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L’ultimo numero della rivista di Aliseo, dedicato allo studio dei conflitti contemporanei. 14 analisi per capire come sono cambiate le guerre e perchè ci toccano da vicino

Scarsità di materie prime e abbondanza di inflazione
Dai metalli ai beni alimentari l'inflazione e i colli di bottiglia del sistema minacciano la globalizzazione

Rame +47% rispetto ai livelli precrisi; grano +12%, soia +15%; legno per pallet +20%; nichel e zinco +51%; alluminio +26%. E il Brent è di nuovo intorno ai 70 dollari a barile, ovvero ai livelli pre-pandemici. Questi sono solo alcuni degli incrementi registrati nelle ultime settimane che si stanno traducendo in un rialzo generalizzato dell’inflazione che negli Stati Uniti è salita del 4,2%.

Molteplici sono le motivazioni della momentanea scarsità di materie prime nel mondo, e controverse sono le analisi degli sviluppi di tale situazione e delle ripercussioni che avrà sui livelli dell’inflazione mondiale.

Qualche esempio per capire

10.745,50 dollari per tonnellata. Questa è la cifra record che ha battuto la precedente soglia (di 10.190 dollari) che resisteva da febbraio 2011. Il metallo del “futuro”, protagonista del boom delle telecomunicazioni, ora imprescindibile per la transizione ecologica, non era mai stato così costoso. Da marzo dell’anno scorso quando toccò il suo minimo (4.371$), l’oro rosso ha fatto registrare un incremento del 140%.

Questo aumento vertiginoso è il risultato della combinazione dello sviluppo di nuove industrie innovative che fanno maggiormente ricorso a questo metallo e della ripresa successiva alla pandemia, come suggerisce Mario Romano, direttore investimenti della SGR. Stanno contribuendo anche altri fattori come l’ingente domanda della Cina che è stata la prima ad uscire dall’emergenza covid, e lo sciopero dei minatori in Cile (primo produttore al mondo) per questioni legate ai loro fondi pensione.

Per quanto riguarda l’evoluzione futura dei prezzi, si prospetta senza troppi dubbi un ulteriore rincaro. Per i prossimi anni, Bank of America stima che si potranno raggiungere i 20 mila dollari entro il 2025, dopo un assestamento tra il 2023 ed il 2024. Romano invece ritiene che si seguirà lo stesso andamento che caratterizzò gli anni successivi alla recessione, ovvero sia un incremento marcato nel breve, seguito da una crescita più moderata nei periodi successivi.

Gli stessi problemi avevano già colpito i prodotti semilavorati. E l’esempio più emblematico degli ultimi mesi è quello che riguarda i semiconduttori (altro architrave del mondo moderno). Prima il lockdown che, contemporaneamente, ne ha rallentato la produzione e costretto la popolazione ad aumentare la richiesta di gadget elettronici per far fronte a DAD e smartworking, poi la ripresa generalizzata della domanda a seguito dell’allentamento delle restrizioni, e in mezzo la guerra commerciale fra Cina e USA e il blocco di Suez, hanno sconvolto i regimi di produzione e le catene del valore di tutto il mondo. Nessun settore è stato risparmiato. Nell’automotive, Ford è stata costretta a ridurre del 20% la produzione nel primo trimestre del 2021, ed altri grandi marchi sono intenzionati a seguire una strategia analoga. Persino la Apple, regina nel disciplinare la catena di produzione, sembra essere stata costretta a riprogrammare la realizzazione di alcuni dei suoi dispositivi, per non compromettere l’uscita del prossimo iPhone ad ottobre.

Perché sta succedendo tutto ciò

Come accennato in precedenza, numerose sono le cause di questa scarsità e della conseguente inflazione. Come affermato in un articolo di Bloomberg, il problema è esteso alla totalità delle materie prime: dal rame all’acciaio, passando per l’alluminio e la carta per imballaggi, per arrivare a caffè, grano e soia. Nulla escluso.

Il risveglio del mondo dal coma indotto dalle misure dei governi si è manifestato con una crescita sostenuta della domanda di merci e beni che ha prodotto una iper-reazione da parte delle aziende trasformatrici. Queste, infatti, si stanno approvvigionando più del necessario per assicurarsi di soddisfare il più possibile la domanda attuale che si teme possa di nuovo spegnersi fra qualche tempo. In parole povere vogliono battere il ferro finché è caldo.

Ma la rinascita della domanda non è l’unica motivazione. Il surriscaldamento delle richieste mette a dura prova anche il sistema dei trasporti, per il quale l’incidente di marzo avvenuto a Suez non è stato di certo un toccasana. Questo perché il sistema sta già lavorando al massimo delle sue capacità e perché, a causa del lockdown, la produzione di container e tutti gli altri mezzi di trasporto che avrebbero potuto far fronte a tale situazione è stata pressoché arrestata.

Ai magazzini vuoti dei fornitori di materie prime che non riescono a star dietro alle richieste, si aggiungono i rallentamenti del sistema dei trasporti.

Per provare ad offrire qualche previsione per il breve-medio periodo, l’agenzia di stampa americana ha preso in esame il Logistics Managers’ Index – un indice realizzato dai ricercatori di diverse università statunitensi che mensilmente intervistano i direttori della logistica di numerose imprese del paese – che fornisce un’indicazione rispetto alla situazione corrente e alle prospettive delle spese di inventario, trasporto e magazzino delle imprese.

L’indice oggi registra il secondo livello più alto dal 2016 e non lascia prevedere mutamenti rilevanti per il prossimo anno. Ciò che è ancor meno rassicurante è che il grado di errore di tale indicatore è piuttosto ridotto, infatti ha rispecchiato con estrema precisione i costi effettivi nel 90% dei casi.

Cosa accadrà all’inflazione

L’interrogativo sorge quindi spontaneo. Quando questo surriscaldamento della domanda di materie prime e questi colli di bottiglia nella circolazione che aumentano i costi di trasporto, si tradurranno in un aumento dei prezzi per il consumatore finale?

Cina e Stati Uniti hanno mostrato già da aprile le prime conseguenze. Nella prima, i prezzi alla produzione sono saliti del 6,8%, l’aumento più marcato dal 2017. Dall’altro lato del Pacifico invece si è registrato un incremento dei prezzi al consumo pari al 4,2%. La fiammata inflazionistica più alta dal 2008.

A Pechino, i toni dei rappresentanti del partito sono piuttosto allarmati, soprattutto per il timore di tensioni sociali. Dopo il consiglio di stato è stato dichiarato che “il governo deve prendere molto sul serio l’impatto negativo causato dall’aumento dei prezzi, […] per impedire rincari irragionevoli e prevenire la trasmissione sui prezzi al consumo“.

Di tutt’altro tenore sono le dichiarazioni riferibili a due delle maggiori istituzioni a stelle e strisce. Risultano molti ottimisti sia governo che banca centrale, sicuri dalla transitorietà di tale fase che deriva semplicemente dalla decompressione di una domanda bloccata dal lockdown (durante il quale sono stati accumulati molti risparmi) e dalle strozzature dell’offerta sia preesistenti che successive (carenza microchip) alla pandemia. Perfino il governatore repubblicano della Fed, Jerome Powell, ha auspicato un’inflazione al dì sopra del 2% pur di avere performance di crescita migliori.

Sia Bank of America che Goldman Sachs seguono la stessa linea della Fed. Condividono la transitorietà di questa situazione, che potrebbe sì ripetersi a maggio, ma che non continuerà nel lungo periodo, con un’inflazione al 2% circa il prossimo anno. Ma precisano che il rischio di superamento dei livelli perseguiti dalla banca centrale americana non è da sottovalutare.

Per quanto riguarda il vecchio continente, ancora non si registrano gli stessi segnali. Ma ciò che sta accadendo alle due maggiori economie mondiali non può essere ignorato per ovvie ragioni di interconnessioni globali. I ritardi nella campagna vaccinale hanno inevitabilmente ritardato il risveglio della domanda che si è registrato nei paesi in cui l’immunizzazione della popolazione si è svolta con maggior velocità.

Non a caso, Roberto Ariotti, Presidente di Assofond, partendo dai possibili rischi per il settore delle fonderie (snodo cruciale delle catene del valore), mette in guardia sulla minaccia dei rincari delle materie prime per un paese trasformatore come l’Italia; per il quale l’innalzamento dei prezzi potrebbe avere ripercussioni gravissime su un’economia che durante la crisi pandemica è tornata ad un livello di reddito pro-capite inferiorea quello di metà anni ’90.

È importante ricordare che già dai momenti immediatamente successivi allo scoppio dell’epidemia, l’economia mondiale ha avviato una profonda riflessione sulla natura delle catene del valore, così ramificate e fragili a causa della loro frammentazione in tutto il mondo. L’episodio del canale di Suez, ancora prima di questa ulteriore difficolta negli approvvigionamenti causata dall’incremento della domanda post-lockdown, potrebbe ulteriormente spingere verso una ricomposizione in favore della prossimità delle catene del valore di moltissime aziende.

di Enrico Ceci

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Enrico Ceci

Enrico Ceci

Ciao, sono Enrico e sono capo redattore della sezione economia per Aliseo. Classe '95, laureato in economia e in studi europei. Nei miei articoli, legati principalmente a temi economici ed energetici, cerco di offrire un punto di vista diverso, sempre e solo attraverso il supporto dei dati. Seguendo lo spirito di Aliseo, il mio intento è arricchire tutti coloro che dedicheranno un momento del loro tempo alla lettura dei miei contributi.

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