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Next Generation EU: indizi dal passato per il futuro dell’Italia

di Enrico Ceci
Cos’è questo Next Generation EU? Cosa si prefigge e con quali procedure? E soprattutto, quali sono le prospettive di utilizzo di uno strumento del genere per un paese come l’Italia con tutte le sue criticità?

Il 21 luglio, il Consiglio Europeo ha dato un volto ed un nome al piano di investimenti per rilanciare l’Unione Europea dopo la peggior crisi economica dal dopoguerra. Nei mesi precedenti a tale data, il dibattito politico italiano è stato caratterizzato da opinioni e giudizi sui meccanismi di funzionamento del futuro progetto per la ripresa e su come impiegare i fondi che sarebbero arrivati; ed alcuni, come il ministro degli esteri Luigi Di Maio auspicava una riduzione del pressione fiscale attraverso i fondi, hanno dimostrato una totale insipienza (più o meno volta a fini propagandistici) sulla natura del piano europeo che si prospettava.

Cos’è il Next Generation EU

Il Next Generation EU è piano di investimenti ambizioso, che rappresenta un potenziamento da 750 miliardi di € del quadro pluriennale finanziario da 1100 mld, per il periodo 2021-2027. L’obiettivo di riferimento del piano, i cui fondi verranno raccolti per la prima volta sul mercato dalla Commissione per conto dell’UE, è quello di dar vita ad “un’Europa più verde, digitale e resiliente”; e si prefigge di farlo intervenendo in maniera più incisiva nei prossimi tre anni, con l’idea di imprimere un vigoroso slancio iniziale, attraverso un piano articolato su tre pilastri: “Sostenere la ripresa degli Stati Membri”, “Rilanciare l’economia e sostenere gli investimenti privati” e “Trarre insegnamento dalla crisi”. All’interno del primo è bene soffermarsi sullo strumento denominato “Dispositivo per la ripresa e la resilienza” (DRR), perché esso raccoglie 672,5 mld di € (circa il 90% del totale), con prestiti per 360 mld di € e sussidi per 312,5 mld di €, e perché i meccanismi di attribuzione dei fondi assumono grande rilievo se considerati rispetto alle innumerevoli criticità del nostro paese, anche nella gestione dei fondi europei.

Come è possibile leggere nelle conclusioni del Consiglio Europeo, ogni stato membro dovrà preparare dei piani di ripresa nazionali che raccolgano le riforme e gli investimenti per il periodo 2021-2023. I piani, che dovranno seguire le raccomandazioni specifiche per paese inserite nel “Semestre Europeo” del 20 maggio, verranno valutati dalla Commissione Europea entro due mesi dalla loro presentazione, rivisti e adattati, se necessario, nel 2022 in previsione dell’allocazione finale dei fondi per il 2023. I piani saranno sottoposti all’approvazione a maggioranza qualificata del Consiglio, su proposta della Commissione, una volta che questa sarà stata revisionata dal Comitato economico e finanziario. Qualora altri stati membri dovessero ravvisare delle divergenze dagli obiettivi di riferimento, questi potranno sottoporle all’attenzione del Presidente del Consiglio Europeo che li renderà noti al Consiglio Europeo più prossimo.

Per quanto concerne, invece, tempi e proporzioni di prestiti e sussidi, il programma prevede che il 70% dei sussidi forniti dal DRR venga impegnato negli anni 2021 e 2022, e il rimanente 30% entro il 2023. Inoltre, è previsto un prefinanziamento, entro il 2021 pari, al 10%. Per i prestiti invece, verrà attribuito un ammontare pari al 6,8% del reddito nazionale lordo (RNL), la restituzione dei quali inizierà dal 2026. Come è possibile capire, il piano prevede un iter di attribuzione secondo certe quote, costituito dall’analisi di investimenti in grado di soddisfare dei precisi requisiti (ed una riduzione della pressione fiscale à-la-Di Maio, non rientra certamente tra le manovre contemplate da tale piano).

Il Next Gen per l’Italia?

Il Next Generation EU testimonia la volontà di perseguire la tanto agognata coesione che da anni si rimprovera all’UE di non avere e la consapevolezza di non poter ignorare le sfide globali che dovranno essere fronteggiate negli anni a venire. L’Italia riceverà 208,8 mld sotto forma di sussidi (81,4 mld a fondo perduto) e prestiti (127,4 mld che dovremo restituire) e questo piano potrebbe finalmente rappresentare la spinta per attuare tutte quelle riforme di cui il paese necessita da decenni e che vengono da rinviate. Dopo tre decreti per contrastare le crisi con misure come l’ennesima iniezione di capitale ad Alitalia (Decreto Rilancio) o la proroga della CIG (tentativo all’italiana di rimandare l’inevitabile), per non parlare dell’aumento delle pensioni d’invalidità presente nell’ultimo Decreto Agosto, forse la presenza di una procedura vincolante esclusivamente finalizzata alla realizzazione di investimenti  e riforme strutturali, potrebbe essere un argine a spese che rappresentano solo uno sperpero di soldi pubblici volto esclusivamente all’acquisizione di consenso.

I dati italiani sull’utilizzo
dei fondi europei destinati a regioni e ministeri, e sul numero di opere
incompiute (strade, edifici, ferrovie, ecc….) potrebbero lasciare più di un
dubbio, riguardante non tanto la questione di un lungimirante uso delle
risorse, quanto un problema preliminare, ossia la capacità del loro effettivo
utilizzo.

Se si guardano i finanziamenti dei Programmi operativi regionali e nazionali (Por e Pon), oltre 38 mld, coperti per una gran parte (circa 30 mld) dal Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr) e Fondo sociale europeo (Fse) per il periodo 2014-2020, emergono delle perplessità riguardanti la velocità di impiego dei fondi da parte dei ministeri e delle regioni. Infatti, se da un lato tutti i 51 programmi operativi regionali e nazionali hanno raggiunto l’obiettivo di spesa del 2019, pari a 15,2 mld, evitando il disimpegno automatico che implicherebbe la cancellazione delle risorse non spese in tempo, dall’altro bisognerà ultimare l’impiego delle risorse, oltre 23 mld, entro il 2023 (la metà del precedente arco temporale), per rimanere in linea con la regola conosciuta come N+3, che prevede l’utilizzo dei fondi entro tre anni dall’impiego a bilancio. Tutto ciò implica un’accelerazione della spesa da parte delle amministrazioni regionali e ministeriali, che alla luce dei dati sembra poco verosimile. Le regioni più virtuose sono Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna, Toscana e Friuli-Venezia Giulia, mentre quelle meno virtuose sono Basilicata, Calabria, Puglia e Campania (piove sul bagnato verrebbe da dire). I tre programmi ministeriali, Pon Imprese e competitività (Mise), Pon Inclusione (Ministero del Lavoro) e Pon Legalità (Ministero dell’Interno) risultano i peggiori.

Le statistiche sulle opere pubbliche incompiute offrono un quadro piuttosto desolante. I dati del 2018 (i più recenti, pubblicati a metà 2019) mostrano che il numero di opere incompiute era pari a 546 (meno 101 rispetto alle 647 del 2017) e che per completarle serviranno quasi 2 mld di €. La regione con il maggior numero di opere incompiute è la Sicilia con 154 opere incompiute (oltre un quarto del totale nazionale) per un importo di quasi 500 mln di €, più basso soltanto di quello della Puglia pari a poco più di 1 mld (piove ancora sul bagnato) e del MIT (Ministero delle Infrastrutture e Trasporti) pari a 1,470 mld di €.

Considerati questi dati e rapportati alle finalità dei fondi europei ed ai loro vincoli temporali, la fiducia sulla sola capacità di impiego delle nostre istituzioni non può far altro che vacillare. Ovviamente, si potrebbe obiettare che la situazione straordinaria potrebbe indurre il governo, attraverso i suoi ministeri, ad avere il coraggio e la volontà politica di compiere uno sforzo altrettanto straordinario, con scelte e tempi di attuazione senza precedenti, ma questo solo il tempo potrà dircelo. Sottraendosi dall’operare valutazioni sull’orientamento delle future scelte di governo, ma limitandosi ad una sui modi e tempi di attuazione delle stesse, il problema che sembra richiedere più urgentemente un intervento incisivo è quello della capacità di impiego dei fondi, perché senza una svolta in questi ambiti, la questione dei prossimi due anni non sarà cosa fare con i soldi ricevuti dall’Unione Europea, perché i soldi non ci saranno.

di Enrico Ceci

Enrico Ceci

Ciao, sono Enrico e sono capo redattore della sezione economia per Aliseo. Classe '95, laureato in economia e in studi europei. Nei miei articoli, legati principalmente a temi economici ed energetici, cerco di offrire un punto di vista diverso, sempre e solo attraverso il supporto dei dati.
Seguendo lo spirito di Aliseo, il mio intento è arricchire tutti coloro che dedicheranno un momento del loro tempo alla lettura dei miei contributi.

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