Abbonati

a

Scopri L’America dopo l’egemonia

L’ultimo numero della rivista di Aliseo, dedicato al futuro degli Stati Uniti. 14 analisi per capire l’America, dalla geopolitica alla crisi interna

Letteratura e modernità, una sfida irrisolta

Letteratura e modernità, una sfida irrisolta

La letteratura deve fare i conti con il tempo che scorre e il mondo che evolve. Che ruolo hanno gli scrittori? La parola scritta ha ancora un valore?

La letteratura dell’Ottocento, un lontano ricordo

L’Ottocento era una fucina di artisti e intellettuali di raro valore. All’inizio del XIX secolo si consolidava il Romanticismo, con l’immensa opera di Hugo in Francia. E qualche decennio dopo fioriva il Realismo di Flaubert, Tolstoj e Dostoevskij, insieme al Naturalismo di Zola. Ultimo il Decadentismo, con l’eccesso di Baudelaire, il fascino di Mann e l’eleganza di Wilde. L’Italia, sebbene ritardataria, vantava Leopardi, Manzoni e Foscolo. Poi Verga. E ancora Carducci (primo Nobel italiano per la letteratura), Pascoli e d’Annunzio.

Insomma, le voci di questi letterati erano potenti e autorevoli. Erano acuti interpreti della loro epoca. Sapevano codificare le sfumature della storia, trasmetterle su carta. Esprimevano la loro visione del mondo, partorivano opere figlie della loro sensibilità. E la loro figura giganteggiava su quella del comune cittadino, perché visti come miti di un’altra natura.

Il Novecento, palcoscenico della lotta letteratura e modernità

Oggi, purtroppo, la letteratura deve scendere a compromessi con la modernità. Con questo fenomeno indomabile e indefinibile, si intende la vittoria della civiltà della macchina sulla natura “Si spengono i lanternoni”, suggerisce Pirandello. Questo significa che la modernità ha provocato lo spegnimento dei grandi valori. Ecco, dunque, il trionfo della cosa, dell’oggetto, dei soldi e del mercato. L’impero della tecnica, della macchina e del guadagno. Della velocità, idolatrata dai Futuristi. L’industria prevale sull’artigianato e la massa sovrasta l’artiere.

Di conseguenza, l’artista (e quindi lo scrittore) è stato deposto dal trono. Si è trovato ai margini di quella stessa realtà che amava sezionare, indagare e assaporare. Si è visto escluso da tutte quelle dinamiche che lo rendevano protagonista del suo tempo. E il terreno della modernità impedisce la fioritura di nuovi scrittori.

I primi sintomi del problema: Baudelaire e la sua “aureola”

Baudelaire scrive un breve racconto, che si intitola La perdita di aureola. Il poeta entra in città, marasma di rumori e agglomerato di caos. «Poco fa, mentre attraversavo il boulevard, di gran carriera – scrive Baudelaire – ecco che la mia aureola per un brusco movimento m’è scivolata dalla testa nel fango della carreggiata. E non ho avuto il coraggio di riprenderla, ma ho giudicato meno disdicevole perdere le mie insegne piuttosto che farmi rompere l’osso del collo».

La metaforica “macchia” di fango sulla corona d’alloro ha profanato la sacralità del poeta. L’intellettuale ha perso il suo prestigio, la sua natura di “veggente” e il misticismo del suo canto.

La posizione di Rilke

Nel 1919, Rilke, poeta tedesco e autore delle Elegie duinesi, denuncia le conseguenze del nichilismo. Questo atteggiamento priva il valore più profondo delle cose e annulla ogni senso.

Il poeta scrive: «Per i nostri avi, una casa, una fontana loro familiare, un abito posseduto, era qualcosa di infinitamente di più che per noi, più intimo. Ogni cosa era un recipiente in cui rintracciavano e conservavano l’umano. oggi ci incalzano dall’America cose nuove e indifferenti. Pseudocose. Aggeggi per vivere. Una casa americana, una mela americana, una vite americana non hanno nulla in comune con la casa, il frutto e il grappolo in cui erano riposte le speranze e la ponderazione dei nostri padri». E questo, purtroppo, era solo l’inizio.

Il caso Montale, poeta del male di vivere

Anche Montale assiste al tramonto della ieraticità della poesia. L’autore degli Ossi di seppia confessa nel Sogno di un prigioniero: «[…] la purga dura da sempre, senza un perché». Questo malessere indomabile caratterizza la sensazione che vivono tutti i letterati. E Montale lo conferma. «Non chiederci la parola», scrive nell’omonimo componimento. «Non domandarci la formula che mondi possa aprirti/ sì qualche storta sillaba e secca come un ramo. /Codesto solo oggi possiamo dirti, /ciò che non siamo, ciò che non vogliamo».

La rassegnazione di Montale denuncia la morte del poeta vate dannunziano, il superuomo ottocentesco che esalta la folla. E nella poesia Forse un mattino andando in un’aria di vetro, sempre dagli Ossi, l’autore ammette che c’è «il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro /di me, con un terrore da ubriaco». Si sono estinti i modelli, e il mondo appare vuoto e insondabile.

Pasolini e Calvino, simili ma diversi

Pasolini e Calvino sono due esempi di anti modernità.

Pasolini, come Ungaretti nella poesia Girovago, ricerca un “paese innocente”. Si avvicina alle borgate, al dialetto friulano e alle esperienze dei reietti, per fuggire da un mondo di falsità e ipocrisia. Sceglie di frantumare ogni proposta del progresso e si rintana in una purezza in via d’estinzione. Ragazzi di vita ne è la prova. Così come le sue interviste.

Calvino, invece, concepisce la realtà come un susseguirsi di labirinti. Compito dello scrittore? Non arrendersi mai di fronte alla complessità della sfida. L’articolo Sfida al labirinto vuole esaltare proprio questa decisione. La missione della letteratura è tornare ad essere strumento di conoscenza, nonostante dopo un labirinto ce ne sia un altro.

Letteratura e modernità, le (profetiche) visioni di Wilde e Levi

Wilde, alla fine dell’Ottocento, profetizza: «I due punti più deboli della nostra epoca sono la mancanza di princìpi e la mancanza di immagine». E questa assenza di valori, di pilastri, viene definita da Primo Levi come “orfanità”. Scrive l’autore di Se questo è un uomo: «Il nostro futuro non è scritto […] la condizione umana è incompatibile con la certezza».

La modernità si riconosce proprio nel nostro costante rantolare nel buio. L’uomo moderno, sempre più esecutore e consumatore, deambula senza meta. Schiavi delle tendenze e delle mode, si vive in balia di realtà virtuali. Basterebbe aprire gli occhi e spegnere gli schermi; aprire un libro e chiudere gli account, per capire quanto sia indispensabili avere dei Maestri. La letteratura deve tornare ad essere una guida silenziosa nel viaggio della vita. Mai come in questo momento avremmo bisogno del bisbiglio di una parola scritta.

La newsletter di Aliseo

Ogni domenica sulla tua mail, un'analisi di geopolitica e le principali notizie sulla politica estera italiana: iscriviti e ricevi in regalo un eBook di Aliseo

Davide Chindamo

Davide Chindamo

Laureato in Scienze dei Beni Culturali e in Filologia moderna presso l'Università Cattolica di Milano, è un poeta e scrittore, docente e studioso dannunziano. Autore di raccolte poetiche ("Apollo", 2020; "Allegrezza solitaria", 2021; "Dimmi, a cosa stai pensando? - Cento poesie d'amore (2021-2024)", in fase di pubblicazione; "Elegie romane", in fase di pubblicazione), romanzi ("Il trionfo dell'Arte", 2022) e articoli scientifici sulla figura di Gabriele d'Annunzio. Vincitore del Premio Letterario Europeo "Oscar Wilde". Storico collaboratore di Aliseo per la sezione Cultura.

Dello stesso autore

In evidenza

Aliseo sui social