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Perché Polonia e Ungheria hanno vietato le importazioni di grano dall’Ucraina

Polonia, Ungheria e Slovacchia vietano l'import di cereali ucraini, causa dell'aumento dei prezzi e di proteste diffuse degli agricoltori.

Lo scorso 15 aprile, la Polonia ha unilateralmente deciso di fermare le importazioni di grano proveniente dall’Ucraina. La decisione, presto accolta anche dall’Ungheria, segue tenaci proteste da parte dei sindacati agricoli polacchi contro la politica agraria di Varsavia. La Slovacchia ha successivamente comunicato la volontà di procedere allo stop del transito di prodotti agricoli attraverso il proprio territorio; mentre Romania e Bulgaria hanno espresso simpatia verso l’azione dei vicini mitteleuropei.

I motivi dello stop al grano dall’Ucraina

Il malcontento dei produttori agricoli dell’Europa orientale è dovuto all’afflusso dei prodotti agricoli ucraini nei mercati nazionali europei, causa di una flessione dei prezzi insostenibile per i contadini locali. Tale situazione è stata propiziata dalla scelta comunitaria europea di costituire delle Solidarity Lanes per aiutare l’Ucraina ad esportare i propri prodotti, specie derivanti dal settore primario. Queste “corsie della solidarietà” interessano particolarmente i confini terrestri con Polonia, Ungheria e Slovacchia e le rotte marittime con Romania (porto di Costanza) e Bulgaria.

Da inizio anno i cinque Paesi hanno evidenziato le loro preoccupazioni riguardo l’afflusso di beni dall’Ucraina che, anziché transitare nelle suddette nazioni verso altri lidi, spesso saturano i loro stessi mercati interni. I primi malumori furono però avvertiti già a settembre, quando l’Alleanza rumena per l’agricoltura e la cooperazione avvisò riguardo gli scarsi controlli effettuati al porto di Costanza, per cui ingenti quantità dei prodotti importati vennero immessi nel mercato rumeno.

Al termine del raccolto, la domanda interna sarebbe stata soddisfatta dai cereali ucraini, provocando un crollo dei prezzi e dei volumi scambiati dai produttori rumeni. Inoltre, la necessità di trasporto dei beni ucraini avrebbero determinato un aumento dei costi di produzione delle derrate alimentari locali.

Le conseguenze del fenomeno sono state ben esemplificate dalle veementi proteste degli agricoltori polacchi, i quali hanno manifestato conducendo trattori ed altri mezzi per le strade delle città del Paese baltico. La sollevazione, durata una settimana, ha portato alle dimissioni del ministro dell’Agricoltura Henryk Kowalczyk il 5 aprile. Dietro l’attendismo del governo di Varsavia vi sarebbero stati interessi politici ed economici nella vendita delle derrate ucraine nel mercato locale, oltre all’apparente incapacità di contrastare la decisione della Commissione europea di estendere l’esenzione dei dazi fino al 2024.

La posizione dell’Unione Europea

Lo stop delle importazioni di cereali ucraini sarebbe in contravvenzione con la Politica agraria comune (PAC). In vigore dal 1962, essa demanda la competenza delle politiche agrarie alla sola Unione Europea. Polonia ed Ungheria (e Slovacchia) potrebbero quindi essere citate a giudizio dalla Corte europea di giustizia. Questa soluzione sembra però essere lontana dalla realtà, in quanto potrebbe minare l’unità europea nel supporto alla causa ucraina.

La PAC prevede, oltre ad una serie di sussidi destinati agli agricoltori, l’imposizione di un prezzo artificialmente alto per i prodotti importati da Paesi non-membri, tramite l’implementazione di tariffe e dazi. Tale politica, pensata per proteggere i produttori interni all’Unione e innalzare i prezzi globali delle derrate, è stata interrotta nel legame bilaterale tra Unione Europea ed Ucraina, per favorire il transito dei cereali ucraini attraverso i territori dell’Unione.

L’Ungheria, preventivando la risposta e le critiche di Bruxelles, ha giustificato la propria azione additando come principale motivo la contaminazione da tossine nei cereali importati, facendo prevalere la sanità pubblica nazionale sulle normative comunitarie sul libero commercio. Affermazioni che fanno eco alle controparti sindacali di Polonia e Romania, che pure avevano lamentato scarsi controlli delle derrate importate e la presenza di valori alterati rispetto a quelli regolamentati dalle norme comunitarie.

La decisione unilaterale polacca, ungherese e slovacca avrebbe d’altronde sortito l’effetto sperato, richiamando l’attenzione dell’Unione, la quale appunto avrebbe assunto un atteggiamento moderato, condannando il gesto pur senza adire per vie legali. A queste è stata preferita l’unità della coalizione a sostegno dell’Ucraina, di cui il fianco orientale dell’UE (e della Nato) è il pilastro portante, specie politicamente.

Infatti, il nuovo ministro dell’Agricoltura polacco, Robert Telus, ha annunciato la ripresa dei colloqui con l’Ucraina e l’UE per la rimozione del blocco.

“Vogliamo che questi prodotti arrivino, ma che vadano in profondità in Europa”

Robert Telus, ministro dell’Agricoltura della Repubblica di Polonia

Un avviso, quello del “fianco orientale“, che ricorda quanto il supporto alla nazione invasa, prassi di sicurezza nazionale, si affianchi anche alla sicurezza alimentare ed economica.

Foto in evidenza: “grains” by grrrrl is licensed under CC BY-NC 2.0.

Giulio Caravaggio

Pescarese di nascita, attualmente studente di Scienze Internazionali e Diplomatiche presso l'Alma Mater di Bologna. Mi interesso di analisi e ricerca geopolitica e militare, con un focus particolare sul continente africano e sul conflitto russo-ucraino. Quando scrivo, il mio obiettivo è dare a tutti facile accesso a difficili contenuti.

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