Israele in crisi: dilaga tra i militari la protesta contro la riforma della giustizia.
La società israeliana sta vivendo ore intense e situazioni di caos. Lo Stato ebraico ha alle spalle una lunga storia di proteste, dalla guerra contro il Libano del 1982 alla rivolta sociale del 2011. Tuttavia, adesso al centro di tutto non c’è (solo) la sopravvivenza del paese ma la sua identità.
Adesso anche la leadership militare israeliana è preoccupata che i piani del governo possano diminuire la propria autonomia all’interno dello stato anche per quanto riguarda le delicate azioni dell’esercito. Le proteste israeliane del 2023 cominciano il 7 gennaio con una serie di manifestazioni a Tel Aviv e nelle maggiori città di Israele contro la riforma della giustizia proposta dal governo del primo ministro, recentemente rieletto, Benjamin Netanyahu. Da più di nove settimane le proteste infiammano le piazze del Paese e ora raggiungono quello che è uno dei suoi cuori pulsanti: l’esercito e le unità di élite.
“Non ci addestreremo la prossima settimana a causa del colpo di stato costituzionale… dedicheremo il nostro tempo alla democrazia a all’unità del popolo e non ci presenteremo”. Con queste parole la maggior parte della squadriglia 69, una delle più importanti dell’aviazione israeliana, ha notificato domenica ai propri ufficiali in comando dell’aeronautica che non ci sarà nessuna esercitazione. Una decisione che potrebbe mettere a repentaglio la sicurezza del paese. Il motivo scatenante è che se la riforma venisse approvata esporrebbe a giudici di organismi esterni, come i tribunali internazionali, i membri delle forze armate di Israele.
L’Air Force Squadron 69, è una delle unità principali delle forze aeree, che opera con velivoli F-15, ed è il vero responsabile delle azioni “più delicate”, tra cui l’attacco che mise fuori uso un sospetto reattore nucleare siriano presso la base di Al-Kubar (Siria) nel 2007. Così, l’annuncio dei piloti dello squadrone 69 crea un vero e proprio terremoto nell’opinione pubblica. Il capo di stato maggiore, Herzi Halevi, avverte il primo ministro Benjamin Netanyahu che la protesta potrebbe allargarsi e che nelle prossime settimane anche gli ufficiali dell’unità tecnologica 8200 potrebbero non presentarsi all’addestramento.
Di fatto i soldati di riserva, in particolare alcuni ex membri dell’establishment della sicurezza israeliana, continuano a prendere parte alle proteste. Venerdì scorso, centinaia di veterani dell’intelligence per la sicurezza dello stato di Israele, dello Shin Bet e del Sayeret Matkal, hanno protestato davanti alla casa dell’ex capo del servizio segreto interno, Avi Dichter.
Il ministro della Difesa Yoav Gallant consiglia la necessità di un dialogo con l’opposizione. Ma ciò sarebbe possibile solo se il governo sospendesse l’iter legislativo della riforma, il quale invece procede spedito, dal momento che il volere della maggioranza è di arrivare all’approvazione definitiva nel giro di poche settimane.
Cosa prevede la riforma della giustizia in Israele
Se approvata, la riforma della giustizia aumenterà i poteri della Knesset (parlamento israeliano), permettendogli di annullare, con una maggioranza semplice, le sentenze della Corte Suprema. La paura di molti è che il governo possa utilizzare tale strumento per favorire o bloccare eventuali processi contro il primo ministro o avere più facilità ad approvare leggi a favore degli insediamenti e allargare ulteriormente le mire espansionistiche israeliane in Cisgiordania.
Con il sistema al momento in vigore i giudici della Corte Suprema possono bocciare le leggi approvate dal parlamento, se contraddicono le 13 leggi fondamentali dello stato di Israele (legge costituzionale dello Stato Ebraico). Con la riforma verrebbe introdotta una “clausola di annullamento” che permetterebbe di introdurre di nuovo una norma bocciata dalla Corte Suprema con una maggioranza semplice (61 voti su 120).
Inoltre, con questa riforma si verificherebbe un chiaro indebolimento della magistratura nei confronti dell’esecutivo. I giudici della Corte Suprema verrebbero dunque scelti dal governo, andando a schiacciare il sistema giudiziario e a colpire la democrazia del paese, avendo la Corte un ruolo fondamentale nella vita politica. In uno stato dove non esiste una costituzione ma una serie di leggi fondamentali che sanciscono solo i diritti individuali e le relazioni tra cittadino e stato.
Benjamin Netanyahu tra manifestanti e destra sionista
Lo stato di Israele è in preda all’instabilità sia interna che internazionale. Negli Stati Uniti è in crescita la preoccupazione per l’ascesa al potere di significative figure politiche e religiose ebraiche che potrebbero compromettere le relazioni USA- Israele. Le manifestazioni non si fermano. Il 9 marzo una nuova ondata di proteste ha limitato l’accesso alle strade dell’aeroporto, poche ore prima che Benjamin Netanyahu partisse per incontrare Giorgia Meloni in Italia.
Il blocco dell’aeroporto ha coinciso con il viaggio del segretario della difesa Lloyd J. Austin, il quale era in visita in Medio Oriente per calmare le tensioni nella Cisgiordania occupata, che sembra sul punto di incendiarsi in una nuova, pericolosa, esclation.
Il primo ministro israeliano è arrivato a Roma per discutere dei “timori rispetto all’Iran che spaventa l’Europa e il mondo”, sottolineando di voler estendere gli Accordi di Abramo ad altri paesi fra cui l’Araba Saudita. Tali accordi furono firmati il 13 agosto del 2020 fra Israele, Emirati Arabi Uniti e Stati Uniti come segno di pace e cooperazione nelle relazioni diplomatiche.
Durante l’incontro italiano il primo ministro israeliano ha provato a includere l’argomento dello spostamento della sede diplomatica italiana da Tel Aviv a Gerusalemme trovando però un muro da parte di Farnesina e Palazzo Ghigi: “L’argomento non è in agenda… siamo dalla parte di Israele perché l’antisemitismo non permette divisioni”.
Intanto in Israele le manifestazioni continuano e nella giornata di sabato, mentre migliaia di persone sfilavano in marcia a Tel Aviv un attacco terroristico firmato Hamas si è verificato nella capitale israeliana, ferendo tre persone. La mattina del 10 marzo i manifestanti si sono dati appuntamento in tutta Israele. Tra gli obiettivi principali c’è il blocco di accesso all’aeroporto e all’ingresso del porto.
Il presidente Isaac Herzog ha affermato “non posso vedere il mio paese fatto a pezzi davanti ai miei occhi. Quello che sta accadendo è una tragedia”. Il capo di Stato ha suggerito senza mezzi termini di eliminare l’attuale legislazione proposta descrivendola come “sbagliata, aggressiva e capace di mettere in pericolo le nostre basi democratiche”.
Nuove manifestazioni, con il parziale blocco della viabilità verso l’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv, sono state annunciate per mercoledì 15 marzo. Al momento la preoccupazione dei manifestanti nei confronti della riforma riguarda anche i diritti delle minoranze laiche del paese. In alcune occasioni, le proteste si sono fatte violente, con la polizia che è intervenuta per mano del ministro della sicurezza Itamar Ben Gvir.
Il Primo ministro non ha mai nascosto la sua ostilità per coloro che hanno provato a bloccarlo o a ostacolarlo nelle decisioni. Nella sua visione, il mandato elettorale gli dà la possibilità di decidere “il buono e il cattivo tempo”, avendo numeri e capacità.Inoltre, Benjamin Netanyahu, con la nomina di Ben Gvir a ministro della sicurezza e di Bezalel Smotrich a capo delle finanze e ministro delegato della difesa, ha introdotto due ideologi dell’estremismo di destra nel cuore del potere.
Proprio pochi giorni fa Smotrich ha ottenuto via libera per la costruzione di nuovi insediamenti in Cisgiordania e cosa più importante non sono passati inosservati i disordini nelle cittadine di Hawara, Za’tara e Gerico. Stati Uniti e Francia hanno denunciato subito l’accaduto come “ripugnante”.
In appena due mesi la coalizione più a destra nella storia di Israele ha avviato un cambiamento dello stato ebraico in senso “illiberale”, ha preso provvedimenti per l’annessione di una parte della Cisgiordania e ha iniziato uno dei più grandi periodi di crisi per popolo israeliano.
In conclusione, di fronte a ciò che sta succedendo, il primo ministro Benjamin Netanyahu e il suo governo si trovano in una situazione delicata e pericolosa. Con le strade bloccate dai manifestanti e il disappunto da parte delle forze armate, la Knesset rischia una guerra civile senza avere il sostegno delle forze militari, in un momento di assoluto squilibrio nel contesto medio orientale.
Dieci ex capi dell’aeronautica, in una lettera al ministro della Difesa Yoav Gallant, hanno espresso “grande preoccupazione” per “i processi in corso nello Stato di Israele e nell’aeronautica”. Anche il capo di stato maggiore dell’esercito, il tenente Herzi Halevi, ha parlato con Netanyahu e lo ha avvertito di come l’azione potrebbe danneggiare le capacità operative dell’esercito e dello Stato.
Iran, Arabia Saudita, Usa: la complicata situazione di Israele
Il 10 marzo 2023 Iran e Arabia Saudita hanno concordato di ristabilire le relazioni diplomatiche, con la mediazione della Cina, che si era interrotta nel 2016. Dopo i colloqui di Pechino il ministro degli Esteri iraniano Hossein Amir- Abdollahain ha dichiarato venerdì che “il ritorno a relazioni normali tra Iran e Arabia Saudita fornisce grandi capacità ai due Paesi, alla regione e al mondo islamico”. Una mossa strategica al momento giusto.
Secondo un rapporto di Wall Street Journal pubblicato giovedì, l’Araba Saudita aveva chiesto agli Stati Uniti maggiori garanzie di sicurezza e assistenza per mettere in funzione il loro programma nucleare civile come condizione per normalizzare i legami con Israele.
Gli accordi arrivano in un momento sbagliato per Il Presidente Biden e il primo ministro Benjamin Netanyahu che stavano cercando un accordo per consolidare il contrasto verso lo stato iraniano intento a rafforzare il suo programma nucleare e continuare a fornire aiuti militari alla Russia durante la guerra in Ucraina.
Questi accordi, fra Iran e Arabia Saudita, si configurano come un chiaro fallimento per il primo ministro israeliano derivante da una, forse apparente, noncuranza delle relazioni diplomatiche col mondo arabo e della lotta interna nel paese che potrebbe lasciare Israele sola nello scacchiere del Medio Oriente.
Infine, con lo scoppio delle proteste, l’organizzazione paramilitare palestinese islamista, Hamas, ha intensificato i propri attacchi soffiando su un disordine interno mai visto prima.
Se verranno approvate le proposte di legge, Israele potrebbe essere in pericolo. Il malumore nelle Forze armate potrebbe al tal punto da compromettere la deterrenza e la prontezza al combattimento di Israele. I lavoratori sciopereranno e l’economia ne soffrirà, con i capitali che rischiano di fuggire all’estero (tendenza già avviata alla luce degli ultimi segnali di instabilità).
Di fronte alla riforma, l’Occidente potrebbe trovarsi costretto a condannare lo storico alleato e i nemici di Israele si farebbero avanti, con il rischio di far avverare la “profezia” dell’ex primo ministro Naftali Bennet, che poco fa dichiarava: “Netanyahu ha commesso un clamoroso fallimento e Israele cadrà sempre più nell’instabilità e forse nel caos.
Foto in evidenza: “161206-F-IW762-516” by U.S. Department of Defense Current Photos is marked with Public Domain Mark 1.0, “Flag of Israel in Rishon LeZion beach” by Zachi Evenor is licensed under CC BY-SA 2.0.