L’Italia è il Mediterraneo. Striscia d’Europa che si tuffa in acqua, è penisola disegnata dalle onde, centro naturale del mare tra le terre. Un mare profondo per il suo valore squisitamente strategico e geopolitico, perché bacino di risorse energetiche e rotta obbligata per buona parte dei traffici commerciali; soprattutto, ponte tra tre continenti che fa dell’Italia terra tra le terre. Lo sapevano bene i Romani, i quali, costruita la propria pax sul Mediterraneo, lo battezzarono mare nostrum.
Ormai da decenni, però, il mare nostrum è più mare degli altri. Il nostro Paese soffre di sea-blindess, cecità per cui riusciamo a guardare il mare solo da sotto l’ombrellone, ignorandone le prospettive politiche, infrastrutturali, militari e securitarie. Grave assenza di consapevolezza geopolitica e marittima che ci fa interpretare il Mediterraneo come sola fonte di pericoli, nell’incapacità di maturare una vera strategia mediterranea, fondamentale per sviluppare risposte strutturali e progetti di lungo periodo.
Questi rilevanti elementi di debolezza si sono palesati dopo il 24 febbraio 2022: la guerra in Ucraina ha reso evidente come gli interessi e i legami economici, da soli, non bastano a tenere in piedi il mondo. Il peggioramento delle relazioni euro-russe ha imposto ai paesi del Vecchio Continente di svegliarsi dal proprio letargo economicistico per attuare il difficile disaccoppiamento energetico dall’Orso e cercare nuovi interlocutori per gli approvvigionamenti.
Nell’aprile 2022, quindi, l’allora Presidente del Consiglio italiano Mario Draghi, per ridurre l’import italiano di gas dalla Siberia – nel 2022 circa il 40% dei 73 miliardi di metri cubi (bcm) importati – si è recato in Algeria, ottenendo un aumento immediato di 3 bcm delle forniture di gas. Nel luglio dello stesso anno, poi, nuovi volumi di gas algerino hanno portato il totale dell’import a 27 miliardi di metri cubi, rendendo Algeri il primo fornitore di gas per Roma.
Piano Mattei per l’Africa: gli accordi
Sulla stessa scia si sta muovendo il governo Meloni, autore di quello che è stato battezzato Piano Mattei per l’Africa, ispirato alla figura del fondatore dell’Eni Enrico Mattei. Come sostenuto dalla Presidente del Consiglio in occasione dei Med Dialogues 2022, con esso l’Italia vuole essere protagonista di “un modello virtuoso di collaborazione e di crescita tra Unione Europea e nazioni africane”, fondato “su una postura non predatoria ma collaborativa”, per diventare l’“hub energetico d’Europa”.
Progetto ambizioso, che potrebbe essere un piccolo passo verso una politica estera più seria ed una presenza italiana nel contesto mediterraneo ed africano più concreta e fruttuosa. Risultati che possono arrivare solo se si attuano potenziamenti essenziali – dal campo infrastrutturale a quello militare – per poter affrontare in modo organico questioni strategiche quali l’instabilità dell’area nordafricana ed il crescente protagonismo di attori come Turchia, Russia e Cina nel Mediterraneo. Sino ad ora il Piano Mattei per l’Africa si è concretizzato in una serie di accordi, raggiunti durante le visite di Meloni in Algeria e Libia delle scorse settimane.
Ad Algeri sono stati firmati cinque accordi. Particolarmente importanti i due memoranda di intesa tra Eni e l’omologa algerina Sonatrach: sul tavolo ci sono la riduzione di emissioni di gas serra nelle strutture produttive di idrocarburi, la posa di un nuovo cavo elettrico sottomarino e soprattutto la costruzione di un nuovo gasdotto, funzionale anche al trasporto di idrogeno. Oltre ai rapporti energetici sono stati rafforzati anche quelli in materia di cooperazione industriale e di esplorazione spaziale, con memoranda siglati tra Confindustria e l’algerina Crea e tra le agenzie spaziali dei due Paesi.
A Tripoli è stato firmato invece un contratto da 8 miliardi di dollari tra Eni e la National Oil Corparation (Noc), volto allo sviluppo delle “Strutture A&E”, giacimenti di gas che aumenteranno la produzione interna e le esportazioni dell’attuale gasdotto Greenstream.
Il progetto dell’attuale esecutivo può costituire un’opportunità geopolitica per il Paese solo se accanto ad accordi puramente economici si riuscirà ad elaborare una tattica concreta per l’influenza italiana oltremare. Gli elementi di criticità presenti in Libia, Algeria, Tunisia riguardano direttamente i nostri interessi nazionali: il passo che separa il Bel Paese da conflitti, instabilità e preoccupanti presenze di altri attori è breve e risulta dunque cruciale avere voce in capitolo in contesti simili.
L’Italia e il dossier Libia
La Libia continua ad essere divisa tra il governo della Tripolitania (Gnu) e quello della Cirenaica: le fragili leadership, rispettivamente di Abdul Dbeibah e Fathi Bashaga, si reggono su una rete di milizie e bande armate corrotte che assurgendo al ruolo di veri e propri attori statuali si contendono il controllo di quartieri, traffici illegali e soprattutto infrastrutture critiche.
I pozzi petroliferi, in particolare, sono spesso soggetti al ricatto di gruppi armati che minacciano la chiusura dei rubinetti per ottenere il rialzo del prezzo sulla copertura dei giacimenti: nel gennaio 2020 milizie vicine al generale Haftar chiusero un oleodotto controllato in società da NOC ed Eni. È evidente, quindi, che conditio sine qua non per pensarsi hub energetico d’Europa è un impegno attivo per avvicinare le due parti e stabilizzare l’ex quarta sponda.
Un primo segnale in tal senso è arrivato poche settimane fa da Roma, dove in occasione dell’African Chiefs of Defense Conference 2023, organizzata dall’US Africa Command (Africom) si sono incontrati il Capo di stato maggiore dell’esercito del governo di unità nazionale (Gnu-Tripoli), al-Haddad, e il Capo di stato maggiore dell’esercito nazionale libico (Lna-Tobruk) al-Nadhouri. Questi hanno assicurato di spingere per l’unificazione dell’establishment militare libico, con la formazione di una forza congiunta.
Presenti agli incontri, oltre al generale americano Michel Langley, anche il Capo di Stato Maggiore della Difesa italiano ed il Capo di Stato Maggiore delle Forze Armate egiziane. L’incontro segnala un “ritorno” della questione libica nell’agenda americana, informato dalla necessità di arginare la proliferazione russa a guida Wagner in Cirenaica e in molte altre aree africane.
Di pari passo, dunque, Washington è ritornata a dare fiducia a Roma – non a caso scelta come sede dei lavori – in quanto alleato più vicino al continente africano interessato alla stabilizzazione libica. Ed infatti pochi giorni dopo la conferenza, al-Haddad è tornato nella capitale per siglare con il Capo di Stato Maggiore Giuseppe Cavo Dragone un accordo che affida all’Italia l’addestramento delle forze speciali libiche, con cui si va dunque ad allargare la missione italiana Miasit in Libia.
Il ruolo che l’Italia può giocare nella ex colonia passa anche dai rapporti con la Turchia. Negli anni Ankara ha fornito supporto militare e logistico al governo di Tripoli, ottenendo il controllo di diversi porti – primo fra tutti quello di Misurata – ed accordi su nuove ZEE funzionali ad alzare la voce nel risiko del Mediterraneo orientale. Sostituire l’influenza turca in Tripolitania è ormai impensabile.
Bilanciarla è però necessario. Anche la Turchia vedrebbe di buon occhio una riunificazione della Libia, visto che le acque anatoliche confinano marittimamente con il tratto cirenaico di coste libiche: mostrarsi come attori e mediatori proattivi anche agli occhi turchi può essere in futuro una leva geopolitica fondamentale per mitigare le loro proiezioni nelle acque a noi vicine.
L’Italia nel contesto libico può fare la propria parte. Fondamentali saranno gli investimenti per la ricostruzione, coadiuvati dal ruolo di Eni: le conoscenze di cui dispone il Cane a sei Zampe – in Libia ormai dal 1959 – in merito a tribù, milizie e dinamiche interne alla regione sono un “patrimonio” cruciale per costruire con metodo un proprio piano per la Libia.
Mediterraneo: le opportunità di un mare “territorializzato”
La territorializzazione del mare non è stata una sola “iniziativa” turca. Anche l’Algeria, infatti, ha proceduto nel 2018 ad istituire una propria ZEE senza un preliminare accordo con gli Stati frontisti e confinanti, che lambisce per 70 miglia le acque territoriali italiane a sud-ovest della Sardegna.
Come si legge nella sezione documenti del sito della Camera dei deputati, “l’Italia ha contestato la decisione algerina […] e ha proposto l’avvio di negoziati per raggiungere un accordo di reciproca soddisfazione in materia”. Risultati in tal senso non sono ancora arrivati e la questione costituisce ancora un’incognita.
Il rafforzamento dei rapporti tra Italia e Algeria potrebbe essere occasione per pattuire nuove condizioni in merito alla ZEE, visto anche il riemergere del sogno algerino del Galsi, gasdotto progettato nel 2001 mai realizzato, che avrebbe dovuto collegare il porto algerino di Koudiet Draouche, nel nord-est del paese, a quello di Porto Botte, proprio nella Sardegna sud-occidentale.
Il Mediterraneo, quindi, può rappresentare un asset strategico per l’Italia. In campo ci sono opportunità per il Sud, che può beneficiare del Piano Mattei per l’Africa attraverso opportuni potenziamenti infrastrutturali – dalla costruzione del ponte sullo Stretto all’eliminazione dei colli di bottiglia interni – ed opportunità per un nuovo protagonismo italiano nel contesto marittimo in seno all’Alleanza Atlantica, che riporti l’attenzione sull’asse europeo sud-nord accanto a quello est-ovest che si va delineando con l’iniziativa a guida polacca del Trimarium.

Capire il mare è fondamentale per rispondere strutturalmente alle crisi mediterranee che ci riguardano, a partire dalla questione migratoria: fornire motovedette alle guardie costiere altrui, ad esempio, è una soluzione posticcia al problema, che ci presenta come soggetto debole e poco capace di intervenire in modo organico fuori casa.
È necessario, dunque, un cambio di paradigma che ci porti a vedere il mare tra le terre, come mare di opportunità, non di insidie. Solo spingendoci sulle acque potremo imparare a navigare le onde, con l’obiettivo di farne un luogo sicuro e non esserne inaspettatamente travolti.
Foto in evidenza: “080916-N-8467N-003” by Marion Doss is licensed under CC BY-SA 2.0.