Le attuali proteste in Iran hanno riportato l’attenzione sulla teocrazia islamica, governata da un regime estremamente conservatore. Le manifestazioni, iniziate quest’estate a causa del peggioramento della situazione economica e dell’inasprimento delle regole sull’hijab, sono aumentate esponenzialmente dalla morte di Mahsa Amini, ventitreenne curda uccisa dalla polizia religiosa dopo essere stata fermata per non aver indossato in modo corretto il velo islamico. Il governo teocratico, oltre alla repressione violenta, per rispondere ai manifestanti ha adottato due strategie hi tech: l’intranet nazionale e il riconoscimento facciale di massa.
L’Iran e Internet: il national network of information
Durante le proteste, il governo ha cercato, con parziale successo, di bloccare internet per impedire ai manifestanti di coordinarsi. Il motivo che ha impedito il totale shut-down è la necessità dei social nel commercio, in particolare Instagram. A dicembre, per cercare di controllare Instagram, Teheran ha imposto un ultimatum, pretendendo che Meta spostasse i suoi uffici in Iran, senza successo.
Per terminare la dipendenza dall’internet estero nel 2006 è stata lanciata una rete intranet autonoma chiamata Rete Nazionale dell’Informazione (NIN), da completare entro il 2025, che permetterebbe al governo di isolare i cittadini iraniani dal resto di internet. L’Iran ha proposto questo sistema come più veloce e più sicuro, grazie alla presenza di data center separati dall’internet globale, e quindi meno vulnerabili. Il vantaggio dal punto di vista del governo è che i siti iraniani sono stati obbligati a trasferirsi su questa rete, permettendo un maggior controllo sui contenuti.
Ma la creazione di un nuovo internet necessita anche di applicazioni e software specifici: il regime iraniano ha quindi potuto aumentare la sua stretta sulla società creando browser, motori di ricerca, social network e servizi mail. I browser inoltre avranno protocolli di sicurezza fatti per permettere al governo di intervenire a proprio piacimento. Infine, per accedere alla rete, i cittadini iraniani dovranno essere identificati, eliminando definitivamente l’anonimato online.
Rubika è una dei software per sostituire le app occidentali: simile a WeChat, la super app cinese, tramite questo servizio è possibile messaggiare, vedere e filmare video in streaming, pagare online e molto altro. Una delle caratteristiche più inquietanti è però la capacità di cancellare in tempo reale dalle chat i messaggi ostili alla teocrazia. Per convincere i cittadini iraniani ad usare l’intranet nazionale, il governo ha garantito sia maggiore velocità di connessione sia minori costi rispetto alla connessione internazionale.
Questo tipo di sistema viene considerato uno dei più avanzati al mondo per isolamento di internet, ancora più avanzato di quello cinese, che non fa uso di infrastrutture autonome ma è protetto dal Great Firewall, un sistema software che filtra contenuti sgraditi al regime. Il National Information Network garantirebbe comunque l’accesso all’internet globale, ma solo tramite un hub facilmente controllabile dal governo.
Alcune possibilità per permettere l’accesso libero a Internet agli iraniani sono state proposte: Elon Musk, sulla scia del successo in Ucraina ha attivato Starlink in Iran il 23 settembre, anche se introdurre le antenne necessarie ad avere un effetto significativo richiederà tempo. Un altro modo per consentire un accesso all’internet globale sarebbe permettere agli iraniani di usare il domain fronting, una tecnica utilizzata spesso in modo maligno da hacker e scammers, che consente agli utenti di fingere di mandare la richiesta di accesso a un sito e accedere così al server, per poi entrare in un altro sito bloccato ma sempre presente in quel server. Concettualmente è simile ad entrare in un palazzo dicendo al portiere di voler entrare in una stanza a cui si ha accesso, per poi entrare in una a cui è permesso. Attualmente questa tecnica è bloccata sui siti più importanti, ma potrebbe aiutare molto i manifestanti iraniani.
Il riconoscimento facciale per controllare la popolazione
L’altra strategia di controllo sociale, rivolta sia contro gli oppositori del regime sia contro le donne che portano in modo inappropriato l’hijab, è il riconoscimento facciale. Per questa tecnologia l’Iran si è rivolta principalmente alla Cina, leader mondiale in sistemi di sorveglianza e riconoscimento facciale. Questa cooperazione si inserisce nell’ambito del punto 14 del “Joint Statement on Comprehensive Strategic Partnership” tra l’Iran e la Cina, dove si definiscono le tre “forze malvage” del separatismo, estremismo e terrorismo come nemici comuni.
Huawei, Zte e Tiandy sono solo tre delle compagnie hi-tech cinesi che hanno ottenuto un ruolo di primo piano nel fornire ed implementare un sistema simile a quello applicato nel Xinjiang, provincia cinese con una forte presenza musulmana dove il governo ha istituito i famigerati “campi di rieducazione” per la minoranza uigura. Una rete di telecamere, unita a sistemi di riconoscimento facciale, permettere alle Guardie della Rivoluzione Islamica, la principale forza armata del paese, di riconoscere i manifestanti anche in condizioni di scarsa visibilità, rendendo possibile l’identificazione anche di notte. Attualmente, pare che in 28 città iraniane siano state installate 15 milioni di telecamere, che trasferiscono i video verso due data hub, uno a Teheran e uno in Cina.
Huawei ha anche un altro ruolo di primo piano: il concetto di safe city, una delle componenti delle smart city, include la “sorveglianza intelligente”, “sensori onnipresenti” e sistemi di informazione automatizzati per azioni di polizia. Secondo il Csis, un think tank statunitense, a novembre del 2019 il 71% delle safe city si trovava in paesi non liberali,. L’ente riporta anche che paesi industrializzati come Spagna, Italia, Francia e Germania usano soluzioni di Huawei. L’azienda è stata più volte accusata di aver violato le sanzioni imposte dagli Stati Uniti nei confronti dell’Iran, importando tecnologie statunitensi nel paese. La compagnia è anche accusata di aver cooperato con la Guardia Rivoluzionaria durante le proteste del 2009 nel tracciamento dei manifestanti.
Tiandy, compagnia con base a Tianjin, settima al mondo nell’ambito della sicurezza, è famigerata per le sue tiger chair, sedie immobilizzanti usate per interrogatori lunghi anche giorni. Inoltre, il loro sistema di riconoscimento facciale è specializzato nel tracciamento etnico, anche se l’azienda riporta che l’accuratezza non è ancora perfetta. Le proteste hanno portato l’attenzione internazionale verso la cooperazione in questo ambito tra Cina e Iran: alle aziende americane sono state imposte restrizioni verso la vendita di componenti a Tiandy, portando Intel, uno dei più grandi fornitori globali di chip, a fermare la sua collaborazione con l’azienda.
Sulla carta resta possibile offrire supporto ai manifestanti per aggirare le restrizioni, in particolare per quanto riguarda la connessione ad Internet, vitale per la documentazione di quanto sta accadendo e per evitare l’isolamento completo della popolazione. La teocrazia islamica iraniana sta però mostrando una grande creatività nell’utilizzare tecnologie avanzate, in particolare i dispositivi smart di riconoscimento facciale, per mantenere il controllo sulla società e isolarla completamente dal resto del mondo. Il ruolo della Cina nel garantire supporto tecnico sembra essere fondamentale, in particolare quello delle multinazionali hi-tech, che dietro promesse di sviluppo e sicurezza nascondono tecniche di sorveglianza sofisticate.
Foto in evidenza: “Want Festival – CV Dazzle” by Southbank Centre Londonis licensed under CC BY 2.0.