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L’ultimo numero della rivista di Aliseo, dedicato al futuro degli Stati Uniti. 14 analisi per capire l’America, dalla geopolitica alla crisi interna

Dai Roaring Twenties alla Grande Depressione: il New Deal che salvò gli USA

Dai Roaring Twenties alla Grande Depressione: il New Deal che salvò gli USA

Esponente democratico, Roosevelt si impose con forza sull’avversario presidente uscente conquistando il 57% dei voti e vincendo in quarantadue stati. Il suo slogan principale recitava: “New Deal”. L’espressione venne mutuata dal linguaggio dei tavoli da gioco per indicare una nuova partita; in questo caso, un nuovo corso politico.

Il contesto storico

Ehi, hai fatto la guerra?
Sì. Come lo sai?
Ci sono stato anch’io. Siamo tutti uguali, non riusciamo a star fermi: abbiamo visto troppe cose, troppo sangue. Se credono che ora possiamo starcene seduti a rigirarci i pollici, sono pazzi.

Quaranta parole dal film “I ruggenti anni venti” per descrivere perfettamente l’aria che i giovani americani respiravano vivendo i Roaring Twenties. Fremito, vibrante impazienza e voglia di recuperare il tempo perduto imbracciando fucili in un continente straniero. Dopo la Prima Guerra Mondiale gli Stati Uniti d’America stabilirono con cristallina chiarezza il proprio posto nel mondo, salendo sul gradino più alto del podio della competizione politica ed economica grazie alla diffusione di una ruggente crescita economica.

L’Europa del tempo era ridotta ad un cumulo di macerie, devastata dalla guerra da ogni punto di vista: sociale, economico, demografico, politico. D’altronde quel conflitto fu molto diverso da quelli precedenti. Lo scontro intraeuropeo per l’occupazione delle ultime colonie, la competizione economica per primeggiare sui mercati mondiali in un mondo in cui l’internazionalità dell’economia stava bussando con veemenza alla porta, le tensioni suscitate dalla disgregazione dell’impero ottomano portarono inevitabilmente alla catastrofe. La Grande guerra comportò la morte, o la menomazione, di milioni di uomini e la distruzione dei sistemi socioeconomici coinvolti: essa non si concluse per meriti militari ma per il collasso socioeconomico dei paesi combattenti.

Le tecnologie più moderne permisero la produzione di armi ed equipaggiamenti in misura mastodontica, trasformando i sistemi produttivi e indirizzandoli pesantemente verso lo sforzo bellico, forse dimenticando che prima o poi la guerra sarebbe dovuta finire. Tralasciando gli aspetti più tecnici e meno interessanti delle specifiche situazioni dei paesi uscenti dal conflitto è possibile riassumere dicendo che essi si trovavano a dover sopravvivere in un contesto di iperinflazione, assenza di commerci internazionali e innegabile dipendenza dall’estero per assicurarsi il sostentamento.

Tutto questo avvenne in Europa, non in America. Il paese d’oltreoceano aveva da anni imboccato la via che l’avrebbe portato a conquistare il primato di potenza egemone (o quasi) mondiale e, come naturale in un contesto di politica internazionale, si inserì nel vuoto lasciato dalle zoppicanti potenze europee. Anche all’interno del paese la situazione risultava decisamente rosea. Le scoperte della seconda rivoluzione tecnologica (1870-1900 circa) cominciarono a diffondersi: gli americani cominciarono ad acquistare beni durevoli come elettrodomestici, automobili, frigoriferi, telefoni e contestualmente a migliorare sensibilmente la propria qualità di vita. Il clima di ottimismo e vitalità degli anni ’20 fu però interrotto bruscamente un martedì dell’Ottobre 1929.
In realtà, quello che venne ribattezzato Martedì Nero rappresentò la fase parossistica di una condizione di squilibrio che si protraeva da tempo.

Prima del New Deal: la Grande Depressione

Il sistema economico americano era afflitto da una serie di disfunzioni strutturali riguardanti la borsa ed il relativo sistema finanziario, ma anche il settore agricolo (principalmente quello del grano) e quello dell’industria. Non sarebbe troppo azzardato affermare che alla base di esse ci fosse principalmente l’estremo ottimismo del periodo. I titoli scambiati in borsa furono oggetto di sopravvalutazione a causa della fiducia di migliaia di individui nelle capacità di generare profitti del sistema finanziario, i quali crearono così un’immensa bolla speculativa.

Il settore agricolo si legò a doppio filo con quello della finanza poiché l’entusiasmo per la sfrenata crescita economica permise ai produttori di fare ricorso al credito per modernizzare le loro aziende e aumentare la produzione. Infine, il settore industriale, grazie alle conquiste tecnologiche del tempo, vide aumentare la produttività in larga misura ma tale aumento non si riflesse nell’aumento dei salari. Cosa significa tutto ciò? In mancanza dei partner commerciali (acquirenti) europei, che ricordiamo essere in condizioni di difficoltà, e del consumo dei cittadini americani, i quali cominciarono a scegliere cibi più succulenti del semplice pane, le derrate agricole rimanevano in larga parte invendute. Contestualmente, la sovrapproduzione industriale non riusciva ad essere assorbita dagli individui a causa del mancato aumento dei salari, ragion per cui i produttori diminuirono fortemente gli investimenti e spostarono le risorse nel rischioso mondo della finanza, alimentando ulteriormente una crescente bolla speculativa.

Nel momento in cui essa scoppiò, il 29 Ottobre 1929, furono offerti sul mercato circa 30 milioni di titoli che rimasero essenzialmente invenduti. La crisi nata nel settore finanziario si tradusse in crisi dell’economia reale attraverso il più classico dei meccanismi: in un contesto di incertezza le banche optarono per limitare l’erogazione del credito per mantenere le proprie riserve mentre gli individui si cominciarono a lanciare in una sfrenata corsa agli sportelli per ritirare i propri depositi. La diminuzione del credito e del denaro in circolazione comportò grandi difficoltà per le imprese, le quali si trovarono a dover abbassare i prezzi per riuscire a vendere in un momento storico simile. I fallimenti di banche ed imprese, il conseguente aumento della disoccupazione, la mancanza di risorse da spendere fecero il resto.

La risposta politica ed il New Deal

“La povertà sta scomparendo dal Paese.”

Con queste parole il neopresidente repubblicano Herbert Hoover inaugurava il suo mandato. Egli venne eletto nel Marzo 1929 in un clima di festoso entusiasmo poiché considerato un “Affarista” che di certo non avrebbe frenato in alcun modo la crescita del paese. In effetti la previsione non era affatto sbagliata. Hoover rappresentava il tipo umano che oggi spesso viene definito “Uomo del fare” ed era una figura conosciuta e stimata negli Stati Uniti dell’epoca. Costruì la sua fortuna economica nel business minerario in Cina e la sua credibilità politica con la nomina a direttore della “United States food Administration”, impegnata a fornire aiuti ai paesi europei. Di certo un uomo capace ma altresì molto sfortunato.

Lo tsunami della crisi di Wall Street travolse la sua amministrazione ad appena sette mesi dall’insediamento e fu una scintilla che permise sia all’opinione pubblica sia al dibattito accademico di criticare aspramente la gestione della crisi, nei fatti fin troppo liberista. Nel 1932, anno delle nuove elezioni presidenziali, l’economia americana si trovava ancora in estrema difficoltà e un candidato particolarmente capace sfruttò la situazione per la sua campagna elettorale: Franklin Delano Roosevelt.

Esponente democratico, Roosevelt si impose con forza sull’avversario presidente uscente conquistando il 57% dei voti e vincendo in quarantadue stati. Il suo slogan principale recitava: “New Deal”. L’espressione venne mutuata dal linguaggio dei tavoli da gioco per indicare una nuova partita; in questo caso, un nuovo corso politico. In effetti la gestione nel solco dell’ortodossia liberista non aveva dato i risultati sperati e Roosevelt intuì abilmente che dare vita ad una svolta sarebbe stata la scelta migliore per l’economia americana e per la sua carriera politica. È importante sottolineare in via preliminare che l’intervento statale nel sistema economico era mal visto ai tempi in America e che il nuovo presidente, presentando il suo programma, andò incontro a numerose critiche da parte dei suoi avversari che lo accusarono addirittura di piegarsi al comunismo. Ebbene, il New Deal rappresentava una palese svolta interventista che mirava a risolvere gli specifici problemi che attanagliavano l’economia.

Nei primi cento giorni del suo mandato vennero inviati numerosi disegni di legge al Congresso contenenti una serie di misure espansive finalizzate allo stimolo dei consumi, alla regolamentazione finanziaria e al sostegno all’agricoltura e all’industria. La portata del New Deal si può intuire semplicemente immaginando che, poco dopo l’insediamento alla Casa Bianca, Roosevelt dichiarò, nel paese che della finanza deregolamentata faceva suo miglior vanto, il famoso Bank Holiday, cioè la chiusura di tutte le banche per tre giorni (i quali in realtà diventarono cinque) al fine di frenare la frenesia dei clienti che da anni impediva il ripristino della fiducia nei confronti sistema.

Il neo-presidente, grazie alla sua intuizione e alle sue scelte, permise agli Stati Uniti di risollevarsi dall’abisso del ’29 e di mantenere la propria posizione di primaria importanza nel panorama mondiale. Di certo egli non condivideva l’ideologia comunista, né tantomeno era succube di quelle fascinazioni statalistiche e dirigistiche che proprio in quegli anni stavano prendendo piede nel mondo, eppure egli seppe porre nel reale quella famosa espressione che recita “Improvise, adapt, overcome”. Di improvvisazione ve ne fu probabilmente molto poca (i suoi consiglieri politici includevano numerosi accademici e figure di spicco della scena politica americana) ma le capacità di adattamento e di superamento di certo non mancarono. Di fronte a quella che fu la più grande crisi nella storia del capitalismo il paese d’oltreoceano, nella persona di Roosevelt, seppe guardare oltre e riconoscere nell’elasticità ideologica uno strumento politico utilizzabile per mantenersi in piedi e darsi la possibilità di guidare il mondo fino ai giorni nostri.

di Samuele Gualdaroni

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Foto in evidenza: “New Deal Memorial” by jimbowen0306 is licensed under CC BY 2.0

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Samuele Gualdaroni

Samuele Gualdaroni

Laureato in economia. Sono un consulente aziendale. Dopo aver fondato Aliseo, al suo interno mi sono occupato delle attività di account management e di gestione dei progetti. Politica, economia e gestione aziendale sono i miei campi di interesse

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