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L’Ungheria si ritirerà dalla Corte penale internazionale

L’Ungheria si ritirerà dalla Corte penale internazionale

L'Ungheria vuole ritirarsi dalla Cpi. L'annuncio coincide con la visita del premier israeliano Benjamin Netanyahu a Budapest.

Budapest si è detta decisa: l’Ungheria si ritirerà dalla Corte penale internazionale. Gergely Gulyás, membro dell’Ufficio del Primo ministro ungherese, ha dichiarato che la procedura di ritiro comincerà quanto prima. L’annuncio arriva a seguito dell’inizio della visita del premier israeliano Benjamin Netanyahu nel Paese.

Il portavoce del governo ungherese, Zoltan Kovacs, scrive su X «il processo di ritiro si svolgerà nel rispetto degli obblighi giuridici costituzionali e internazionali dell’Ungheria».

La posizione della Corte penale internazionale

Sono circa due anni che la Corte penale dell’Aja è tornata al centro del dibattito internazionale, più precisamente da quando, nel marzo del 2023, aveva emesso due mandati d’arresto nell’ambito dell’indagine avente a oggetto la situazione in Ucraina, contro il presidente della Federazione Russa Vladimir Putin e contro la sua collaboratrice Marija L’vova-Belova, Commissario presidenziale per i diritti dell’infanzia. 

Nell’ambito dell’indagine in corso sullo Stato di Palestina, il 21 novembre 2024 Karim Khan, Procuratore Generale della Corte, annunciava l’emissione di tre mandati d’arresto: uno nei confronti dell’alto comandante dell’ala militare di Hamas, Mohammed Diab Ibrahim Al-Masri, comunemente noto come “Deif”, deceduto lo scorso 13 luglio, gli altri due nei confronti del premier Benjamin Netanyahu e dell’ex ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant, per crimini contro l’umanità e crimini di guerra.

Al momento dell’annuncio, il Primo ministro ungherese Viktor Orbán si schierò immediatamente contro la decisione della Corte, dichiarando che la stessa «non avrebbe avuto alcun effetto in Ungheria» e invitando il Primo ministro israeliano a recarsi nel Paese in visita.

A seguito dell’emissione del mandato contro Netanyahu, l’operato della Corte è stato travolto da un vortice di critiche, specialmente da parte degli Stati Uniti che l’hanno più volte definita “un’istituzione corrotta”, prima sotto l’amministrazione Biden e ora sotto quella Trump.

La visita di Benjamin Netanyahu in Ungheria 

L’Ungheria è parte della Corte penale internazionale sin dall’entrata in vigore, nel 2002, dello Statuto di Roma, di cui è firmataria. Sottoscrivendolo, accetta l’obbligo di cooperare con la Corte e, in particolar modo, di arrestare e consegnare all’istituzione sovranazionale chiunque sia oggetto di un mandato di cattura internazionale, qualora metta piede nel Paese.

E invece, lo scorso 3 aprile, il premier israeliano è atterrato in Ungheria per una visita ufficiale di quattro giorni. Si tratta del secondo viaggio all’estero di Netanyahu da quando la Corte ha emesso il mandato di arresto nei suoi confronti, nonché della prima volta che mette piede sul suolo europeo da quando è in corso il conflitto nella Striscia di Gaza.

Il governo ungherese, in linea con quanto aveva dichiarato lo scorso novembre, non ha proceduto all’arresto del premier israeliano che, anzi, è stato accolto con entusiasmo. Per dare una parvenza di legalità al venir meno dei propri obblighi giuridici, Budapest ha annunciato l’imminente ritiro del Paese dall’organizzazione internazionale.

Tra i motivi citati a sostegno di questa scelta, Gulyás ha qualificato come “inaccettabile” il grado di politicizzazione della Corte e ha inquadrato il mandato d’arresto come un attacco anti-semita contro lo Stato d’Israele.

Ritirandosi dall’organizzazione, l’Ungheria si aggiunge allo schieramento dei Paesi non firmatari dello Statuto di Roma, tra cui Stati Uniti, Cina e Turchia. Recentemente, anche il presidente statunitense Donald Trump si era scagliato contro la Corte, dichiarando di volervi imporre delle sanzioni.

er converso, il presidente del Consiglio europeo António Costa e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, tramite dei post su X, hanno ribadito il sostegno dell’Unione europea all’operato della Corte.

Lo smantellamento delle istituzioni sovranazionali

Non vi era dubbio sul fatto che il governo ungherese non avrebbe proceduto all’arresto di Netanyahu all’arrivo nel Paese. Di fatto, la notizia non ha destato stupore non perché Orbán avesse già criticato l’emissione del mandato lo scorso novembre, né per la vicinanza tra lui e Netanyahu, ma per la scarsa fiducia dell’opinione pubblica mondiale nelle istituzioni internazionali

È noto che la Corte non sia provvista degli strumenti di enforcement necessari per attuare le proprie decisioni, cioè che non disponga dei mezzi per obbligare gli Stati membri dello Statuto ad adempiere ai propri obblighi internazionali.

Tuttavia, il fatto che all’emissione di questi mandati d’arresto non faccia seguito alcuna conseguenza concreta per i soggetti ricercati, non fa perdere di credibilità alla Corte che, a ben vedere, sta dando prova di resilienza, esponendosi su temi molto controversi e agendo al massimo delle proprie capacità, entro i limiti di ciò che le è consentito fare. 

Non è l’istituzione giurisdizionale che si sta indebolendo, è il sistema multilaterale globale che sta cedendo. Il progressivo smantellamento delle istituzioni sovranazionali è il frutto della crisi del cosiddetto “blocco occidentale”, che sta inducendo gli Stati più “insofferenti” a perseguire una politica di disgregazione dell’ordine internazionale costituito, cioè di quel sistema multilaterale che loro stessi avevano creato alla fine degli anni novanta e dal quale oggi vogliono sottrarsi.

Il problema dell’enforcement, cioè della mancata attuazione delle decisioni della Corte, che certamente sussiste, non è ascrivibile a un’inerzia dell’istituzione, quanto piuttosto a un’inerzia degli Stati membri che la compongono. Nell’attuale momento storico, caratterizzato da profondi squilibri geopolitici, le istituzioni sovranazionali non possono sopperire alla mancanza di volontà, da parte degli Stati, di arginare la crisi del multilateralismo in corso.

Il recesso dell’Ungheria dalla Corte, infatti, si colloca all’interno di un più ampio insieme di condotte che stanno progressivamente allontanando il Paese dall’Unione europea e dall’Occidente che, date le recenti frizioni sui dazi tra Bruxelles e la nuova amministrazione Trump, è già in crisi.

L’Unione europea, che ha espresso profondo rammarico per la decisione di Budapest, sta cercando di evitare il collasso delle istituzioni multilaterali, ma diventa sempre più difficile frapporsi a un attacco su più fronti quando non si è coesi sul piano interno.

Immagine in evidenza: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Viktor_Orbán_%2813581867193%29.jpg

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Daria Luisa Petrucci

Daria Luisa Petrucci

Avvocato. EU law Phd candidate. Specializzata in diritto internazionale e diritti umani. Appassionata di geopolitica, relazioni internazionali e diplomazia.

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