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L’ultimo numero della rivista di Aliseo, dedicato allo studio dei conflitti contemporanei. 14 analisi per capire come sono cambiate le guerre e perchè ci toccano da vicino

Scandali, milioni, e tanta popolarità: come stanno le monarchie d’Europa
Contestate, discusse, sbeffeggiate, invidiate; nonostante tutto le monarchie europee continuano a godere di buona popolarità, e a rappresentare simboli identitari difficilmente sostituibili.

Riubblichiamo questo articolo sullo stato delle monarchie in Europa in occasione della recente scomparsa della regina Elisabetta II del Regno Unito

Il più recente incidente famigliare dei tanti della lunga storia della monarchia britannica, quello che contrappone i due duchi del Sussex Henry Windsor-Mountbatten e la di lui moglie Meghan Markle al resto della casa reale britannica, ha riesumato un classico evergreen dei giornali scandalistici di tutta Europa: il pettegolezzo sulla royal family. Da sempre la più chiacchierata tra le corti europee, quella di Londra non cessa di risucchiare l’intero globo in infinite discussioni riguardo le complesse vicissitudini familiari che la riguardano.

Intrighi, ricatti, vizi inconfessabili, gravidanze, bella vita e amori clandestini sono di solito argomenti molto più gettonati rispetto alla pur impegnativa vita istituzionale che la regina Elisabetta II del Regno Unito, ma non solo lei, conduce secondo gli obblighi previsi dal suo ruolo. In una sorta di versione moderna con tinte medievaleggianti, la corte dei Windsor si presenta al pubblico mondiale come una sorta di moderno Monte Olimpo omerico, dove ogni personaggio ricopre un ruolo, sempre quello, che può essere più o meno importante, più o meno controverso, ma sempre ossequiosamente all’ombra dell’imperscrutabile sguardo di Sua Maestà che tutto sorveglia e che tutto ammansisce.

Il più recente incidente famigliare dei tanti della lunga storia della monarchia britannica, quello che contrappone i due duchi del Sussex Henry Windsor-Mountbatten e la di lui moglie Meghan Markle al resto della casa reale britannica, ha riesumato un classico evergreen dei giornali scandalistici di tutta Europa: il pettegolezzo sulla royal family. Da sempre la più chiacchierata tra le corti europee, quella di Londra non cessa di risucchiare l’intero globo in infinite discussioni riguardo le complesse vicissitudini familiari che la riguardano.

Intrighi, ricatti, vizi inconfessabili, gravidanze, bella vita e amori clandestini sono di solito argomenti molto più gettonati rispetto alla pur impegnativa vita istituzionale che la regina Elisabetta II del Regno Unito, ma non solo lei, conduce secondo gli obblighi previsi dal suo ruolo. In una sorta di versione moderna con tinte medievaleggianti, la corte dei Windsor si presenta al pubblico mondiale come una sorta di moderno Monte Olimpo omerico, dove ogni personaggio ricopre un ruolo, sempre quello, che può essere più o meno importante, più o meno controverso, ma sempre ossequiosamente all’ombra dell’imperscrutabile sguardo di Sua Maestà che tutto sorveglia e che tutto ammansisce.

Queste vicende, che quando non sfociano nel tragico, come nel caso della principessa del Galles Lady Diana, rasentano spesso e volentieri il ridicolo, aprono immancabilmente il solito dibattito politologico tra monarchici e repubblicani. Tra chi cioè sostiene essere la monarchia un imprescindibile pilastro identitario e politico della nazione e chi invece ritiene scettri e corone inutili orpelli di un passato tramontato.

Gli argomenti addotti a favore delle proprie tesi da entrambi gli schieramenti sono i più svariati, ma questo non sembra spostare i termini della questione più di tanto: in Europa i paesi retti da sovrani, con -forse- la sola eccezione spagnola, vedono l’istituzione monarchica godere di ottima popolarità, così come le opinioni pubbliche dei paesi repubblicani non sembrano minimamente intenzionate a svoltare verso una monarchia. Ognuno, in poche parole, è soddisfatto di ciò che ha. Se ciò è abbastanza scontato per le repubbliche, spesso erroneamente considerate più democratiche delle monarchie, ciò è meno scontato, per la medesima ragione, per le monarchie.

A poco serve, in un paese repubblicano, illustrare come spesso re e regine abbiano molti meno poteri di un presidente della repubblica (si faccia ad esempio un confronto tra i poteri di Elisabetta II e quelli del Presidente della Repubblica Francese), lo scetticismo verso una carica che non si può eleggere rimane ancora molto alto nei paesi repubblicani, così come rimane invoga l’argomentazione delle “spese della famiglia reale”, nonostante molti sovrani europei abbiano corti decisamente meno dispendiose del Palazzo del Quirinale nel quale risiede il nostro Presidente della Repubblica.

Tuttavia, queste argomentazioni trovano poca eco nei paesi retti da monarchie. Come già ricordato, l’istituto monarchico tende ad essere estremamente popolare quasi ovunque proprio perché estraneo alla politica politicante: esso pare provenire da un’epoca ancora pre-politica, ai limiti del mito, quando ancora le ideologie non connotavano la vita politica delle nazioni come una lotta per la vita o per la morte di vari segmenti sociali gli uni contro gli altri.

In questa ottica, non sorprende che la monarchia più debole in termini di consenso sia quella spagnola, che deve la sua esistenza alla problematica eredità politica e ideologica della reggenza di Francisco Franco, che la monarchia la salvò, con tutto ciò che comporta in debiti di riconoscenza coi fascismi che per tale obbiettivo combatterono durante la sanguinosa guerra civile nel Paese iberico. Ma qual è, ad oggi, la situazione delle monarchie europee? Quale ruolo hanno nell’Europa di oggi? Di quanto potere dispongono e quanto sono effettivamente popolari?

Se escludiamo mini-stati, pur monarchici, quali il principato del Liechtenstein, il Principato di Monaco, la Città del Vaticano (monarchia elettiva) ed il peculiare caso del Principato di Andorra (diarchia elettiva), le monarchie europee sono otto: Regno Unito, Spagna, Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo, Danimarca, Svezia e Norvegia.

In Regno Unito, come già detto, malgrado i frequenti scandali e le tormentate vicende dei Windsor (in realtà casata di Sassonia-Coburgo-Gotha), la monarchia è tutt’ora un’istituzione popolarissima. Secondo un recente sondaggio riportato da statista.com ben 62 britannici su 100 sono a favore della corona, mentre solo il 21% sarebbe favorevole ad un eventuale svolta repubblicana. La sovrana, in particolare, è amatissima, sia per il suo ruolo discreto ma presente all’interno della politica, sia per l’immagine di decana della nazione e simbolo delle sue trasformazioni dalla Seconda Guerra Mondiale ad oggi.

Non giova nemmeno, a favore della causa repubblicana, il fatto che quest’ultima si diventata il simbolo di gruppi terroristici come l’Irish Republican Army, motivo per il quale anche gli stessi indipendentisti scozzesi sarebbero favorevoli, pur in un contesto di indipendenza, a rimanere un reame del Commonwealth con il monarca di Londra come capo dello Stato de iure.

Le turbolenze della monarchia spagnola

Più complicata, come già accennato, la situazione della monarchia di Madrid, ultima istituzione monarchica sopravvissuta, pur tra mille traversie, nel sud dell’Europa. La casata dei Borbone di Spagna, restaurata per volere del reggente Francisco Franco dopo la sua morte con la salita al trono di re Juan Carlos, si trova al centro di diverse linee di faglia dello scontro politico spagnolo. La prima linea di faglia si presenta come essenzialmente ideologica: l’istituto monarchico iberico è infatti erede diretto del regime di Franco, i cui legami sia con il fascismo italiano sia con il nazionalsocialismo tedesco sono storia.

Nonostante Franco, in particolare dopo la Seconda guerra mondiale, abbia proceduto nell’implementazione di una politica di riconciliazione nazionale, molti spagnoli riconoscono ancora nella monarchia borbonica l’ultima vestigia del passato dittatoriale e clerico-fascista della nazione. Nonostante sia Juan Carlos sia l’attuale sovrano Filippo VI si siano siano più volte dichiarati devoti all’ordinamento democratico dello Stato, liberarsi dell’accusa di “criptofascismo” è, nei tempi di oggi, qualcosa di assai arduo.

A questo aspetto si aggiungono le complesse vicende legate alle varie ondate di indipendentismi che scuotono periodicamente lo Stato spagnolo, in particolare quello basco e quello catalano. Sia in Euskadi sia in Catalogna, a torto o a ragione, la monarchia continua ad essere indicata come il simbolo del potere centrale di Madrid che opprime tanto Barcellona quanto Bilbao, privandole del loro giusto diritto all’indipendenza. Il ruolo della monarchia, in particolare durante la recente stagione indipendentista catalana, si è infatti manifestato come estremamente assertivo, trasformando re Filippo VI in un simbolo vivente della causa lealista e diventando una bandiera per tutti i nazionalisti, come gli elettori di Vox, che non intendono cedere di un millimetro alle richieste dei secessionisti e che anzi, vorrebbero revocare ogni autonomia già esistente. Non sorprende perciò che le due ultime visite del sovrano a Barcellona si siano trasformate in colossali boomerang, con oceaniche manifestazioni repubblicane e indipendentiste nelle strade della capitale catalana.

Come se non bastasse, le turbolente vicende fiscali dell’ex sovrano, tutt’ora vivente, Juan Carlos, hanno travolto il già precario prestigio della corte: accusato di aver incamerato numerose tangenti milionarie da governi stranieri (tra cui la discutibile monarchia saudita), l’ex re ha dovuto lasciare la Spagna per l’ex colonia della Repubblica Dominicana. Un esilio dorato che ha salvato per un soffio la monarchia, prossima alla caduta vista l’ostilità del parlamento, a maggioranza repubblicana e di sinistra. Eppure, a Filippo VI sarebbe riuscito il miracolo: la rottura col padre ed il suo allontanamento dalla famiglia reale, assieme all’atteggiamento fermo sulle posizioni anti-secessioniste, sarebbero riusciti infatti a salvare la popolarità della monarchia.

Secondo un sondaggio di Invymark uscito a Natale, se oggi in Spagna si tenesse un referendum tra monarchia e repubblica, i sostenitori della corona lo vincerebbero con il 54,3% dei voti; una percentuale che non fa certo dormire sonni tranquilli al palazzo della Zarzuela, ma che è sicuramente molto più rassicurante del bassissimo 34,3% dello scorso settembre, a scandalo in corso. Proprio il ruolo di unificatore della nazione sarebbe decisivo a favore dei Borboni, vista la preoccupazione di molti spagnoli di dover assistere alla disgregazione dello Stato se venisse a mancare anche quest’ultimo simbolo.

Belgio, Olanda e Lussemburgo

Simile, se vogliamo, la situazione in Belgio, dove la monarchia dei Sassonia-Coburgo-Gotha retta da re Filippo è rimasta l’ultimo baluardo dell’unità nazionale perennemente al centro delle dispute tra partiti centralisti valloni e partiti secessionisti fiamminghi. Il piccolo Paese del nord-ovest europeo, nel quale hanno sede, tra le altre cose, le principali istituzioni europee, si trova fin dalla sua nascita, nel 1831, al centro di numerosi rovesci politici dovuti alla sua natura di stato artificiale. L’elemento religioso che divide il nord fiammingo, più cattolico, dal sud tendente alle tradizioni laiche francesi, ha giocato un suo ruolo, facendo sì quasi paradossalmente che la monarchia fosse storicamente più popolare tra i fiamminghi che non tra la popolazione francofona della Vallonia, che pure ha rappresentato per quasi un secolo e mezzo l’élite politica dello stato.

Dopo la Seconda guerra mondiale, quando il Belgio nel 1950 decise di procedere ad un referendum tra monarchia e repubblica sul modello di quello italiano, furono proprio le Fiandre a votare a favore della corona, e la Vallonia a votare per la repubblica. Al contrario oggi le parti sembrano invertite, con la corona assunta a simbolo dell’unità nazionale contrapposta, anche qui, ai secessionismi, è oggi nella Vallonia francofona che re Filippo e la sua famiglia godono della maggiore simpatia tra la popolazione.

Il tutto, ça va sans dire, non senza scandali e trambusti, come ad esempio la questione della laicità dello Stato, emersa con la clamorosa abdicazione al trono di re Baldovino nel 1990, devoto cattolico, che compì tale scelta pur di non firmare la legge sull’aborto, o l’annosa questione, cara alle riviste scandalistiche, di Delphine Boel, figlia illegittima dell’ex re, l’ottantasettenne e tutt’ora vivente Alberto II, che solo dopo una lunga battaglia a suon di carte bollate e test del DNA si è deciso a riconoscere la paternità della figlia ed a farle conferire il rango di nobildonna tradizionalmente dovuto ai figli del sovrano.

Più tranquilla sembra invece la situazione per i reali dei confinanti Paesi Bassi. La casata d’Orange-Nassau gode di una buona popolarità nella progressista e liberale nazione nordeuropea: nel corso del Novecento la monarchia olandese ha infatti sempre mantenuto un ruolo assolutamente ligio alle sue prerogative, rimanendo un riferimento anche durante gli anni dell’esilio durante l’occupazione nazista dei Paesi Bassi. L’attuale sovrano, re Guglielmo IV Alessandro, in carica dal 2013, ha ereditato infatti la grande popolarità delle due sovrane precedenti: sua madre Beatrice, tutt’ora vivente, e sua nonna Giuliana.

Quest’ultima, regnante dal 1948 fino all’abdicazione del 1980, ha accompagnato il Paese dei tulipani negli anni della ricostruzione prima, e del grande boom economico poi, mentre la figlia, regnante dal 1980 al 2013, ha portato i Paesi Bassi al centro del processo di costituzione dell’Unione Europea e nell’epoca della globalizzazione. A dispetto da ciò che potrebbero pensare i cittadini di un paese repubblicano, la monarchia del Paese d’Orange è un’istituzione popolarissima, e sono centinaia di migliaia le persone che ogni 27 aprile si riversano nelle strade delle città olandesi per festeggiare il Giorno della Corona.

Secondo una ricerca Ipsos del 2018, infatti, oltre il 68% dei cittadini nederlandesi voterebbero per la monarchia ad un eventuale referendum che le contrapponesse la repubblica. Il ruolo prettamente formale e di rappresentanza, almeno in apparenza, della famiglia reale (quella olandese è una delle corone con meno poteri del mondo), contribuiscono molto alla popolarità della royal family di Den Haag, anche se recentemente sono emerse non poche polemiche in proposito dei larghi emolumenti di cui essa gode, in particolare per quanto riguarda i costosi hobbies, a spese dei contribuenti, della principessa ereditaria, la diciassettenne Caterina Amalia.

Piccoli problemi analoghi scuotono anche la vicina corte, peraltro strettamente imparentata con quella dell’Aia, di Lussemburgo. La casata dei Nassau-Weilburg di Lussemburgo, ramo cadetto collegato all’antica famiglia regnante del fu Ducato di Parma e Piacenza, è infatti al centro, non da oggi, di polemiche per quanto riguarda le spese destinate al proprio costoso stile di vita. Anche qui il ruolo del granduca Enrico è meramente pro-forma, ma in epoca di crisi economica e nonostante il piccolo stato incassato tra Francia e Germania sia tra i più ricchi del mondo, non molti lussemburghesi gradiscono i generosissimi emolumenti (nell’ordine di oltre undici milioni di euro all’anno) dovuti alla maison granducale. Tuttavia, secondo un sondaggio del 2016, il 70% dei lussemburghesi continua a supportare la casa regnante, vero (e forse unico) simbolo identitario del piccolo stato.

Le monarchie del nord

Per quanto riguarda le monarchie dei paesi nordici, tanto amate in patria quanto sconosciute all’estero, le cose non cambiano molto. In Danimarca, la casata reale degli Schleswig-Holstein-Sonderburg-Glücksburg, rappresentata dalla regnante regina Margherita II, che si fregia anche dei titoli di regina di Groenlandia e delle Isole Far Oer, è forse l’istituzione più popolare dello Stato. L’ottantenne sovrana, ascesa al trono nel 1972 alla morte del padre Federico IX, si avvicina al traguardo del mezzo secolo di regno circondata dalla fiducia della gran parte dei danesi. La monarchia del piccolo paese alle porte dalla Scandinavia, tra le più antiche d’Europa, ha una lunghissima storia, le cui radici affondano nell’epoca mitica dei sovrani vichinghi perennemente in lotta alla periferia settentrionale dell’allora Europa imperiale carolingia.

Erede diretta di re Gorm il Vecchio (primo sovrano danese storicamente accertato, regnante a metà del X secolo), la corona danese ha attraversato indenne tutte le tempeste della turbolenta storia europea, compresa l’occupazione militare del Terzo Reich, durante la quale, unico caso in Europa, l’allora re Cristiano X rifiutò di lasciare il Paese rimanendo a fianco dei suoi sudditi fino alla fine delle ostilità. La regina Margherita II, che in quanto sovrana è anche a capo della luterana Chiesa Nazionale Danese (cui aderiscono circa sette danesi su dieci), è una dei capi di stato più popolari d’Europa: il 75% per cento dei danesi afferma infatti di apprezzarne l’operato, nonostante le dure critiche espresse in più occasioni dalla sovrana in merito ad immigrazione ed integrazione dei musulmani radicali.

Più defilato è invece il ruolo ritagliatosi nel corso degli anni dal re di Svezia Carlo Gustavo XVI. La sua famiglia, il casato Bernadotte, ultima rappresentante delle monarchie napoleoniche installate dal Bonaparte durante le sue campagne europee, gioca da sempre un ruolo discreto nella politica dello stato scandinavo. Anch’egli vicino al traguardo del mezzo secolo di regno (è infatti asceso al trono nel 1973), interviene assai raramente nel dibattito politico svedese con l’eccezione, recentissima, di un commento critico riguardante la fallimentare -a suo giudizio- gestione dell’emergenza Covid-19 da parte del governo del suo Primo Ministro Stefan Löfven.

Come tutte le monarchie europee, anche quella che risiede al Kungliga slottet di Stoccolma è stata al centro di critiche per via della vita dispendiosa e di costi che il suo mantenimento comporterebbe per l’erario pubblico; critiche che hanno spinto Carlo Gustavo a rimuovere cinque suoi nipoti dai ranghi della famiglia reale, revocando tutti i loro appannaggi e riconoscendo loro il solo titolo di “privati cittadini”. Una decisione, questa, che ha fatto gioire molti repubblicani nel paese scandinavo, nel quale però il trono continua ad essere visto come forte simbolo nazionale: il 57% degli svedesi, secondo un sondaggio del giornale Expressen, continua infatti a dirsi monarchico.

Nella vicina Norvegia va ancora meglio per la monarchia dell’ottantaquattrenne re Harald V: ben l’80% dei norvegesi si dice monarchico, che scende al “solo” 69% nella capitale Oslo. Il ruolo della famiglia reale nella Seconda guerra mondiale, che pur essendo di origini tedesche ebbe un ruolo attivo nel supporto della resistenza antinazista, e la proverbiale giovialità dell’anziano sovrano, giocano molto a favore della popolarità della corona nel più occidentale paese della Scandinavia. Al contrario del suo collega svedese, e della riservatissima Elisabetta II del Regno Unito, Harald di Norvegia interviene invece molto di frequente riguardo alle tematiche politiche del suo Paese.

Contrariamente alla conservatrice sovrana danese, è un noto progressista che si è spesso trovato ad avere opinioni ben più liberali dei governi che si sono trovati a giurare davanti a lui nel corso degli anni. Ha espresso, in particolare negli ultimi anni, opinioni antirazziste ed a favore delle battaglie di rivendicazioni omosessuali, fatto che ha contribuito ad attirargli le simpatie anche delle forze politiche di sinistra tradizionalmente repubblicane. Una forte popolarità che nemmeno le frequentazioni della principessa Mette-Marit, moglie del futuro re Haakon Magnus con il discusso e suicida Jeffrey Epstein è riuscita ad intaccare.

Le monarchie sembrano quindi, almeno in Europa (ma c’è anche l’eccezione giapponese), godere di ottima salute e risultare molto più amate dai popoli dei quali si ritrovano alla testa rispetto a molti capi di stato repubblicani. Certo, il ruolo quasi sempre meramente pro forma e “di parata” ed il tour de force di attività benefiche cui si sottopongono aiuta molto le varie corone del vecchio continente a tenersi lontane dagli odii, ma anche quando, come nel caso belga e spagnolo esse devono attivarsi per la salvaguardia dell’unità nazionale come richiesto dal loro ruolo, sembrano riuscire a mantenere una certa popolarità.

Il tanto recente quanto comune exploit scandalistico a Buckingham Palace quindi non minaccia, ma semmai conferma la popolarità dell’antichissima istituzione monarchica, che riesce ad essere tanto popolare da far parlare di sé anche dove non regna. Se è dunque improbabile che moderni stati repubblicani possano diventare oggi monarchie, essendosi rotto quel filo che lega queste famiglie all’epoca pre-idelogica delle antiche dinastie, sembra però altrettanto improbabile che una qualsiasi di queste monarchie possa oggi diventare una repubblica, sancendo quasi, ancora una volta, la potenza ancestrale di simboli che benché ormai meri orpelli nel mondo moderno, non cessano per questo di esercitare un discreto eppure efficace potere.

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Marco Malaguti

Marco Malaguti

Marco Malaguti (Bologna, 1988), appassionato di giornalismo, filosofia e civiltà orientali, vivo, lavoro e studio a Bologna. Da oltre dieci anni collaboro con testate, blog e think tanks che raccontano la politica europea ed il panorama culturale attuale. Mi occupo prevalentemente di politica estera e dirigo il portale culturale Essenzialismi.it

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