L’8 marzo la Corea del Nord è tornata a increspare le acque del Pacifico. Ha annunciato la costruzione del suo primo sottomarino a propulsione nucleare, un’arma che, secondo il regime, «potenzierà radicalmente» la sua flotta. Puntuale come sempre, Kim Jong-un è apparso in visita al cantiere, immortalato mentre ispeziona lo scafo con l’aria di chi ha appena riscritto la guerra sottomarina.
L’annuncio arriva in un momento tutt’altro che casuale. Stati Uniti e Corea del Sud sono impegnati nelle esercitazioni Freedom Shield, mentre gli 007 occidentali sospettano che Mosca stia fornendo a Pyongyang tecnologia militare in cambio di munizioni e soldati per la guerra in Ucraina. Se fosse vero, Kim potrebbe aver ricevuto il supporto necessario per superare il suo principale limite: l’assenza di un reattore nucleare miniaturizzato.
Mosca dietro le quinte?
L’agenzia di stampa nordcoreana Kcna parla di «progressi significativi». Ma finora Pyongyang non ha mai prodotto un reattore abbastanza compatto da alimentare un sottomarino. Un dettaglio non da poco. Un conto è montare un missile su un vecchio scafo diesel, un altro è costruire un battello nucleare capace di immergersi per settimane senza emergere.
Seoul resta scettica. L’intelligence sudcoreana stima che il nuovo sottomarino possa avere un dislocamento tra le 6mila e le 7mila tonnellate, con la capacità di trasportare fino a dieci missili balistici. Se fosse vero, sarebbe un salto tecnologico impressionante. Ma senza un reattore funzionante, il progetto rischia di restare l’ennesimo esercizio di retorica militare.
Se la Corea del Nord sta davvero facendo passi da gigante nel settore militare, non è certo per una folgorante illuminazione tecnologica. Qualcuno deve averle fornito la chiave di volta. E chi, se non Mosca, che nel giugno 2024 ha suggellato con Pyongyang un Trattato di partenariato strategico globale? Un patto che, nero su bianco, prevede assistenza militare reciproca immediata in caso di attacco.
Il documento resta blindato, né il Cremlino né il regime di Kim Jong-un si sono degnati di pubblicarlo integralmente. Quel che si sa è frutto di dichiarazioni calibrate e sibilline. Putin lo ha definito «difensivo», sottolineando il sacrosanto diritto nordcoreano alla legittima difesa, ma non ha escluso un’intensificazione della cooperazione tecnico-militare. Più entusiasta il dittatore di Pyongyang, che ha parlato di «alleanza» e ha celebrato il trattato come «il più solido mai firmato tra i due Paesi».
Il contesto in cui nasce questa rinnovata intesa è eloquente. La Russia ha fame di munizioni per il fronte ucraino e la Corea del Nord dispone di arsenali pieni di proiettili e missili di calibro sovietico, perfettamente compatibili con quelli russi. Il do ut des è fin troppo evidente. Secondo l’intelligence sudcoreana, dall’agosto 2023 sarebbero transitati verso Mosca oltre 13mila container carichi di artiglieria e munizioni. E il supporto non si sarebbe fermato ai rifornimenti: a dicembre 2024, più di 10mila soldati nordcoreani sarebbero stati inviati a combattere sotto il comando russo.
Ma il rubinetto degli aiuti potrebbe non scorrere in un’unica direzione. Se trasferire tecnologia nucleare a Kim sarebbe per Putin una mossa azzardata – perché significherebbe perdere il controllo su un’arma strategica –, l’ipotesi di un sostegno tecnico, fatto di esperti navali e ingegneri russi, appare decisamente più credibile. Ed è proprio questo che fa drizzare le antenne alle cancellerie internazionali: Pyongyang sta solo affinando le sue capacità militari con l’aiuto russo o sta davvero realizzando un sottomarino nucleare operativo?
L’incertezza regna sovrana, ma l’ipotesi di un bluff strategico non è da escludere. Kim potrebbe semplicemente voler giocare la carta della deterrenza per guadagnare peso diplomatico. Tuttavia, se dietro le ambizioni nordcoreane si cela il know-how russo, allora il quadro si complica. Mentre Putin ottiene il suo bottino di munizioni, il mondo rischia di risvegliarsi con una Corea del Nord sempre più armata e pronta a rinegoziare il proprio posto nello scacchiere geopolitico.
La flotta fantasma di Kim
Numeri alla mano, secondo Nuclear Threat Initiative la Corea del Nord possiede una delle flotte sottomarine più numerose al mondo: tra le 64 e le 86 unità. Ma quantità non significa qualità. La maggior parte di questi battelli risale agli anni Cinquanta e Sessanta, vecchie unità diesel-elettriche costrette a emergere frequentemente per ricaricare le batterie.
Nel 2023, Pyongyang aveva già provato a impressionare il mondo, annunciando un «sottomarino d’attacco nucleare tattico». Si rivelò un vecchio scafo sovietico rimodellato alla buona, con un design talmente anomalo che, secondo Seoul, non sarebbe nemmeno in grado di navigare. Ora Kim rilancia con un nuovo modello, più grande e ambizioso. Ma senza test verificabili, resta un’enorme incognita.
Il vero obiettivo di Pyongyang non è costruire una marina da guerra, ma consolidare la deterrenza nucleare. Lo ha dimostrato nel 2023 con il test dell’Hwasong-18, missile balistico intercontinentale a propellente solido, in grado di colpire il territorio statunitense. Un cambio di paradigma, perché riduce i tempi di lancio e rende più difficile un attacco preventivo contro i siti missilistici nordcoreani.
Un sottomarino nucleare, anche rudimentale, complicherebbe la sicurezza nel Pacifico. Se in futuro Pyongyang riuscisse a mettere in mare un vero battello strategico, il rischio sarebbe quello di una maggiore capacità di secondo colpo: la possibilità di lanciare un attacco nucleare anche dopo un’eventuale rappresaglia. Per Washington e Seoul, significherebbe riscrivere l’intera strategia difensiva nella regione.
Kim tra minacce e calcoli rischiosi
Mentre la Corea del Sud e gli Stati Uniti conducono esercitazioni militari congiunte, Pyongyang risponde con i missili. Già il 10 marzo ha lanciato diversi vettori balistici dalla provincia di Hwanghae, definendo le manovre americane «una provocazione pericolosa». Il Ministero degli Esteri nordcoreano ha avvertito che basterebbe un errore di calcolo per scatenare un conflitto armato.
A fare da deterrente, nelle acque del Pacifico, c’è già la portaerei Uss Carl Vinson, schierata per monitorare da vicino ogni mossa nordcoreana. Un chiaro segnale che Washington non intende sottovalutare il nuovo capitolo della strategia di Kim.
L’ultima parola spetta all’intelligence occidentale. La vera domanda è: Kim sta bluffando o ha davvero un asso nella manica? Un’escalation potrebbe trasformare la sua propaganda in una crisi diplomatica reale. E nella storia della deterrenza nucleare, basta un errore di calcolo per passare dalla retorica al conflitto.
Nel frattempo, Kim Yo-jong, sorella del leader, rilancia la retorica bellicosa. Una mossa già vista: Pyongyang gioca con il fuoco, senza mai bruciarsi. Ma il rischio di una fiammata incontrollata è sempre dietro l’angolo. Se Kim ha davvero costruito un sottomarino nucleare, lo scopriremo presto. Se sta bluffando, lo scopriremo comunque.
In entrambi i casi, la partita è ormai aperta. La Corea del Nord non cerca lo scontro diretto, ma il riconoscimento come potenza nucleare legittima, capace di sopravvivere a qualsiasi pressione esterna.
Saranno gli sviluppi nei prossimi mesi a dirci se questo nuovo tassello della strategia di Kim rappresenta una reale svolta militare o l’ennesima manovra per mantenere alta la tensione e ottenere concessioni. Quel che è certo è che, ancora una volta, il regime ha saputo imporsi al centro del gioco geopolitico, trasformando anche l’ombra di un sottomarino in una leva di potere.
Immagine in evidenza: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Kim_Jong-un_%282019-04-25%29_03.jpg