proseguire, fornire un paio di accenni storici e una spiegazione di un principio fondamentale dellโ€™economia politica: il trio inconciliabile (o trilemma di Mundell-Fleming). Questo stabilisce che รจ impossibile che in unโ€™economia sussistano questi tre elementi simultaneamente: perfetta mobilitร  dei capitali, controllo del tasso di cambio (ossia un regime di cambi fissi) e autonomia nella politica monetaria. Ora, sappiamo che dallโ€™inizio degli anni โ€™70 il sistema stabilito alla conferenza di Bretton Woods (1944), basato sulla convertibilitร  dellโ€™oro in dollaro e sulla fissazione di tutte le altre valute a questโ€™ultimo in un regime di cambi fissi, era giunto a termine. Cโ€™era bisogno pertanto di trovare un nuovo sistema che potesse stabilizzare le valute affinchรฉ i paesi europei riacquistassero la credibilitร  nei mercati finanziari e non fossero bersagli facili degli speculatori (che guadagnano nel comprare e vendere valute diverse, in modo da ricavarci sulla differenza tra i diversi tassi dโ€™interesse, dato che in un regime di tassi di cambio flessibili non sempre la condizione della paritร  dei tassi di interesse tra le diverse valute viene rispettata, ciรฒ รจ detto arbitraggio).

Dopo un breve tentativo fallito con il โ€œserpente monetarioโ€, si venne a creare, nel 1979, il Sistema Monetario Europeo (SME). Lo SME funzionรฒ bene fino agli anni โ€™90, quando il processo di unificazione tedesca cominciรฒ a far aumentare le tendenze inflazionarie e a spostare sempre piรน capitali verso la Germania per finanziare il suddetto processo. Finchรฉ si arrivรฒ al cosiddetto mercoledรฌ nero. A causa dell’eccessivo indice di liquiditร  monetaria in Germania, dovuto alla riunificazione tedesca e al cambio alla pari tra marco dell’ovest e dell’est, la Bundesbank fu costretta ad alzare i tassi d’interesse che a metร  del 1992 arrivarono al 10%.

Quando la Germania, in quel momento il paese finanziariamente ritenuto piรน stabile e solvibile al mondo, alzรฒ i suoi tassi a livelli cosรฌ elevati, molti cominciarono a comprare marchi e Bund tedeschi, dato che costituivano un investimento sicuro e ad alta remunerazione. I capitali esteri che affluirono in Germania causarono da un lato la rivalutazione del marco ma dall’altro la svalutazione delle altre monete. Da una parte i tassi tedeschi attirarono capitali da molti paesi, soprattutto da quelli deboli, dall’altro i timori sul proseguimento dell’unificazione europea portarono a un aumento del rischio percepito sulle economie piรน deboli del continente, che si sarebbero trovate totalmente isolate se l’unificazione fosse fallita. Quindi i paesi deboli europei erano vittime di due movimenti monetari avversi: attrazione di capitali verso la Germania e paura sulla tenuta delle loro economie. In quel momento il paese piรน debole dello SME era l’Italia, dato che durante gli anni ’80 aveva accumulato un debito pubblico enorme, disavanzi pubblici costanti e un differenziale inflattivo col resto dei paesi SME che, sebbene fosse calato, rimaneva elevatissimo. Questo causรฒ una fuga di capitali dall’Italia e di conseguenza il crollo della lira, con la conseguente uscita dellโ€™Italia dallo SME. I trasferimenti cominciarono a giugno del 1992 e toccarono il picco a settembre, quando avvenne la svalutazione. I capitali bancari italiani dirottati all’estero furono pari a 25.900 miliardi di lire e il governo Amato fu costretto a prelevare soldi forzosamente dai conti correnti degli italiani per riequilibrare i conti pubblici. L’uscita della sterlina inglese dallo SME fu causata alla stessa dinamica, cioรจ dal differenziale inflattivo accumulato e dal richiamo dei tassi tedeschi (la differenza con l’Italia รจ che mancava la crisi da debito).

Per controllare quindi le tendenze inflazionarie, aumentare la fiducia degli investitori, proteggersi dagli attacchi speculativi e dalle crisi valutarie e ristabilire la credibilitร  delle economie europee, fu deciso di creare lโ€™euro e il sistema che lโ€™avrebbe controllato: lโ€™Eurosistema, composto dalla Banca Centrale Europea, indipendente dai governi, e le banche centrali dei vari paesi nellโ€™eurozona. Lo scopo primario dellโ€™Eurosistema รจ quello di controllare la stabilitร  dei prezzi. Lโ€™indipendenza della BCE serve a fare in modo che i governi non possano cedere alla โ€œtentazioneโ€ di stampare moneta per monetizzare il debito (la BCE quindi non puรฒ agire come prestatore di ultima istanza) e a garantire quindi la credibilitร  dellโ€™intero sistema agli occhi dei mercati finanziari, oltre che per evitare tendenze inflazionarie (uno dei piรน frequenti difetti della monetizzazione del debito).

Fin qui sembra tutto logico e ben ponderato. Ma cโ€™รจ un aspetto che non abbiamo considerato ancora, ovvero se lโ€™eurozona sia unโ€™area valutaria ottimale, ovvero se lโ€™economia e la moneta comune riescono a rispondere ai cosiddetti shock asimmetrici, ossia, per esempio, il calo della domanda di un bene in un paese piรน che in un altro (per cui in questo caso il paese affetto dal calo della domanda dovrebbe svalutare per evitare la deflazione e quindi la recessione, ma facendo cosรฌ causerebbe inflazione nellโ€™altro paese non coinvolto dal calo della domanda, se entrambi adottano la stessa moneta).

Unโ€™area valutaria ottimale si dร  secondo 3 criteri economici e 3 politici. I criteri economici sono: 1)perfetta mobilitร  del lavoro, 2)apertura al mercato, 3)diversificazione sufficiente dei prodotti; mentre quelli politici sono: 1)disponibilitร  a compensare chi viene affetto da uno shock asimmetrico attraverso trasferimenti fiscali, 2)omogeneitร  delle preferenze, 3)accettazione di un comune destino e quindi disponibilitร  ad accettare sacrifici in nome di un bene e un interesse comune. Ciรฒ che รจ certo รจ che lโ€™UE non possiede lโ€™ultimo criterio, dato che lโ€™integrazione economica si รจ verificata molto prima dellโ€™unione politica che non รจ ancora avvenuta. Lโ€™UE inoltre non possiede nemmeno il criterio di compensazione, essendo la politica fiscale competenza dei singoli Stati.

Riguardo allโ€™omogeneitร  nelle preferenze (in particolare sulle politiche monetarie e fiscali che i singoli Stati vogliono seguire), la questione รจ ambigua, ma non si puรฒ di certo nemmeno dire che questo criterio sia sufficientemente soddisfatto, e men che meno รจ soddisfatta la mobilitร  perfetta del lavoro, dato che le barriere nazionali e culturali sono ancora troppo elevate. Ne deduciamo quindi che lโ€™eurozona non รจ unโ€™area valutaria ottimale, e lโ€™adozione di una moneta unica provoca, pertanto, inefficienze e, soprattutto, rende molto piรน lento e doloroso lโ€™aggiustamento dei prezzi in base a variazioni della domanda rispetto ad un sistema di tassi di cambio variabili.

Un altro nodo cruciale รจ lโ€™indipendenza della Banca Centrale Europea con rispetto alle altre istituzioni politiche europee, il che significa che i paesi europei non possono dettare alla BCE una politica economica, e neppure la BCE puรฒ finanziare il loro debito comprando direttamente i loro titoli di Stato (dato che la BCE puรฒ compiere solo operazioni di mercato aperto, ovvero acquistare titoli nei mercati secondari, cioรจ, in parole molto semplici, quelli dove si comprano e vendono titoli giร  emessi che vengono rivenduti). La ratio di queste limitazioni, come spiegato prima, รจ quella di contenere lโ€™inflazione. Per statuto, infatti, la BCE ha il solo compito di mantenere lโ€™inflazione nellโ€™eurozona attorno al 2%. Tale parametro fu voluto fortemente dalla Germania, forse per via del timore atavico dei tedeschi, motivato da ragioni storiche, verso i fenomeni iper-inflattivi.

Il problema sostanziale qui รจ questo: lโ€™esistenza di un trade-off tra inflazione e debito pubblico, due problemi che il nostro paese del resto ha conosciuto bene durante tutta la sua storia dal dopoguerra in poi. Per generare una rapida crescita nel breve o medio periodo, infatti, uno Stato ha a disposizione due vie: farsi finanziare i disavanzi, ottenuti come conseguenza delle politiche fiscali espansive, dalla propria banca centrale emettendo moneta (monetizzazione del deficit) in modo da sostenere gli investimenti statali a sostegno dellโ€™economia e guadagnare sul signoraggio a costo di aumentare lโ€™inflazione (che รจ una vera e propria tassa con effetti redistributivi a svantaggio dei creditori e a vantaggio dei debitori) per via di un aumento della moneta in circolazione, oppure ricorrere allโ€™emissione di titoli di stato che possono venire comprati da diversi investitori, generando debito ma mantenendo stabili i prezzi. Venendo a mancare la prima opzione, poichรฉ lo statuto della BCE vieta la monetizzazione dei deficit dei singoli Stati membri, gli Stati europei sono costretti a rigide politiche fiscali per mantenere in ordine i conti pubblici, sulla base dei vari trattati europei, per non aumentare il loro rapporto debito/PIL a livelli insostenibili (come era successo allโ€™Italia negli anni โ€™80 dopo il famoso divorzio con la Banca dโ€™Italia).

Parametri ultra-restrittivi vennero imposti, su insistente pressione della Germania, giร  nel Patto di Stabilitร  e Crescita del 1997, in particolare quelli di avere un disavanzo pubblico non superiore al 3% e un debito pubblico inferiore al 60%. In seguito vennero riformati o ridiscussi piรน volte (la Germania proponeva addirittura nel 2010 di revocare il diritto di voto di quei paesi membri che non rispettassero i vincoli di bilancio, riferendosi in particolare alla Grecia), fino ad arrivare allโ€™odierno fiscal compact, contenente parametri ancora piรน restrittivi. In molti hanno sottolineato, molto prima di questo articolo, che le ragioni per cui lโ€™Europa rimanga in una fase di crescita modesta e con un tasso di disoccupazione molto elevato, mentre gli Stati Uniti si siano ripresi abbastanza agilmente dallโ€™ultima Grande Depressione, sono da ricondurre soprattutto alla rigiditร  dellโ€™Eurosistema e dei parametri europei nellโ€™attuare politiche monetarie e fiscali capaci di contrastare controciclicamente gli effetti della crisi.

In definitiva, possiamo affermare, dopo questo breve excursus sulle principali problematiche derivanti dallโ€™adozione dellโ€™euro, quanto segue: โ€œLa spinta per l’Euro รจ stata motivata dalla politica, non dall’economia. Lo scopo รจ stato quello di unire la Germania e la Francia cosรฌ strettamente da rendere una possibile guerra europea impossibile, e di allestire il palco per i federali Stati Uniti d’Europa. Io credo che l’adozione dell’Euro avrร  l’effetto opposto. Esacerberร  le tensioni politiche convertendo shock divergenti che si sarebbero potuti prontamente contenere con aggiustamenti del tasso di cambio in problemi politici di divisioni. Un’unitร  politica puรฒ aprire la strada per un’unitร  monetaria. Un’unitร  monetaria imposta sotto condizioni sfavorevoli si dimostrerร  una barriera per il raggiungimento dell’unitร  politicaโ€

Ciรฒ veniva detto ancora nel 1997 dal premio nobel per lโ€™economia Milton Friedman, qualche anno prima che lโ€™euro facesse la sua effettiva comparsa. E in effetti se guardiamo agli avvenimenti degli ultimi 20 anni, risulta evidente che lโ€™Eurosistema abbia fallito, sia nel portare crescita e sviluppo a tutti i paesi europei, sia nel rispondere con efficacia e prontezza alla Grande Depressione del 2008. Tutte le previsioni di Friedman si sono rivelate profetiche: lโ€™ulteriore rafforzamento dellโ€™asse tra Francia e Germania (i due paesi che, ad oggi, sono tra i piรน europeisti e meno devono preoccuparsi di possibili stravolgimenti dei propri scenari politici, anche grazie a istituzioni e sistemi elettorali che favoriscono nettamente lo status quo), lโ€™inasprimento delle divisioni politiche tra e dentro i paesi europei, lโ€™emergere di partiti sovranisti di destra di massa, che hanno trovato specialmente in Italia il proprio laboratorio politico. Eโ€™ lโ€™Italia infatti la prima grande potenza europea (allโ€™infuori del Regno Unito, che perรฒ costituisce un esempio atipico in quanto lโ€™euroscetticismo รจ sempre stato presente anche in partiti โ€œdel sistemaโ€ come i conservatori) dove i sovranisti sono andati al potere e dove ancora oggi sono sistematicamente in testa ai sondaggi, confermandosi quindi nel tradizionale ruolo di paese anticipatore di tendenze culturali, come giร  accadde con lโ€™Umanesimo e il Rinascimento, e ancora a inizio secolo scorso durante il primo dopoguerra.

In particolare oggi questo ruolo sarebbe propiziato dal suddetto rafforzamento dellโ€™asse franco-tedesco che vede, come era inevitabile, lโ€™esclusione dellโ€™Italia dal club dei paesi leader del processo di integrazione europea, relegandola allโ€™essere una potenza di secondโ€™ordine come la Spagna, e quindi provocando un tanto giustificato quanto sano desiderio di rivalsa in seno alle classi medie italiane che, ora piรน che mai, esprimono al voto tutto il loro disagio e la frustrazione verso un sistema per il quale sono state, nel corso degli ultimi 30 anni, gravemente impoverite.

Per concludere, si รจ descritto brevemente il contesto storico e i vari problemi che spinsero allโ€™ideazione e allโ€™attuazione della moneta unica, ma allo stesso tempo si รจ visto come la sua creazione abbia recato con sรฉ alcuni problemi che ancora oggi paiono insanabili e che forse, con il sistema attuale, non verranno mai superati. Non รจ tuttavia in questo luogo che si intende discutere sullโ€™opportunitร  di unโ€™uscita dallโ€™euro, soluzione che, allo stato attuale delle cose, porterebbe forse, per lโ€™Italia, a conseguenze ben peggiori rispetto a una permanenza nellโ€™eurozona, soprattutto in assenza di valide alternative (lasciando da parte i tempi della Prima Repubblica che erano basati su una crescita che comportava un aumento spropositato dellโ€™inflazione o del debito e quindi non sostenibile nel lungo periodo).

di Riccardo Calabretta

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