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Perchè l’Italia non può dimenticarsi dei Balcani

I Balcani sono una delle frontiere geopolitiche "obbligate" di Roma. Anni di latitanza hanno però lasciato spazio a nuovi e audaci attori

L’Italia nutre da sempre una certa fascinazione per i Balcani, più per vicinanza geografica che culturale, fatta forse eccezione per le mescolanze etnico-linguistiche in Slavia friulana e Venezia-Giulia[1]. I Balcani sono il nostro estero vicino: impossibile non interessarsene, poiché sarebbe un grave errore strategico. Farsi sfuggire le opportunità economiche e ridurre la propria presenza nell’unico spazio ancora europeo dove esiste ancora un certo margine potrebbe non essere la migliore scelta per l’Italia.

Nel Concetto Strategico del Capo di Stato Maggiore della Difesa del 2022, viene enunciato che “nei Balcani incrementeremo il nostro sforzo e il consolidato sostegno all’azione della Comunità Internazionale volta a contenere le tensioni etnico/politiche e favorire l’inclusione della regione nello spazio di sicurezza europeo e atlantico[2]. E basta? Verrebbe da chiedersi.

Se da un lato è vero che l’Italia è ancora in prima fila quanto a personale militare impiegato in missioni a vario titolo, principalmente in Kosovo, Albania e, in maniera solo marginale in Bosnia-Erzegovina, dall’altro lato, fatta eccezione per gli sporadici impegni internazionali sotto l’egida della Nato[3], è evidente che, nonostante la presenza fisica, l’influenza italiana nei Balcani sembra essersi avviata verso un inevitabile tramonto.

L’Italia e le sue frontiere “obbligate”

L’Italia geopolitica e strategica è in difficoltà, poiché non solo non riesce ad ampliare gli spazi in cui esercitare la sua “naturale” influenza, ma stenta addirittura a mantenere una presenza indipendente (cioè non necessariamente inquadrata in missioni sovranazionali) nelle regioni di prossimità geografica. La geopolitica italiana è in un certo senso imposta, condizionata inevitabilmente dalla sua geografia.

È impensabile che l’Italia riesca ad avere un qualche tipo di influenza nei Paesi che la circondano a nord: la Francia è spesso nostra diretta concorrente nel Mediterraneo. Per quanto riguardo la Svizzera, al di fuori della comunanza linguistica con il Ticino e la collaborazione tra forze dell’ordine non c’è molto se non una frontiera da ridisegnare ogni tanto a causa del naturale mutamento dei confini naturali. Stesso discorso vale per l’Austria: non solo non l’Italia non riesce ad esercitare alcun tipo di influenza, ma al contrario ha subito in passato le provocazioni di alcuni esponenti austriaci pronti a strizzare l’occhiolino ai tedescofoni del Trentino-Alto Adige[4]. L’Italia deve allora necessariamente rivolgere lo sguardo al Mediterraneo e ai Balcani.

Dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, le politiche energetiche tedesche – e conseguentemente quelle europee – sono dovute mutare radicalmente e l’Italia, mancando di centrali nucleari e di grandi giacimenti di carbone, si è dovuta affrettare a cercare nuovi approvvigionamenti, nella speranza che nel frattempo il nuovo governo (o quelli che gli succederanno), pensi ad un serio piano di sovranità ed indipendenza energetica. Si è allora naturalmente rivolta verso l’Algeria, che grazie al già esistente Transmed (anche conosciuto come “gasdotto Enrico Mattei”) riuscirà a fornire alla nazione circa 30 miliardi di metri cubi di gas annui.

Le relazioni tra Algeria e Italia sono buone fin dalle vicende dell’indipendenza algerina, quando l’Italia, per interposta persona grazie ad Enrico Mattei, finanziava abbondantemente l’Fln (Front de Libération Nationale), che la ricompensò con innumerevoli e vantaggiosi accordi economici[5]. Esempio di una scommessa geopolitica riuscita, laddove i recenti accordi con l’Algeria sono frutto quasi interamente dei ricordi positivi dell’Italia durante la guerra d’indipendenza e del rancore algerino nei confronti della Francia più che di una consistente e positiva influenza dell’Italia contemporanea. Certo, l’Algeria porta avanti un progetto di definizione di Zee (zona economica esclusiva) contestato dall’Italia, ma le relazione permangono solide e migliori rispetto a quelle intrattenute tra Algeri e Parigi.

L’altro grande Paese in cui l’Italia esercitava influenza e che ha probabilmente definitivamente perso è la Libia. Dopo l’intervento francese compiuto in totale autonomia (probabilmente la Francia credeva di imporsi velocemente e di impadronirsi a medio termine dei giacimenti petroliferi libici), seguito da quello inglese (per lo stesso identico motivo), si è voluta mascherare la rivalità tra Stati europei (principalmente Italia, Francia e Inghilterra) trasformando l’azione autonoma in operazione militare internazionale sotto l’egida della Nato e delle Nazioni Unite.

Come risultato, l’Italia è stata letteralmente spazzata via dalla sfera d’influenza libica e relegata oggi a sostenitrice del Nuovo Congresso Nazionale Generale (che controlla la capitale Tripoli e i territori ad ovest del Paese), cioè il governo sostenuto da Nazioni Unite, Unione Europea, Qatar, Turchia ed Iran e contrapposto alla Camera dei Rappresentanti, il governo di Benghazi che controlla tre quarti della Libia e appoggiato da Francia, Russia, Emirati, Egitto ed Arabia Saudita[6].

Guardare ai Balcani: per l’Italia una scelta obbligata

Non rimane altro “sbocco naturale” per l’Italia geopolitica che quello rappresentato dai Balcani, regione in cui l’Italia sta perdendo molta influenza. Se gli attori coinvolti nei Balcani sono davvero molti, lo scenario principale è quello di una rivalità tra Turchia e Germania per vecchi e nuovi interessi, a cui si aggiungono Russia, Cina e Israele. L’Italia arretra anche nei pochi posti dove era presente in forze, come Albania e Kosovo (in cui Roma mantiene il comando della Kfor unicamente per volere degli Stati Uniti).

A seguito dell’indipendenza di Slovenia e Croazia (immediatamente riconosciute dalla Germania[7] e dall’Austria) e nonostante qualche rimasuglio di cultura italiana grazie alle minoranze etnico-linguistiche dell’Istria, i due Paesi sono stati immediatamente fagocitati nello spazio geoeconomico tedesco, da un lato accaparrandosi i prodotti delle aziende ex-jugoslave e dall’altro diventando punto di riferimento per l’emigrazione balcanica. Basti pensare che la maggior parte dell’emigrazione qualificata e non qualificata dai Balcani ha come punto di arrivo la Germania e che in Bosnia più di un giovane su due vorrebbe lasciare il Paese.

L’Italia ha perso sul nascere la possibilità di inserirsi nel suo estero vicino come attore in grado di difendere i propri interessi. Inoltre, dopo la guerra in Bosnia-Erzegovina, il cui risultato è stato quello di replicare le tensioni jugoslave, la Penisola ha partecipato con varie missioni al mantenimento degli accordi di Dayton, ma il vero risultato è che è rimasta a guardare altri Stati spartirsi le rispettive zone d’influenze in base all’orizzonte culturale delle popolazioni locali: i bosgnacchi indecisi tra religiosità indipendente e attrazione per gli investimenti turchi (basti pensare ad Erdogan che concluse la sua campagna elettorale nell’ormai mono-etnica Sarajevo[8]) e le minoranze cattoliche dell’Erzegovina impegnate a non perdere i legami con la Croazia e desiderose di far parte dell’Unione Europea e i serbi di Bosnia saldamente legati alla Serbia, quindi indirettamente alla Russia.

Nonostante ciò, è in Albania che si sta scrivendo uno dei capitoli più importanti della competizione tra medie potenze nei Balcani, ma non sembra che  l’Italia se ne sia accorta. La Germania, refrattaria da sempre all’ingresso dell’Albania in Unione Europea a causa della scarsa affidabilità della leadership politica e della scarsa crescita economica, si è data un gran da fare per aiutare il Paese di Edi Rama a rinnovare (o per meglio dire, per costruire da zero) le sue infrastrutture, nell’ottica di ampliare la sua sfera d’influenza nei Balcani, dopo aver constatato l’efficacia della medesima strategia in Slovenia, Croazia e parti della Bosnia.

Anche l’Iran è arrivato in Albania, principalmente per cercare di danneggiare il Mek, “Mojahedin del Popolo Iraniano” (una formazione islamo-marxista che vuole il rovesciamento del regime degli ayatollah di Teheran e che ha installato una sua base in Albania) con continui attacchi informatici anche di grandi entità alle infrastrutture albanesi come rappresaglia; ed Israele che giunge in soccorso dell’Albania in chiave anti iraniana.

Infine, sarebbe quasi inutile menzionare la Turchia, che sulla scia della politica neo-ottomana promossa da Erdogan punta a riconquistare, almeno culturalmente, i territori appartenuti alla Sublime Porta, in particolare quelli in cui sono presenti i musulmani, come Albania, Kosovo e Bosnia. Insomma, i Balcani brulicano di Stati intenti a ritagliarsi spazio, e a (re)inventare sfere d’influenza, mentre l’Italia continua a guardare.


[1] https://www.esteri.it/mae/resource/doc/2021/09/osservatorio_balcani_e_caucaso_le-comunita-italiane-nei-balcani-storiarecente-e-nuovetraiettorie.pdf

[2]https://www.difesa.it/SMD_/CaSMD/Concettro_strategico_del_Capo_di_SMD/Documents/CS_22/Concetto_Strategico_del_CaSMD_2022.pdf

[3] https://documenti.camera.it/Leg18/Dossier/Pdf/DI0293.Pdf

[4] https://www.secoloditalia.it/2018/09/alto-adige-tensione-tra-italia-e-austria-durissima-nota-della-farnesina/

[5] https://baldi.diplomacy.edu/diplo/texts/cantini_Mattei_IT.pdf

[6] Delanoë I., Hedjazi N., La Libye : une crise à la croisée des ambitions globale et régionale de la Russie, Hérodote, 2021/3, n°118, p. 129-147.

[7] https://apnews.com/article/f07f4162e6bb20a7039c69d10e526a62

[8] https://www.euractiv.com/section/global-europe/news/erdogan-holds-controversial-election-rally-in-bosnia/

Foto in evidenza: Allions – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=80487069

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