Il 4 luglio scorso la Repubblica Islamica Iraniana è entrata ufficialmente a far parte dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (Shanghai Cooperation Organization, Sco), diventandone il nono membro dopo Russia, Cina, India, Pakistan, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan. L’organizzazione funge da tempo da forum per la collaborazione tra le maggiori potenze euroasiatiche, sia in campo commerciale sia in quello militare, come testimoniano le esercitazioni congiunte che si tengono dal 2007.
L’ingresso di Teheran arriva dopo un lungo percorso di candidatura, che ha potuto compiersi in un contesto internazionale favorevole. Mosca e Pechino infatti si sono dimostrate inclini a rafforzare il blocco euroasiatico in una fase di intensa competizione, scaturita dal conflitto russo-ucraino e dalle reiterate tensioni sino-americane, con l’Alleanza Atlantica. Ma, in un certo senso, si è trattato di una ratifica solo formale perché già da tempo la cooperazione economico-militare tra l’Iran e le potenze della Sco si era intensificata.
L’Iran, la Sco, dalle macerie del bipolarismo ad ambito club globale
Per comprendere la portata dell’evento è utile ripercorrere brevemente la nascita di questa organizzazione. La Sco nasce nel 1996, sotto il nome di Gruppo dei Cinque di Shanghai, con lo scopo di offrire alla Russia e alla Cina un’alternativa all’egemonia unipolare americana (o, almeno, all’ambizione di Washington in tal senso) venutasi a creare dopo la fine della Guerra Fredda.
Nel 1997 una dichiarazione congiunta sino-russa sugli scopi dell’organizzazione poneva come eloquente obiettivo della collaborazione l’instaurazione di un nuovo ordine internazionale fondato sul multipolarismo, in un momento in cui il termine era ancora derubricato a esotico neologismo. Il summit del 2000 a Dušanbe ribadì il concetto, aggiungendo come clausola la comune avversione all’interferenza negli affari interni di altri paesi sulla base dell’interventismo umanitario, un chiaro riferimento all’omonima scuola di pensiero statunitense.
Per la Cina la Sco rappresentò l’occasione per costruire una coalizione con cui bilanciare la nuova egemonia americana e, al tempo stesso, rispondere a una impellente necessità strategica: mettere in sicurezza i propri vasti confini terrestri. Davanti alla possibilità di una pressione navalista statunitense lungo il versante costiero era infatti vitale assicurarsi la stabilità dell’immenso arco che, dalle foreste birmane fino al corso dell’Amur, costituisce il fianco occidentale cinese. Mentre l’organizzazione non rappresenta un’alleanza militare, essa disegna un blocco basato su interessi comuni capace di interdire a potenze esterne l’accesso all’Eurasia. Uno scopo esplicitatosi chiaramente, per esempio, nella posizione ostile che adottata dalla Sco circa la presenza militare americana in Afghanistan.
Per la Russia la Sco ha rappresentato la concretizzazione della Dottrina Primakov, la linea politica, immaginata a fine Anni Novanta dal Primo Ministro Evgenij Primakov, che prescriveva a Mosca di cercare una solida e stretta intesa con le altre potenze euroasiatiche – Cina e India in primis, in seguito è stato aggiunto alla lista anche l’Iran – in modo tale da preservare alla Russia uno spazio di movimento come potenza e guadagnare un sostegno con cui resistere alla percepita pressione occidentale nell’Estero Vicino russo.
Paesi diversi, visione comune: la Geopolitica è la vera ideologia della Sco
Quando, sempre il 4 luglio scorso, il Presidente russo Vladimir Putin ha ringraziato i leader dei paesi Sco durante un meeting virtuale dell’organizzazione non si è trattato di mere formalità. Ufficialmente era un tributo al sostegno espresso dai suddetti paesi dallo scoppio della guerra in Ucraina e, in particolare, durante il fallito ammutinamento della Wagner. Tuttavia, implicitamente Putin stava esprimendo la sua gratitudine per l’esistenza stessa di quel consesso internazionale che, ai suoi occhi, garantisce l’indipendenza della Russia, privando i suoi avversari di un’egemonia sul sistema internazionale che completerebbe l’accerchiamento di Mosca.
L’India, invece, trova funzionale ai propri interessi far parte di un club di peso capace di promuovere la visione multipolare e non allineata che guida la politica estera del gigante asiatico, al punto da poter accettare di sedersi allo stesso tavolo con due paesi con cui Delhi ha grandi contenziosi, come il Pakistan e la Cina.
Non è dunque un caso se l’ingresso dell’Iran avviene sotto la presidenza indiana dell’organizzazione. Del resto, l’India sa anche che né lei né Pechino possono permettersi una ostilità aperta che drenerebbe importanti risorse, esponendo i due paesi alle sfide rappresentante dalle rispettive popolazioni in crescita, e che si rivelerebbe assolutamente sterile a causa delle difficoltà geografiche che caratterizzano le zone di confine tra le due potenze.
Infine, per l’Iran l’adesione alla Sco simbolicamente è l’ammissione in un club che conta dopo quarantaquattro anni di esclusione dovuta all’embargo e al boicottaggio occidentale seguiti alla Rivoluzione Islamica del 1979. Prima ancora della cooperazione militare o delle intese commerciali, il successo di Teheran sta nel fallimento della strategia della politica di isolamento e “sanzionismo” perseguita dalle cancellerie negli ultimi decenni, con l’eccezione della breve parentesi negoziale legata alla Presidenza Obama.
Oggi l’Iran può presentarsi sul palcoscenico globale non più come uno stato canaglia facente parte di qualche famigerata lista di “sponsor del Terrorismo”, ma come una potenza regionale legittima e legittimata dall’allineamento con un club di grandi potenze capaci di garantirgli entrature a ogni latitudine, come testimoniato dall’intesa raggiunta con l’Arabia Saudita grazie alla mediazione cinese e il recente tour latinoamericano del Presidente iraniano Raisi.
La Sco, nuovo «Asse del Male» o semplice club di partner?
Dalla sua nascita, la Sco è stata talvolta indicata come una possibile nemesi euroasiatica della Nato, una specie di riedizione dell’alleanza sino-sovietica del 1950 che per un decennio, fino alla rottura delle relazioni tra Mosca e Pechino, rappresentò un incubo per i decisori politici e militari occidentali.
Questa è probabilmente un’esagerazione, almeno allo stadio attuale delle cose: mentre il patto sino-sovietico consisteva in un’alleanza militare vera e propria, non solo gli accordi Sco non prevedono nulla di lontanamente paragonabile a un obbligo di difesa automatico per i paesi membri da parte degli altri partner ma include al suo interno stati che avrebbero fondate ragioni per farsi la guerra fra loro, come India e Pakistan, per esempio.
Ciò che sta alla base della Sco non è tanto il desiderio di trovare alleati che garantiscano la propria sicurezza (come accade invece nei paesi europei nei riguardi degli Stati Uniti) ma semmai la volontà di istituire una “area di esclusione”, di delimitare cioè un perimetro da cui tenere fuori l’influenza americana. Tale spazio è definito come l’Eurasia, dal Dnipro al Mar Giallo e dall’Artico a Ceylon, e questo comune interesse è il fondamento della «coalizione anti-egemonica», come la definì Samuel Huntington, che trova la sua incarnazione nell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai.
È difficile non scorgere un beffardo simbolismo nel fatto che l’Iran abbia aderito all’organizzazione proprio il 4 luglio, tradizionale festa nazionale negli Stati Uniti. Anche se non è esplicitato in nessun trattato, l’inclinazione a vedere Washington, a cui nel 2005 fu rifiutato lo status di paese osservatore, come un avversario della Sco affonda le sue radici fin nelle prime fasi di gestazione dell’organizzazione.
Secondo i diari dell’ex Ministro della Difesa cinese Chi Haotian, nel 2000, durante il suo primo incontro con un giovane neo-insediatosi Presidente Vladimir Putin, i rappresentanti delle due superpotenze concordarono di convocare un summit che sancisse un potenziamento delle attività dell’organizzazione (trasformandola dall’informale Gruppo di Shanghai all’assetto con l’attuale denominazione).
Fu anche deciso che tale incontro si sarebbe tenuto proprio a ridosso del summit annuale dell’Alleanza Atlantica, così da lanciare un chiaro messaggio ai suoi partecipanti: non erano più soli, c’era una fetta rilevante di Mondo dove la Fine della Storia (leggasi, il perpetuo unipolarismo americano) era percepita come una minaccia e dove la determinazione a evitarla era superiore a vecchi e annosi screzi non risolti.
Allora questo messaggio non fu colto con la dovuta attenzione. Oggi la portata dello stesso si dipana davanti ai nostri occhi e si assomma a una apparente afasia della classe dirigente occidentale. Nel frattempo, l’ingresso dell’Iran nella Sco dimostra che sull’altra sponda dell’Eurasia un nuovo orizzonte geopolitico, per quanto fondato su matrimoni d’interesse, si sta strutturando.
L’eredità dell’illusione post-storica, il cui fallimento è acclarato dalla semplice esistenza di un’alleanza contrapposta, e il ritorno a una politica di potenza ideologizzata, che però si scontra con la fine delle ideologie e la stanchezza di una società afflitta da gravi problemi sociali ed economici, competono al ribasso per definire il nuovo posizionamento del cosiddetto Primo Mondo. Attraversato dalla crisi della globalizzazione, l’Occidente naviga a vista, apparentemente incline ad attendere che gli eventi gli forniscano quella bussola che da solo non riesce a darsi.
Foto in evidenza: “Prime Minister Shri Narendra Modi met H. E. Mr. Ebrahim Raisi, President of Iran on sidelines of the SCO Summit in Samarkand” by MEAphotogallery is licensed under CC BY-NC-ND 2.0.
Mappa: “Shanghai Cooperation Organization (Шанхайская организация сотрудничества – 上海合作组织)” by Firdavs Kulolov is licensed under CC BY-SA 4.0.