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L’ultimo numero della rivista di Aliseo, dedicato al futuro degli Stati Uniti. 14 analisi per capire l’America, dalla geopolitica alla crisi interna

L’Unione Europea alla ricerca di una nuova narrazione, tra ambizioni geopolitiche e limiti strutturali 

L’Unione Europea alla ricerca di una nuova narrazione, tra ambizioni geopolitiche e limiti strutturali 

Mentre la Turchia avanza verso i Brics, l'Unione Europea continua a faticare nel trovare una strategia comune di politica estera e difesa, a causa dei farraginosi processi decisionali e della natura “civile” del progetto europeo.

Il 3 settembre la Turchia ha ufficialmente presentato una domanda per entrare a far parte dei Brics, la cui richiesta potrebbe essere presa in considerazione in occasione del vertice che si terrà a Kazan in Russia tra il 22 e il 24 ottobre. 

L’adesione ai Brics rientra nella strategia di Ankara per diversificare quanto più possibile le proprie alleanze geopolitiche, cercando di mantenere potere e influenza in Medio Oriente, in Asia Centrale e in Nord Africa. Consapevole della propria importanza strategica per gli alleati, la Turchia gode di una libertà d’azione che le ha consentito di subentrare a Francia e Italia in regioni di vitale importanza per la sicurezza europea.  

Ankara non è l’unico attore a beneficiare del declino europeo nel continente africano. La Russia ha soppiantato la Francia come principale garante della sicurezza nei governi di Mali, Burkina Faso e Niger.

Mentre Paesi come la Russia e la Turchia tendono ad agire liberamente in base al corso di azione a loro più congeniale nel perseguire i propri interessi, l’Unione Europea fatica ad assumere una postura internazionale uniforme che le consentirebbe di agire con maggiore incisione in aree fondamentali per la propria sicurezza.

Un nuovo contesto geopolitico

L’eccezionalità dell’azione esterna europea va individuata nelle sue origini. L’Unione Europea infatti nasce come soggetto sui generis a livello internazionale, il cui scopo era riappacificare un continente in persistente guerra, e garantire una efficace e mutualmente produttiva collaborazione tra i suoi membri. 

Tuttavia, dalla formazione dell’Unione Europea, lo scenario internazionale ha subìto un profondo mutamento. Attori prima ai margini del panorama internazionale hanno ora superato l’Unione in termini di crescita economica e popolazione, e hanno acquisito capacità economiche e militari tali da reclamare un ruolo più attivo nella definizione degli equilibri globali. 

Il continente europeo si è trovato così circondato da regioni in cui la conflittualità prima latente è emersa con vigore, generando una pluralità di crisi economiche, sociali e politiche, che hanno impattato, direttamente o indirettamente, sulla stabilità dei 27.

La guerra in Ucraina, in particolare, ha sollevato nuovi punti interrogativi che riguardano non solo il funzionamento dell’attuale struttura istituzionale, ma anche il fine dell’esistenza stessa dell’Unione. Il conflitto ha prodotto una rivoluzione delle priorità europee: quelle di politica estera legate al commercio, al rafforzamento delle relazioni con i Balcani e alla normalizzazione con il Regno Unito sono state sostituite dal rafforzamento della difesa comune e dal coordinamento e l’efficientamento dell’industria di settore. 

Von Der Leyen al Parlamento europeo

Una svolta?

Di fronte a un contesto geopolitico regionale talmente instabile, sono sempre più numerose le voci, istituzionali e non, che domandano una presa di coscienza sull’assunzione di un nuovo ruolo nel panorama internazionale da parte dell’Ue.

Già nel discorso di insediamento della prima commissione Von Der Leyen nel 2019, tra gli obiettivi previsti da raggiungere entro il termine del mandato, vi era il rafforzamento della leadership europea nel mondo.

La necessità di delineare un nuovo corso per la politica estera e di sicurezza comune venne anche sollevata dall’Alto Rappresentante Josep Borrell il primo marzo 2022, pochi giorni dopo l’inizio del conflitto in Ucraina. Di fronte al Parlamento europeo Borrell annunciava la nascita di un’Europa geopolitica, evidenziando come l’Ue avrebbe dovuto da allora “pensare in modo strategico a sé stessa, al suo ambiente e al mondo”.

Tuttavia lo stato delle cose è ben diverso. Gli eventi in Afghanistan, Mali, Siria e Israele raccontano di un allentamento della capacità di intervento dell’Ue nei conflitti, e il ridimensionamento delle sue missioni di sicurezza.

Pur avendo recentemente implementato la propria capacità di difesa attraverso l’introduzione di nuovi strumenti quali la Cooperazione strutturata permanente e il Fondo europeo per la difesa, gli sforzi dell’Ue restano più orientati alla protezione del territorio europeo piuttosto che alla proiezione esterna di influenza militare ed economica.

L’obiettivo della nuova carica di Commissario europeo per la difesa, affidata al lituano Andrius Kubilius, dovrebbe rispondere proprio alla necessità di proteggere i confini. Nella lettera di assegnazione dell’incarico, Ursula Von Der Leyen ha incluso tra le assolute priorità del commissario la preparazione alle “conseguenze più estreme della guerra”.

Le divisioni interne all’Unione europea

La politica estera rimane uno dei reparti che i Paesi membri sono maggiormente restii a delegare alle istituzioni europee. La riluttanza degli Stati membri ad attribuire all’Unione una competenza tanto delicata conferisce agli stessi un ruolo di primo piano nella definizione delle politiche. 

I processi decisionali riflettono tale impostazione: l’intergovernativismo, il modello decisionale standard della Pesc che consiste in una primazia della volontà degli Stati membri sugli attori istituzionali, permette di assecondare gli interessi di tutti i rappresentanti del Consiglio Europeo e di evitare contrasti in seno alle istituzioni, ma allo stesso tempo può produrre stalli e paralisi dei processi decisionali

Le profonde divisioni identitarie, culturali, storiche e geopolitiche tra Paesi membri ne limitano inevitabilmente la collaborazione, soprattutto in quegli ambiti, come la politica estera, dove è più difficile che gli interessi nazionali trovino corrispondenza. L’Alto rappresentante Josep Borrell rappresenta con un esempio l’apparente inconciliabilità delle visioni del mondo tra i Paesi che compongono l’Unione:


«I miei amici polacchi dicono spesso che devono la loro libertà a Papa Giovanni Paolo II e agli Stati Uniti sotto Ronald Reagan, perché hanno vinto la Guerra Fredda. E hanno ragione. Tuttavia, come molti spagnoli, credo anche che noi dobbiamo quarant’anni di dittatura di Francisco Franco agli Stati Uniti e al Papa. […] Come possiamo condividere la stessa comprensione del mondo da esperienze storiche così diverse?» 

Josep Borrell assieme a Kaja Kallas, ex Primo ministro dell’Estonia e ora Alto Rappresentante dell’Ue

Le procedure decisionali

Tale configurazione si manifesta in una frammentazione istituzionale che limita la portata del cambiamento. La Pesc è di competenza principalmente del Consiglio Europeo (costituito dai capi di Stato e di governo dei Paesi membri) e del Consiglio degli affari esteri (che riunisce i ministeri della politica estera), mentre l’Alto Rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la politica di Sicurezza riveste solo un ruolo di coordinazione e rappresentanza.

Inoltre, per gran parte delle decisioni che devono essere assunte dal Consiglio europeo e del Consiglio degli affari esteri è richiesta l’unanimità, ulteriore limitazione al margine di manovra.

Di fatto, ogni Paese detiene potere di veto, a prescindere dal proprio impatto demografico o economico, aumentando la complessità dei processi decisionali, che implicano quasi sempre ingenti risorse in termini di mediazione tra i membri, e che inducono spesso a soluzioni che rappresentano il minimo comune denominatore tra le posizioni del Consiglio.

Non sono rari i casi in cui gli Stati membri ricorrano a un utilizzo strategico del diritto di veto, ne sono un esempio l’Ungheria in relazione al supporto all’Ucraina o la Grecia e la Bulgaria nel caso dei negoziati di adesione della Macedonia del Nord.

Stati uniti, un partner ingombrante

Un’altra questione è quanto siano realmente intenzionati gli Stati membri ad agire geopoliticamente. Dalla fine della Seconda guerra mondiale gli Stati Uniti hanno garantito la difesa dell’Europa, limitando di fatto la capacità dei 27 di proiettarsi nel campo della sicurezza.

Durante la Guerra fredda i Paesi europei hanno accettato di buon grado il supporto statunitense, poiché l’Unione Sovietica veniva percepita come una minaccia esistenziale per la loro integrità. Da allora, l’Europa mantiene una generale riluttanza a considerare la difesa una priorità per la propria stabilità.

L’impatto di tale dipendenza strategica dagli Stati Uniti ha prodotto tre conseguenze per l’Ue: l’impedimento a uno sviluppo di un pensiero strategico genuino, l’esclusione dai processi decisionali degli Stati Uniti, e l’accettazione di decisioni della politica estera statunitense anche quando non ne condivideva i fini o le modalità.

Storicamente, gli Stati Uniti si sono sempre dimostrati tiepidi sulla possibilità di una politica di difesa comune dell’Unione, col timore che questa potesse svincolarsi dagli impegni Nato. Washington ha infatti continuato nel tempo a insistere sulla difesa delle “tre D”: nessuna disconnessione, nessuna duplicazione e nessuna discriminazione delle strutture militari dell’Alleanza atlantica. 

L’esigenza di una nuova narrativa

La guerra in Ucraina, che per prima ha svelato la chiara impreparazione di Bruxelles ad agire nel concreto in un contesto geopolitico, rappresenta non solo una minaccia alla sicurezza dell’Unione Europea, ma anche la necessità di individuare una nuova narrazione politica che compatti nuovamente i Paesi membri.

Un’eventuale transizione geopolitica, come richiesto dalla nuova commissione Von Der Leyen e dall’ormai dimissionario Alto rappresentante Borrell, dovrebbe indurre a una completa ridefinizione del progetto comunitario, a partire dalle sue fondamenta.

Il mito fondativo dell’Unione Europea ne individua l’origine sulle ceneri della Seconda guerra mondiale. Gli Stati, riconoscendo che il perseguimento esclusivo dell’interesse nazionale, soprattutto se alimentato dal nazionalismo, avrebbe condotto al conflitto e all’instabilità politica, optarono per la creazione di un’unione che avesse come carattere distintivo il compimento della pace e della stabilità. Tale narrazione non avrebbe solo consentito all’Ue di comprendere il mondo che la circondava, ma avrebbe anche dato una ragione al processo di integrazione.

L’Unione Europea ha infatti imperniato la propria politica estera intorno alla concezione di “potenza civile”, capace di imporre il proprio potere normativo per garantire il rispetto dei principi fondatori, come i quelli di Stato democratico e di diritto. 

La forza narrativa dell’Unione risiedeva nella convinzione che fosse possibile rinunciare ai tradizionali strumenti della politica internazionale per promuovere un nuovo ordine, basato sul reciproco rispetto delle norme internazionali, in cui gli attriti tra entità nazionali sarebbero stati veicolati da mezzi esclusivamente normativi e istituzionali.

Tale ipotesi poteva sembrare realistica dopo la fine della Guerra fredda, dove l’apparente unipolarismo americano poteva far presagire un modello simile a quello descritto, in cui gli Stati Uniti sarebbero riusciti a imporsi, forti della propria superiorità economica e militare, sui quei Paesi che non avessero rispettato le “regole del gioco”, qualsiasi esse fossero. 

Ad oggi, tale possibilità appare decisamente più lontana, e l’estensione dei fronti globali ai quali la superpotenza americana deve rivolgere attenzione e risorse, così come l’ascesa di nuovi attori internazionali, come i Paesi membri dei Brics, costringono l’Unione Europea a individuare un nuovo ruolo e a riformulare il modo con cui racconta sé stessa.

Se la via desiderata è quella di una piena transizione da potenza civile a potenza militare, l’Unione deve elaborare una nuova narrazione che ne giustifichi il nuovo corso, attraverso una ridefinizione degli obiettivi e delle priorità da perseguire. 

La crisi di reclutamento che accomuna Bruxelles e Washington è un ulteriore incentivo a un’inversione di rotta delle narrative nazionali. I valori dei giovani europei sono ideologicamente lontani dalla mentalità militare, e la maggioranza della popolazione in età di leva si dichiara contraria alle guerre. Il modello di reclutamento polacco, che consiste in programmi volti a favorire l’arruolamento volontario tramite lezioni nelle scuole o corsi estivi di addestramento rapido, potrebbe essere presto seguito dagli altri governi occidentali. 

Esercitazioni delle forze terrestri polacche durante uno scenario di evacuazione medica

Cosa aspettarsi dal futuro

Ad oggi, a meno di un evento catastrofico che costringa i suoi membri a ricompattarsi e superare le diffidenze reciproche, un progetto federale europeo, come immaginato dai padri fondatori dell’Ue, è alquanto improbabile e dalla difficile realizzazione. 

Appare allo stesso modo irrealistica una disgregazione nell’immediato dell’Unione, la cui esistenza oramai non viene più messa in dubbio dai governi, mentre l’euro-scetticismo è sempre meno presente nei programmi partitici nazionali.

Ciò nonostante, la persistenza dell’attuale funzionamento della struttura istituzionale non è auspicabile. Oltre alle già citate minacce geopolitiche, le previsioni future non sono ottimiste per le economie europee, fra le quali solo la Germania comparirà fra le prime 10 economie mondiali nel 2050. 

Fattori quali la deindustrializzazione e la crisi demografica non accennano ad attenuarsi, mentre le istituzioni europee non sembrano in grado nei fatti a perseguire una politica estera e di difesa che accontenti le necessità degli Stati membri.

Se gli ultimi documenti strategici europei mirano sempre più esplicitamente alla tutela e al consolidamento dell’autonomia strategica europea, nel concreto la distanza tra le ambizioni dichiarate e le azioni adottate per il loro raggiungimento deve ancora essere colmata.

Immagine in evidenza: https://www.flickr.com/photos/cizauskas/33531364621/in/photolist-T641ue-2nNtbuG-254wjbZ-R1zrLu-2oe6dQs-H9wN73-2oGU1b8-2mCDyk8-2jnav83-9X5Pnu-USK5ry-EZi5b-2n4mb2o-bCMNRe-CDeVJe-jFk61G-S6jvTr-77t1wq-JzaHMS-9SSrQ-bD24Zt-2pg6s9h-hWg2Vg-2f6eUrc-8qRB7v-BVuSvJ-PuNet9-3JBMkQ-4Wd2aK-doN69-GXbFz2-Z2uWtU-2hkKyUU-Tri7bS-BHwQVo-DM1U-24bosZ2-977V18-2n4ijaB-2hoKDg5-236sNcT-2am8gC7-Qsz46t-Dcc9jy-2aSoTQN-RNJStB-MJMqVN-QSRuKG-2oYFPXZ-977V14 ; immagini che compaiono nell’articolo: 3) https://www.flickr.com/photos/usarmyeurope_images/6921483539/

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Andrea Colavecchio

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