Aliseo: L’Iran ha lanciato alcuni giorni fa le piรน grandi esercitazioni militari da decenni, in risposta a nuove minacce alla sua sicurezza. In effetti, con il forte ridimensionamento subito da Hezbollah e Hamas, la perdita della Siria e l’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca, la Repubblica Islamica si trova oggi ad affrontare una crisi di sicurezza senza precedenti.
Crede quindi che queste esercitazioni militari siano un atto di forza volto a mascherare la sua fragilitร e insicurezza? Se sรฌ, quanto รจ fragile oggi la posizione dell’Iran e qual รจ il rischio maggiore che potrebbe affrontare la Repubblica Islamica nel futuro prossimo?
Mauro Conciatori: Il responsabile dellโAgenzia Iraniana per lโEnergia Nucleare, Mohammad Islami, ha chiarito il 15 gennaio che queste esercitazioni servono a testare le capacitร di difesa da eventuali attacchi ai siti nucleari di Qom, Isfahan e Natanz.
Unโattivitร quindi dovuta, se non di routine, vista la tambureggiante narrazione di un possibile attacco israeliano, o addirittura israelo-americano, ai predetti siti.
Da settimane fonti vicine a Teheran diffondono la tesi che la Repubblica Islamica possiede sistemi antimissile sconosciuti, che avrebbero indotto Israele a ridimensionare gli obiettivi dellโattacco del 26 ottobre scorso, ma non emergono allo stato credibili conferme al riguardo.
Piรน rilevante, al limite, mi sembra la firma dellโaccordo di partenariato con la Russia, lungamente negoziato e finalizzato il 17 gennaio, che prevede anche collaborazioni in campo militare.
Come lei correttamente osserva, la partita per gli equilibri regionali ha scandito negli ultimi mesi rovesci in serie per la Repubblica Islamica, con il brusco arretramento dei suoi piรน o meno riottosi proxies (salvo, finora, gli Houthi yemeniti, legati allโIran piรน da convergenze tattiche che da rapporti di coordinamento).
In Libano lโattacco di Israele a Hezbollah ha portato a un ribaltamento degli equilibri politici, che chiude decenni di influenza siro-iraniana e riporta il Paese nellโorbita occidentale, e quindi israeliana.
Col rovesciamento diย Bashar Assad, anche la Siria esce dalle aree di influenza di Teheran e di Mosca, e passa per buona parte in quella del battitore liberoย Erdoฤan, pur in presenza di una perdurante frammentazione sul terreno.
ร stata dunque spezzata la continuitร di quellโarco territoriale controllato da attori locali alleati di Teheran, che premeva militarmente su Israele (e sulle forze americane nella regione) garantendo allโIran deterrenza rispetto a sviluppi sgraditi.
Al quale arco lโIran aveva assommato, a partire dal 2017-18, un rapporto preferenziale con Hamas, utile ad accentuare la pressione su Israele ma che, a giochi fatti, si รจ rivelato lโattore che, attaccando Israele il 7 ottobre โ23, ha avviato il crollo dellโintero edificio.
Inoltre Israele sostiene di aver compromesso, con il bombardamento del 26 ottobre scorso, anche il secondo pilastro su cui lโIran basa la deterrenza, cioรจ lโampio e modernissimo arsenale di droni e missili ipersonici a medio raggio deputato a scoraggiare aggressioni. Secondo lโesercito israeliano sono state significativamente danneggiate dotazioni e capacitร produttive.
Non conosciamo con esattezza il livello qualitativo di tali danni, ma certo รจ che a quellโattacco Teheran non ha ancora risposto. Dunque la complessiva equazione di sicurezza della Repubblica Islamica รจ oggi modificata in profonditร , e presenta pesanti incognite.
Aliseo: In questo contesto, crede che lo sviluppo della bomba nucleare possa rappresentare l’assicurazione sulla vita per l’Iran? C’รจ davvero la volontร di dotarsi dell’arma atomica o minacciarne lo sviluppo รจ solo uno strumento di pressione e negoziato con l’Occidente?
Mauro Conciatori: Un anno dopo il ritiro unilaterale americano del 2018 dallโAccordo sul nucleare (Jcpoa) anche lโIran annunciรฒ di non ritenersi piรน vincolato ad applicare lโintegralitร delle sue clausole.
Si dice che sia ormai giunto a una situazione di โlatenza nucleareโ, cioรจ che sia in possesso di tutte le conoscenze tecnologiche e della quasi totalitร dei materiali fissili da mettere in un ordigno.
Una parte, finora maggioritaria, dellโestablishment confida che questa latenza costituisca giร di per sรฉ una convincente forma di deterrenza.
Ma sono sempre piรน assertive le voci che ritengono ormai indispensabile perfezionare unโarma nucleare: per una deterrenza piรน incisiva, ma anche per utilizzarla in risposta a un massiccio attacco volto a dislocare la Repubblica Islamica, che essi temono ormai imminente.
ร possibile che fette crescenti di opinione pubblica comincino a sposare questo approccio.
Aliseo: Si tratta perรฒ allo stesso tempo di un grosso rischio per l’Iran quello di dotarsi dell’arma atomica, che potrebbe scatenare un intervento diretto di Israele e degli Stati Uniti al fine di impedirlo. Come la vede?
Mauro Conciatori: Infatti il rischio delle deterrenze asimmetriche รจ quello di incentivare anzichรฉ scoraggiare lโattacco.
E il dibattito interno รจ serrato, incrocia forse anche il delicato snodo della successione allโottantacinquenne Guida Suprema, e sโinquadra in una partita piรน ampia fra grossi centri di potere trasversali e fra loro concorrenziali, che vedono in maniera diversa la futura evoluzione della Repubblica Islamica in campo istituzionale, ideologico, sociale e anche internazionale.
Aliseo: Su queste dinamiche di sicurezza regionale incide evidentemente anche lโavvento della nuova Amministrazione americana, con Trump che promette massima pressione sullโIran.
Mauro Conciatori: Certo. E vi introduce ulteriori incognite. Teheran ha pessimi ricordi del precedente quadriennio di Trump, e oggi non รจ affatto rassicurata dalle sue nomine ai posti apicali, per quanto le scelte politiche di fondo appaiano ancora impregiudicate.
Temo perรฒ che per Trump il nodo iraniano venga presto al pettine, specie dopo aver sparato a salve la prima cartuccia nel dialogo con Putin sullโUcraina, con la fallimentare missione moscovita dellโemissario Kellogg.
Proprio il cessate-il-fuoco appena raggiunto a Gaza, con la prospettiva di unโulteriore sequenza negoziale che puรฒ consolidare una lunga tregua, ha lโeffetto indiretto di sgombrare il campo per le influenti componenti che in Israele e negli Stati Uniti premono per la guerra allโIran nella speranza di provocare un regime change.
A Trump si prospettano allora, con una certa urgenza, tre (o quattro) opzioni, una peggiore dellโaltra per la Repubblica Islamica: dare luce verde a un nuovo attacco israeliano su obiettivi militari; associare gli Stati Uniti a una massiccia azione militare per favorire la caduta del regime; varare sanzioni simili a quelle che hanno schiantato la Siria di Assad, in modo da costringere Teheran a negoziare un accordo draconiano o da propiziare sommovimenti antiregime.
Il Presidente americano รจ imprevedibile e tale ama apparire. ร probabile che davvero voglia evitare nuove guerre, come spesso dice, per concentrarsi su dossier interni e per rafforzare gli Stati Uniti sul continente americano, come suggeriscono le sue sortite su Canada, Groenlandia, canale di Panama e necessitร di ridenominare il Golfo del Messico.
Ma nella politica estera americana operano inesorabili meccanismi inerziali innescati nel deep state da potenti gruppi di pressione e loro addentellati, alcuni dei quali traggono vantaggi da conflitti o escalation militari.
Accelerare un negoziato deve dunque sembrare a varie componenti iraniane la possibile via dโuscita. Il Presidente riformista Pezeshkian ribadisce disponibilitร a negoziare. Credo che gli iraniani โaperturistiโ sappiano bene che, con Trump, unโeventuale intesa dovrร piacere anche a Israele.
Dโaltra parte, nel 2015 Netanyahu motivรฒ la sua opposizione allโaccordo Jcpoa con le mancate garanzie a Israele su proiezione regionale dellโIran e missili: la prima รจ oggi ampiamente liquidata, e i secondi potrebbero essere stati ridimensionati dal predetto attacco israeliano.
Non รจ escluso che lโala filoccidentale del regime (e forse non solo essa) pensi a unโintesa davvero strategica con Washington.
In questo quadro, la riattivazione del progetto di gasdotto che collegherebbe i colossali giacimenti qatarini di South Pars al Mediterraneo via Siria, resa teoricamente possibile dalla liquidazione di Assad, consentirebbe allโIran di mettere sul piatto di un negoziato โbusiness-orientedโ, ricche aperture a favore di influenti ambienti americani, visto che unโaltra metร circa del giacimento di South Pars si trova in acque territoriali iraniane.
Pure illusioni, probabilmente, ma forse utili in questa fase a discendere qualche gradino sulla scala delle tensioni.
Forse anche alcune componenti radicali iraniane vedono oggi il negoziato come il male minore, se non altro per guadagnare tempo: in un dibattito pubblico del 31 dicembre scorso, riportato dal New York Times, lโinfluente generale dei Pasdaran Behruz Esbati ha scandito che lโIran al momento non รจ in grado di colpire di nuovo efficacemente Israele con missili e droni, nรฉ ha interesse a provocare gli Stati Uniti con un tecnicamente problematico attacco a qualche sua base.
Ma allโinterno della galassia radicale ci sono anche sensibilitร differenti: una parte di essa ritiene che per togliere dal tavolo lโopzione di un nuovo strike israeliano sia indispensabile ristabilire la deterrenza, dimostrando in qualche modo concreto a Israele la perdurante capacitร iraniana di nuocere.
In Iran le divisioni sulla politica estera restano abbastanza trasversali alle tre โconglomerateโ che si contendono e si spartiscono il potere (religiosi, militari e imprenditori) e in parte anche alla distinzione fra riformisti, pragmatici, conservatori e radicali.
La partita interna iraniana e quella complessiva regionale sono oggi aperte a tutti gli sviluppi, lungo un sentiero scivoloso con vista su un piuttosto sinistro abisso.
Aliseo: A proposito dei rapporti tra l’Iran e la Turchia, Ankara ha guadagnato quote d’influenza in Medio Oriente dopo la caduta del regime di Assad proprio a scapito dell’Iran, che adesso sembra abbia spedito circa 1.500 droni suicidi ai curdi siriani. Dobbiamo aspettarci un innalzamento dello scontro tra l’Iran e la Turchia? E Israele che ruolo avrร all’interno di questa competizione?
Mauro Conciatori: In Siria lโIran ha subito per mesi una dura campagna israeliana di bombardamenti che ha martellato i suoi assetti e quelli di Hezbollah, eliminando anche autorevoli vertici militari, con lโassenso di fatto del regime di Assad.
Non sono sicuro che lโultimo Assad rappresentasse per lโIran ancora un asset piuttosto che una liability, e che la sua caduta sia stata considerata una grave perdita, al contrario dei colpi subiti nei mesi precedenti sul terreno.
Fra tutti i possibili sviluppi, a quel punto, la tutela turca sulla maggior parte della Siria era per Teheran la soluzione preferibile, rispetto a una presa di controllo di Damasco da parte di forze direttamente legate a Stati Uniti, Israele o Arabia Saudita.
E non a caso non vi ha opposto alcuna resistenza. LโIran tenterร ora di mantenere qualche capacitร di proiezione sul terreno in unaย situazione di grande fluiditร e perdurante frammentazione, ma dubito abbia interesse in questa fase a indebolire la posizione turca rafforzandoย proxiesย degli Stati Uniti e quindi, indirettamente, di Israele.
Immagine in evidenza: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:IRIA_soldiers_marching_in_formation_%281%29.jpg