fbpx

Scopri Aliseo Plus

Scopri Aliseo Plus

Grillo, D’Alema, Petrocelli e altri: in Italia c’è chi lavora per la Cina

Roma si avvicina a Pechino senza sapere cosa farci

foto di pedrosimoes7

L’Italia è un paese diseducato alla politica. Incapaci di concepire la decisione pubblica nel medio e lungo termine, incapaci di soffrire e soprattutto di concepirsi collettività, gli Italiani esistono in una condizione emozionale. La politica qui vive di sogni e di illusioni e narrative avulse dal reale. A beneficio degli attori politici in grado di fabbricarle e venderle. Nella più totale inconsapevolezza che quando una narrativa smettere di coincidere con la realtà è destinata a sciogliersi come la neve al sole. Nessuna narrativa viene a salvare i suoi fedeli quando la realtà si presenta armata sulla soglia di casa.

Discorso dolorosamente universale in quel della Penisola, costituisce l’ossatura del travagliato rapporto con la Cina. Roma non ha capito come può trattare con Pechino perché non vuole comprendere cosa davvero sia Pechino. Meravigliosa confusione che apre alle incursioni dei referenti italiani del Partito Comunista Cinese, diffusi in tutto l’arco costituzionale – con una particolare concentrazione tra le fila del Movimento 5 Stelle, partito amico della Cina per eccellenza.

Filippo Santelli, nella sua radiografia del Dragone La Cina non è una sola, introduce un termine calzante per questa malattia percettiva all’italiana: sinofrenia. Incapacità di valutare le prospettive e la cogenza della Cina che si traduce in una percezione autistica. Vediamo la Cina come superpotenza destinata all’egemonia globale e dunque sgomitiamo per agganciarci alla sua crescita economica, salvo tornare a fare professione di atlantismo quando l’immagine del Dragone invincibile sfuma di fronte alle rappresaglie americane. Passiamo dalla luna di miele di fronte all’invio “disinteressato” di materiale sanitario al gelo diplomatico quando scopriamo con orrore che Pechino tenta di convincere il mondo che il virus sia germogliato proprio in Italia.

Frenesia di salire sul carro del futuro vincitore che acceca la cittadinanza – notoriamente la più volubile in merito alle opinioni su fenomeni internazionali – e che al contempo si riflette nelle burocrazie e ne appanna la capacità di analisi. Nel 2019 la firma del memorandum sulla via della seta ci inimicò gli Americani – all’interno della cui sfera di influenza il nostro paese esiste e senza la cui protezione strategica non esisterebbe – ed espose al mondo la nostra confusione nel decidere da che parte stare nella contesa del secolo. Soprattutto, confermò alla Cina che il paese non era sorprendentemente consapevole del vincolo esterno americano, aprendo uno spiraglio per aumentare la propria penetrazione nella Penisola.

A chi piace la Cina in Italia?

Non è un caso se in Italia il presidente della Commissione Esteri Vito Petrocelli può permettersi di ridimensionare la persecuzione degli Uiguri in un’intervista al secondo quotidiano nazionale. Non è un caso se lo stesso Petrocelli possa commissionare un rapporto a dei “ricercatori indipendenti” – tra le cui fonti figurano media del regime come Xinhua e il Global Times – per denunciare la disinformazione occidentale sul Xinjiang, che non sarebbe teatro di nessun genocidio ma anzi una regione dove è consigliabile vivere.

Non è un caso che sul finire del 2019 il garante del (fu) primo partito italiano, Beppe Grillo, si incontrava regolarmente con l’ambasciatore cinese – all’alba della pandemia, quando il capo dell’esecutivo era già il grillino Giuseppe Conte – per poi venire immortalato con la mascherina (all’epoca oggetto alieno ai più). Non è un caso che quegli stessi incontri si siano ripetuti nelle ultime due settimane e che vi dovesse partecipare lo stesso Conte.

Non è un segreto che figure come Oliviero Diliberto, Romano Prodi e Massimo D’Alema siano estimatori dell’autocrazia cinese. Profili di alto livello che hanno occupato cattedre, ministeri e persino Palazzo Chigi e che candidamente porgono i loro sentiti auguri al Partito Comunista e ne esaltano il modello, addirittura sono tra gli esperti convocati da Xi per la scrittura del primo Codice civile del Dragone.

Nell’approccio asimmetrico al conflitto, la Cina fa largo uso di agenti più o meno consapevoli che portino avanti i propri interessi. Nella prospettiva di una guerra globale lo scontro sarà deciso non solo dalle armi ma dalla cooperazione economica, dall’opinione pubblica, dalla corsa alle infrastrutture chiave. Per farlo a Pechino serve una rete di attori che agisca anche all’interno dei paesi occidentali. L’inchiesta di Breitbart che rivelava di un profilo del governo cinese attivo sul quotidiano Il Giornale, le prese di posizione del Movimento 5 Stelle e le lodi sperticate della sinistra post-comunista fanno parte di un mosaico che la Cina studia e traduce razionalmente in atto – approccio olistico alla guerra esplicitato nei manuali di guerra asimmetrica prodotti dagli strateghi del Dragone.

La Cina vede nell’Italia il punto debole dell’impero americano. Nazione economicista ben disposta a scordarsi dei suoi vincoli esterni di fronte alla prospettiva di un accordo vantaggioso nell’immediato, salvo poi essere ricondotta all’obbedienza grazie all’estesa rete di potere che le burocrazie americane hanno consolidato in 70 anni di egemonia. Ma alla Cina non importa. Attacca gli Americani in casa, seduce il meno lungimirante dei suoi clientes e mina la fiducia interna al blocco occidentale, per poi lasciare la provincia ribelle (e i pasdaran filocinesi nei ruoli decisivi) alla scontata rappresaglia – si noti il progressivo allontanamento dei suddetti dal centro della scena politica.

Perchè non ci conviene

Il Dragone sa che l’Italia non può cambiare campo. Ma sa anche che il suo stato confusionale è un’occasione per conquistare posizioni, sedurre alcuni dei suoi rappresentati politici e acquistare asset strategici. Alla fine del 2019, secondo una nota del Copasir, erano 405 i gruppi cinesi in Italia, con partecipazioni in 760 imprese. Si tratta di acquisizioni che avvengono con sistematicità ad ogni livello, nei settori ad alto valore aggiunto o più strategici con un occhio particolare alle infrastrutture, al digitali ed energetiche. Una penetrazione arginata solo di recente tramite l’utilizzo del golden power – eclatante il caso della lombarda LPE – e di altre pressioni che hanno scongiurato che la Cina acquisisse quote di rilevanza nei porti di Genova e Trieste.

Avvicinarsi alla Cina, per l’Italia, non è una buona idea, specie nella condizione delicata in cui ci si trova il paese. L’attuale governo Draghi ha iniziato uno smaccato processo di riavvicinamento al campo americano. Necessario per diversi motivi. Intanto ritagliarsi “il permesso” da parte degli USA ad agire con maggiore attivismo nel teatro mediterraneo, specie in funzione anti-turca – ricordiamo che la Turchia è uno dei tasselli fondamentali del potere americano nella regione e un fondamentale strumento di contenimento della Russia. In secondo luogo invitare Washington a fidarsi che la gestione dei soldi (tedeschi) del Recovery non porterà l’Italia nella sfera di influenza tedesca – questione su cui gli strateghi americani nutrono ragionevoli sospetti. Entrambi i dossier sono della massima importanza e delicatezza. Non è il momento di concedersi avventure effimere fuori dall’ombrello occidentale.

Il bivio storico di fronte cui si trova il paese è ben noto al governo dell’ex presidente della BCE. Le misure prese, per il momento, sono state efficaci (nei limiti della nostra condizione) e coronate da un cambio di visione dell’Italia al livello internazionale – i titoli del New York Times sull’Italia “grande potenza” e la visita festante di Ursula Von der Leyen a Cinecittà sono lì a dimostrarlo. Adesso il rischio è che le forze politiche “commissariate” dall’avvento di Draghi – Cinque Stelle su tutti – tentino di sabotare il successo del nuovo governo. La tempistica tra la presenza del premier al G7 e al vertice Nato e le visite di Beppe Grillo all’ambasciata cinese ha proprio quel sapore. Sabotaggio che per i filocinesi è politica spicciola, vendetta, ma che rischia di annegare le speranze del paese in un gioco dove non ha carte per giocare.

di Francesco Dalmazio Casini

Ti interessano i rapporti tra Italia, Europa, USA e Cina? Iscriviti alla nostra newsletter “on demand”, leggi qui tutte le informazioni.

foto in evidenza: “Chinese Propaganda Posters at the Service of Politics” by pedrosimoes7 is licensed under CC BY 2.0

Francesco Dalmazio Casini

Archeologo redento, giornalista, appassionato di geopolitica. Nato a Roma e ritornato dopo una breve parentesi milanese per dirigere Aliseo. Mi piace raccontare i conflitti, le interazioni e il fattore umano degli attori internazionali. Ogni tanto faccio delle puntate nel campo dell’energia, della politica e della logistica. In altre parole mi piace spiegare cosa c’è dietro a quello che succede nel mondo. Una missione: portare la cultura dell’informazione approfondita (e lenta) in Italia.

Ultimi articoli a tema Editoriali

La politica, i conflitti, il mondo.

Spiegati bene da Aliseo per i membri del Club