Il 23 agosto scorso è atterrata sulla Luna la sonda spaziale indiana Chandrayaan – 3, la prima nella storia a raggiungere il polo sud del satellite terrestre. Un lato inesplorato che sarebbe di interesse scientifico per via della probabile presenza di ghiaccio d’acqua, che potrebbe essere usato per sostenere la presenza umana.
Il traguardo raggiunto ha inoltre permesso a Delhi di diventare competitiva nella corsa allo spazio ma – allo stesso tempo – ha messo in mostra i limiti di Mosca, un tempo leader del settore. Pochi giorni prima, infatti, la Russia annunciava il fallimento della missione Luna – 25, che avrebbe dovuto raggiungere lo stesso obiettivo indiano.
“Dobbiamo tornare a padroneggiare tutte le tecnologie” ha dichiarato Jurij Borisov, il capo dell’agenzia spaziale russa – conosciuta anche con il nome di Roscosmos – pur rassicurando che i lavori per le missioni Luna – 26 e Luna – 27 non solo continueranno ma accelereranno.

Tra le cause dell’insuccesso della missione di Mosca ci sarebbe l’utilizzo di sistemi ormai arcaici, dovuto probabilmente anche alle difficoltà di reperire risorse e componenti spaziali aggiornate, per via delle sanzioni imposte dall’Occidente. La stessa European Space Agency avrebbe dovuto collaborare con Roscosmos ma con il concretizzarsi dell’invasione ucraina, l’organizzazione ha deciso di sospendere qualunque tipo di sostegno.
“L’eredità spaziale della Russia durante la Guerra Fredda rimarrà solo quello, un’eredità”, dichiara alla Cnn Victoria Samson, la direttrice dell’ufficio di Washington dell’istituto Secure World Foundation, un’organizzazione non-profit che promuove l’esplorazione pacifica dello spazio.
Dall’India a Artemis, la nuova corsa alla Luna e allo spazio
Ma se la Russia parrebbe essere fuori dai giochi e l’India sembra aver appena iniziato il suo processo integrativo tra i giganti dello spazio, quali Paesi ad oggi possono essere definiti davvero competitivi e in grado di svelare i segreti dell’universo per primi?
Da un lato a governare la competizione ci sono gli Stati Uniti, da sempre all’avanguardia nel settore. Washington sta infatti tentando di consolidare il suo potere nell’outer space attraverso il programma Artemis con l’obiettivo di mandare nuovi astronauti sulla Luna entro il 2024.
Un traguardo importante visto che si tratterebbe del primo lancio con persone a bordo dal 1972. Ma stavolta l’intento è quello di restare e stabilire una presenza fissa sul satellite terrestre. Creare nuovi mercati e opportunità economiche, permettere sviluppi nell’esplorazione e nella ricerca scientifica, sono le ragioni principali che il governo statunitense ha fornito per le sue missioni spaziali.
Ma non finisce qui. Per la Nasa questo traguardo rappresenterebbe solo il primo tassello di un puzzle molto più grande. Se le missioni sulla Luna dovessero avere successo, gli Stati Uniti sarebbero già pronti a espandere ulteriormente i propri confini, inviando le prime delegazioni su Marte che, secondo i piani, dovrebbero partire già dal 2030.
A partecipare alla corsa sembra però esserci anche un nuovo attore globale, ovvero la Cina. Secondo lo Space Threat Assessment Report di quest’anno, Pechino, infatti, “continua a fare progressi verso il suo obiettivo di diventare il leader mondiale nello spazio”. Il completamento della stazione spaziale cinese Tiangong a novembre 2022 e il successo di numerosi lanci di sonde hanno permesso allo Stato asiatico di diventare una minaccia per i programmi americani.
In un documento dell’intelligence statunitense ottenuto dal Washington Post si legge che “la Cina può mettere a rischio risorse strategiche statunitensi e alleate”. E questo non solo attraverso uno sviluppo competitivo di programmi e infrastrutture, ma anche con metodi spesso non “corretti”. Più volte in passato Pechino è stata accusata di disabilitare o distruggere satelliti avversari. In particolare, i suoi obiettivi principali sembrerebbero essere proprio i satelliti Starlink, costruiti da SpaceX, l’azienda aerospaziale fondata dall’imprenditore sudafricano Elon Musk.

Per contrastare quella che la Cina reputa una minaccia, Pechino pianifica di lanciare in orbita oltre 13.000 satelliti. Una strategia che punta non solo a rafforzare la sua presenza fuori dal nostro pianeta, ma anche a formulare una nuova tattica militare.
Nelle prime fasi della guerra tra Russia e Ucraina, Starlink è stato uno strumento essenziale per permettere avanzamenti e successi delle missioni organizzate da Kiev. Dall’identificazione di target militari alle comunicazioni tra i soldati, i satelliti di Musk sono riusciti a cambiare le sorti del conflitto.

Ed è proprio questo potere a far tremare Pechino. Se le tensioni tra Cina e Taiwan dovessero crescere, aumenterebbe anche il pericolo di un collegamento tra Taipei e Starlink, rendendo difficile un ipotetico attacco cinese, proprio com’è avvenuto con la Russia. Una competizione, dunque, sempre più agguerrita in cui le principali potenze mondiali si giocano non solo il controllo dello spazio ma anche i futuri assetti geopolitici globali, proprio qui sulla Terra.
Foto in evidenza: “Flag-map of India (de-facto)” by Stasyan117 is licensed under CC BY-SA 4.0.