Gel esplosivo e ruspe, ma anche cani. Come l’Idf sta smantellando la rete di tunnel di Hamas
I soldati di Israele la chiamano la “metro di Gaza”. È la rete di tunnel che si estende per centinaia di chilometri, come un’immensa metropolitana, sotto la Striscia. È il principale nascondiglio delle milizie di Hamas, e Israele sta facendo tutto quanto è possibile per distruggerla.
Si tratta di una struttura ampia e capillare, di cui non si conosce la precisa lunghezza o il posizionamento, costituito da una miriade di cunicoli e passaggi. Sia la larghezza che la profondità di tali costruzioni varia molto in base alla zona e all’utilizzo che Hamas ne ha fatto. Si passa da strette aperture nel terreno che contengono pochi uomini fino ai tunnel maggiori, che permettono il transito di camion, veicoli da lavoro e altra attrezzatura militare.
Bisogna pensare a una struttura di centinaia di chilometri in un territorio lungo appena 41. Il New York Times ha stimato che la costruzione di un solo chilometro costa circa un milione di dollari. Non a caso una delle prime accuse rivolte ad Hamas dalla comunità internazionale, e in particolare da Israele stesso, è di aver utilizzato i fondi degli aiuti internazionali per scopi militari invece che a sostegno della popolazione.
Il tunnel più grande individuato da Israele, per dare un’idea, è lungo più di quattro chilometri e si estende a una profondità di 50 metri. Alto e largo tre metri, è collegato perfettamente alla rete elettrica.
I tunnel di Hamas: la “metro” di Gaza
Quella tra Israele e Hamas è stata fin da subito una guerra asimmetrica. L’organizzazione ha colpito senza intenzione di occupare terreno, per poi ritirarsi nella rete della “metro”. Dal primo giorno di operazioni, l’Idf (Israel Defense Forces) ha dovuto scovare le entrate dei tunnel, ponendosi il problema di come gestirli.
Durante l’operazione “Margine di protezione” del 2014, combattuta sempre contro Hamas, Israele aveva già fatto i conti con questa strategia. Si parlava di “secondo piano della Striscia”, così esteso da aver minato la stabilità del terreno.
Omri Attar, che al tempo comandava la Brigata 261, ha raccontato che se avessero provato a demolire i tunnel “l’intera Gaza City sarebbe sprofondata e così altre città della Striscia, in particolare Rafah e Khan Yunis, tutte zone dove abbiamo operato”. Per questo si era deciso di distruggere quanti più ingressi possibile.
Da questo deriva la prima necessità strategica di Israele: avere la propria fanteria sul campo. Senza questa condizione, è impossibile non solo individuare gli ingressi, ma anche renderli inutilizzabili. Questo ha spinto il Governo di Netanyahu a occupare militarmente la Striscia e ad impegnare uomini e risorse in grande numero.
Attar ha spiegato che “L’operazione è molto complicata perché non può essere fatta dall’aviazione ma solo dalle truppe sul terreno. I raid possono bombardare alcune postazioni ma poi si deve esplorare il campo centimetro per centimetro.”
Il più delle volte, allora come oggi, tali ingressi sono chiusi con trappole esplosive.
L’altra conseguenza è che non si è mai al sicuro. Anche zone che sembrano deserte possono nascondere un sotterraneo, da cui i miliziani di Hamas emergono per colpire i soldati dell’Idf, spesso con Rpg.
Dal 2014, inoltre, Hamas ha rafforzato la rete, scavando più in profondità e migliorando impianti idrici, elettrici e soprattutto d’aerazione. Proprio questi ultimi sono un utile indizio per l’Idf nell’individuare i tunnel.
Se Hamas ha potenziato le proprie infrastrutture, anche l’Idf ha cercato nuovi metodi per superare l’ostacolo della metro. Il primo è proprio individuare le ventole dell’aerazione, che giocoforza devono essere a livello del terreno.
Il ricambio d’aria è essenziale, soprattutto per aspirare l’ossido di carbonio che i mezzi motorizzati producono muovendosi nelle gallerie.
Malgrado siano sempre ben mascherate, lo stesso Attar ha dichiarato che la maggior parte dei tunnel è stata localizzata una volta scoperti i condotti per l’aria. Tuttavia, il miglioramento tecnologico che lo stesso Hamas ha dichiarato rende questa strada meno percorribile.
Altri luoghi che vengono sempre battuti dalle truppe dell’Idf sono le strutture civili. Hamas, come spesso è stato ripetuto dalla propaganda israeliana, non si fa problemi a nascondere le entrare delle gallerie nelle scuole, sotto gli ospedali, perfino in uno zoo.
Dagli esplosivi all’allagamento: le soluzioni dell’Idf
Una volta che le truppe hanno preso controllo di una zona, intervengono ruspe e bulldozer per spianare il terreno e cercare eventuali ingressi ai tunnel. Raramente i soldati dell’Idf entrano nelle gallerie, poiché sarebbe troppo pericoloso. Dato che sono scarsamente mappati e non si conosce la loro estensione, il vantaggio sarebbe tutto dalla parte di Hamas.
Fonti ufficiali israeliane hanno postato un video dove questa procedura è evidente. Soldati dell’Idf utilizzano mezzi pesanti per allargare una spaccatura nel terreno, facendo emergere uno stretto pertugio in calcestruzzo.
A questo punto subentra il problema degli ostaggi. La tecnica delle truppe israeliane prevederebbe l’uso di gel esplosivo che faccia saltare in aria l’ingresso e buona parte della galleria. Questo presenta l’indubbio vantaggio di diffondersi senza la necessità di un operatore umano che lo distribuisca.
Per far esplodere un tunnel servono tonnellate di gel, rilasciato e fatto esplodere grazie a tecnologie specifiche, attivate sempre da remoto. Il rischio di coinvolgere anche gli ostaggi è però troppo alto, dunque l’Idf deve passare attraverso una fase cosiddetta di “bonifica”.
Vengono impiegati dei robot localizzatori che entrano nelle gallerie e verificano la presenza di esseri umani. Spesso, infatti, i tunnel sono già stati evacuati, e dunque è possibile procedere senza ulteriori analisi. È ovvio, però, che questi controlli in tunnel bui abbiano diverse criticità e portino via molto tempo ai genieri di Israele. Non sono però l’unico problema etico che il governo di Tel Aviv deve affrontare.
Si tratta forse dell’idea più spontanea, e a cui l’uomo ricorre da più tempo, quando il nemico si nasconde in un luogo sotterraneo. Malgrado iniziali smentite e il divieto di discuterne imposto ai media del Paese, Israele ha dovuto confermare le indiscrezioni riportate dal Wall Street Journal su tentativi di allagare i tunnel.
Le stesse Idf hanno dichiarato che gli ingegneri hanno lavorato a strumenti per pompare acqua nelle gallerie. Vista la vicinanza del mare, infatti, in linea teorica non sarebbe difficile allagare i tunnel, distruggendo senza rischi tutto quello che si trova all’interno.
È facile immaginare il motivo delle iniziali smentite. Se prima di applicare il gel esplosivo è possibile effettuare controlli, l’allagamento da pozzetti e tubi d’aerazione appare più pericoloso e indiscriminato.
Israele ha dichiarato di non aver allagato tutti i tunnel scoperti, ma si è sempre rifiutata di fornire ulteriori indicazioni. Ai giornalisti è stato più volte ripetuto che, prima di attivare le pompe, vengono effettuati “controlli professionali e completi”. Difficilissimo per fonti indipendenti verificare questa informazione.
Malgrado possa sembrare meno importante rispetto alla perdita di vite umane, va considerato anche l’aspetto ecologico della questione. Anche su questo le forze israeliane hanno dichiarato che svolgono continui controlli, ma l’impatto ambientale rimane comunque importante
Dall’intelligenza artificiale alle unità cinofile, i tunnel di Hamas reggono la prova
All’Idf rimangono altri due metodi per stanare e eliminare la metro. Il primo, un vero e proprio ritorno al passato in una guerra che raccontiamo come iper-tecnologica, sono i cani. Si tratta dell’’unità cinofila Oketz, che era già intervenuta dopo il 7 ottobre per limitare i danni provati dalle bombe inesplose.
Oketz in ebraico significa pungere, e i componenti dell’unità si sono addestrati a lungo in un complesso di tunnel ricreato a Negev. Si utilizzano pastori tedeschi, belgi e olandesi, considerati i cani più intelligenti e con il naso migliore per questo tipo di operazioni.
Accompagnatori e cani sono sottoposti a esami rigorosissimi, e tutto l’addestramento ruota attorno al creare un legame uomo-animale inscalfibile. Cani troppo apatici, troppo distratti dal cibo o da altri animali vengono scartati.
Anche per motivi etici e le pressanti campagne animaliste, questa forza è stata tenuta segreta a lungo. È nata nel 1948 sulla scia dell’Haganah, unità cinofila usata dagli inglesi durante il mandato britannico. Smantellata per qualche anno, è stata ricomposta nel 1974, ma solo negli anni ‘80 è stata resa nota.
I cani sono addestrati non solo per scovare gli esplosivi, ma anche pozzetti, entrate e ventole d’aerazione dei tunnel. Non ci sono dati certi sull’efficacia di questa pratica, ma in un altro video diffuso dall’Idf, si mostra la visuale di una body cam installata su un pastore tedesco che trova ed esplora un tunnel nella zona di Issa, a Gaza city.
Malgrado non possa essere verificato ulteriormente, si tratta di un documento importantissimo, che mostra la struttura dei tunnel, gli interni, i collegamenti elettrici e così via.
L’ultima risorsa messa in campo da Israele è invece in linea con quella guerra moderna che immaginiamo. L’Idf ha annunciato di aver messo a punto un sistema basato sull’intelligenza artificiale che permette di individuare i tunnel partendo da migliaia di immagini, video, audio e scansioni radar.
L’idea è quella di una “macchina del tempo” che permetta di mandare “in rewind” gli eventi. Grazie a potentissimi server e alla supremazia aerea israeliana, è possibile immagazzinare decine di migliaia di dati provenienti da tutta la striscia.
Molto utile in tal senso è l’aereo Gulfstream Oron, una macchina semplicemente impressionante. Costa 400 milioni di dollari ed è dotato delle più moderne tecnologie di IA, fotocamere e sensori radar. È in grado di mappare una zona di svariati chilometri, registrando uomini, spostamenti, mappe termiche e così via.
Tutti questi dati, uniti a immagini satellitari e informazioni ricevute dalle truppe sul terreno, vengono analizzati partendo da un evento scatenante, come il lancio di un razzo. Per fare un esempio, quando viene condotto un attacco con Rpg come quelli raccontati prima, il software analizza a ritroso i movimenti in quella zona, ricostruendo gli spostamenti dei miliziani di Hamas fino a dove è possibile.
A quel punto, si individua una zona più circoscritta, dove si pensa che possano trovarsi gli ingressi. Si torna dunque all’atavico problema: malgrado questo dispiegamento incredibile di tecnologia, sono le truppe a piedi che dovranno mettere in sicurezza la zona, intervenire con le ruspe e il gel esplosivo.
Ancora una volta, dunque, siamo di fronte a una guerra moderna, ma in cui il fattore umano è determinante. E la presenza di ostaggi, di imboscate e di una campagna mediatica che sembra persa fin dall’inizio impantana Israele in un conflitto di cui non si vede una fine vicina. L’inizio delle operazioni a Rafah non sembra in grado di avvicinare la fine della guerra.
Impossibile immaginare che la rete venga smantellata del tutto, anzi. Pare che circa l’80% della rete sia ancora utilizzata da Hamas, malgrado tutti gli sforzi delle forze israeliane. A questo si deve sommare anche il ritiro di diverse unità israeliane dalla Striscia di gaza. La metro, per il momento, sembra aver resistito alla prova.
Foto in evidenza: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:106162_kidnapped_square_-_hamas_tunnel_performance_PikiWiki_Israel.jpg by ליזי שאנן
nell articolo: 1) by Israel Defense Forces https://www.flickr.com/photos/idfonline/14500098429
2) by Israel Defense Forces https://www.flickr.com/photos/idfonline/52602042871/