fbpx

Scopri Aliseo Plus

Scopri Aliseo Plus

La lezione di Mahan sul Sea Power tra le onde dell’Indo Pacifico

Il primato statunitense si basa sul potere della Marina. Come Alfred Mahan ha influenzato le strategie di Washington

Nel secolo corrente gli Stati Uniti identificano nella Repubblica Popolare Cinese la minaccia principale alla propria supremazia. Secondo l’Indo-Pacific Strategy of the United States del 2022 – documento strategico emesso dalla Casa Bianca – la Cina è oggi impegnata a realizzare una propria sfera di influenza nell’Indo-Pacifico al fine di diventare la maggior potenza del mondo, combinando la sua forza economica, militare, diplomatica e tecnologica.

Gli apparati statunitensi vedono come necessario il contenimento dell’espansionismo cinese per garantire la sicurezza nazionale, la prosperità economica degli americani e la pace della regione. Per motivi storici e soprattutto dopo il secondo conflitto mondiale, gli Usa possono contare su vari avamposti e Paesi alleati nel Pacifico, quest’ultimi accomunati dalla paura di possibili azioni ostili da parte di Pechino.

Il Paese del Dragone è infatti determinato a proiettarsi ben oltre i mari che bagnano le proprie coste. A tal proposito, molta attenzione viene rivolta verso lo sviluppo della flotta – di recente costruzione sono le uniche due portaerei cinesi, entrate in servizio nel 2012 e 2019, mentre una terza sta per essere varata – e l’apertura di nuove basi militari all’estero.

Nonostante lo sviluppo tecnologico e della tecnica militare abbia portato alla creazione di sofisticati sistemi missilistici che possono colpire a grande distanza, ancora oggi il primato di Washington si fonda sull’abilità di controllare le principali rotte marittime e oceaniche attraverso le quali passa l’80% delle merci mondiali.

Questa capacità poggia le basi sugli assunti dell’ammiraglio della US Navy Alfred Thayer Mahan che, con i suoi scritti a cavallo tra XIX e XX secolo, ha teorizzato per primo l’importanza per gli Usa di proiettarsi negli oceani al fine di gestire i traffici commerciali nel loro insieme e assicurarsi la supremazia sugli altri Paesi.

Mahan e il Sea Power

Quando nel 1890 Mahan terminò di scrivere la sua opera più significativa – The Influence of Sea Power upon History, 1660-1783 – gli Stati Uniti avevano completato la loro espansione territoriale ed erano passati oltre l’esperienza della guerra civile. Grazie a un’economia fiorente e guidati dall’ideale di “destino manifesto”, gli americani – secondo Mahan – erano in quel momento pronti ad andare oltre la “Dottrina Monroe” per favorire il progresso del Paese.

In questo modo, si sarebbero sfruttate tutte le potenzialità degli Usa, a partire dal loro posizionamento geografico, fattore chiave per il perseguimento del potere marittimo – Sea Power– insieme ad altri elementi come la conformazione delle coste, il carattere della popolazione e il tipo di governo.

Alfred Thayer Mahan | da Wikimedia Commons

Le riflessioni di Mahan hanno avuto un forte impatto prescrittivo per gli apparati del governo statunitense. L’autore stesso caldeggiò la partecipazione alla guerra ispano-americana (1898), con la quale il Paese si assicurò il controllo di Cuba, Porto Rico, Guam e le Filippine.

Il conflitto avrebbe infatti implicato un importante incremento delle unità navali, essenziale per presidiare le rotte nel Pacifico e difendere la costa occidentale da una potenza emergente nella regione, il Giappone.

Nel 1916 il Congresso approvò il “Big Navy Act”, seguendo le indicazioni di Mahan circa la necessità di possedere una grande flotta da guerra per far valere i propri interessi. In 20 anni, le unità della marina americana passarono da 72 nel 1897 a 774 nel 1918, di cui 39 corazzate.

Analizzando alcuni documenti prodotti oggi dalle istituzioni di Washington come “Naval Warfare” – il manuale congiunto della Marina, del Corpo dei Marines e della Guardia Costiera – e lo “Strategic Management Plan” del Pentagono, possiamo notare come, più di un secolo dopo, il Sea Power sia ancora individuato come l’obiettivo primario degli Usa per garantire la sicurezza e la prosperità economica della popolazione. A tale fine, la marina è descritta come impegnata a prevenire qualsiasi aggressione cinese, contando anche sull’aiuto di alcuni alleati.

L’importanza del Pacifico per Mahan

Mahan descriveva il Pacifico come un’area geopoliticamente vuota ma contendibile dalle potenze europee, dal Giappone e dagli Stati Uniti. Quest’ultimi avrebbero dovuto occupare una serie di avamposti – ovvero isole, atolli e scogli – al fine di prevenire qualsiasi mossa degli altri Paesi.

Già entro la fine del XIX secolo gli Usa avevano esteso la loro sovranità sulle isole Hawaii, le Midway, l’Isola di Wake, le Samoa, Guam e altre piccole isole che, insieme all’Alaska – acquisita dalla Russia nel 1867 – rappresentano ancora oggi la rete di territori che permette il controllo di questo oceano e delle rotte che collegano l’America, l’Oceania e l’Indo-Pacifico.

In The Problem of Asia (1900), Mahan descrive il continente asiatico come una grande distesa essenzialmente vuota nella quale un forte attore locale può proiettarsi senza che le potenze marittime possano intervenire. L’autore si riferisce in particolare a Russia e Cina. Ma, mentre la prima non potrebbe mai minacciare seriamente gli interessi americani data la lontananza dai mari aperti e caldi, fattore che la colloca in una posizione molto sfavorevole, la Cina è sia una potenza di terra che, teoricamente, di mare.

Per questo Mahan era convinto della necessità della “politica della porta aperta” verso Pechino. Non solo per questioni economiche e commerciali, ma anche relative alla sicurezza delle nazioni occidentali, le quali si sarebbero trovate in pericolo nel momento in cui la Cina avesse perseguito una linea di azione propria.

Cento anni dopo, mentre la Russia cerca ancora di approdare ai mari caldi, Pechino ha superato il “secolo delle umiliazioni” e, sotto la guida del Partito Comunista, negli ultimi decenni ha attraversato una crescita economica impetuosa tanto da diventare “ingombrante” e minacciosa per i Paesi vicini. Proprio verso quest’ultimi è rivolta l’attenzione statunitense per ricercare un bilanciamento di potenza nella regione dove è dispiegata la Settima Flotta.

Alleati e alleanze per fermare Pechino

Per affrontare la sfida posta da Pechino, il Segretario di Stato Antony Blinken ha riassunto la politica dell’attuale amministrazione con tre parole: “investire, allearsi e competere”. Tra i partner di lunga data nella regione vi sono la Corea del Sud e il Giappone.

Quest’ultimo in particolare è impegnato in un progressivo riarmo in contrasto con alcune disposizioni della sua stessa Costituzione che vietano lo sviluppo di qualunque forza terrestre, navale e aerea. Il Paese è centrale nella strategia americana di contenimento della Cina tenendo anche conto dei seguenti due elementi.

In primo luogo, Tokyo ospita più di 50 mila unità del personale militare americano considerando le forze armate nel loro complesso. In particolare, di grande rilevanza sono la base navale a Yokosuka – sede del quartier generale della Settima Flotta – e le installazioni sull’isola di Okinawa, data la loro vicinanza a Taiwan.

Secondariamente, il Paese è parte del QuadQuadrilateral Security Dialogue – alleanza informale stretta già nel 2007 con Australia, India e Usa in funzione anticinese e con la quale i partecipanti, tramite una dichiarazione congiunta del 2021, mettono in guardia sull’importanza di contrastare ogni rivendicazione del Dragone nel Mar Cinese Meridionale e Orientale al fine di garantire la sicurezza e la libertà nell’Indo-Pacifico.

Un altro patto è l’Aukus – acronimo di Australia, Regno Unito e Usa – una partnership per collaborare sulla difesa navale, la cybersicurezza e con la quale Washington e Londra si impegnano ad aiutare Canberra nella costruzione di sottomarini a propulsione nucleare.

Quest’ultima, oltre a essere al centro delle alleanze su cui Washington fa affidamento, da qualche anno è molto critica riguardo le iniziative di Pechino come la Nuova via della seta, ritenuta destabilizzante per alcuni Paesi della regione per i rischi di “trappola del debito” in cui questi possono incorrere.  

Nella strategia americana trovano posto anche le Filippine. Manila ha infatti dei contenziosi aperti con Pechino riguardo la sovranità delle Isole Spratly, localizzate nel Mar Cinese Meridionale, e ha da poco deciso di mettere a disposizione di Washington ulteriori quattro postazioni per l’invio di truppe, portando il totale delle basi statunitensi nel Paese a nove.

Infine, la Casa Bianca ha annunciato nel maggio 2022 l’Indo-Pacific Economic Framework for Prosperity (IPEF), un ambizioso progetto di integrazione economica con altri 12 Paesi della zona tra cui Nuova Zelanda, Australia, Indonesia, Filippine, Vietnam, Giappone e India.

Sulla carta questo partenariato prevede una stretta collaborazione sui settori del commercio, dell’energia rinnovabile, delle catene di approvvigionamento e della lotta alla corruzione; in realtà, molti la ritengono un’iniziativa in contrasto con la Via della seta cinese e utile per rinsaldare i rapporti con i Paesi partecipanti.

Foto in evidenza: By US Indo-Pacific Command – https://commons.wikimedia.org/wiki/File:INDOPACOM_Emblem_2018.png, Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=119427793 By J. E. Purdy, Boston, Massachusetts – http://hdl.loc.gov/loc.pnp/cph.3c20219, Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=319599

Alessandro Taviani

Sono nato nel 1998 e abito in provincia di Firenze. Storia è da sempre la mia materia preferita ma da anni studio e mi interesso di politica internazionale, delle relazioni tra Stati e del mondo della diplomazia. Laureato in Scienze Politiche nel 2021, adesso sono laureando presso la magistrale di Studi Internazionali dell'Università di Pisa. Collaboro con Aliseo per il puro piacere di scrivere e approfondire temi inerenti all'attualità.

Ultimi articoli a tema Esteri

La politica, i conflitti, il mondo.

Spiegati bene da Aliseo per i membri del Club