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Queimada di Gillo Pontecorvo: lezioni di geopolitica

Un film che offre una serie di lezioni dalla geopolitica alla strategia fino alla storia delle dottrine politiche

Vi sono alcuni film che sono in grado di veicolare una molteplicità di aspetti e significati che vanno al di là del loro specifico valore cinematografico. È questo il caso di Queimada, pellicola diretta nell’ormai lontano 1969 da Gillo Pontecorvo.

Pensato come film anticolonialista, e certamente appesantito da questo movente “impegnato”, è però in grado ancora oggi di offrirci sullo schermo un ventaglio di lezioni che spaziano dalla geopolitica alla strategia fino alla storia delle dottrine politiche. Vediamo di evidenziare i nuclei fondamentali.

La talassocrazia britannica

L’isola caraibica di Queimada è una colonia portoghese, abitata da una minoranza bianca e da una maggioranza di schiavi neri impegnati nella coltivazione della canna da zucchero, sostanzialmente l’unica risorsa economica del luogo. All’inizio della vicenda, sull’isola sbarca William Walker, ufficiale britannico in abiti civili che ha il compito di condurre una covert operation: fomentare una rivolta anti-portoghese e fare in modo che l’Inghilterra possa mettere le mani sullo sfruttamento e la commercializzazione delle risorse locali. Non deve sfuggire che il personaggio di William Walker è omonimo dell’americano William Walker che, intorno alla metà dell’Ottocento, si era lanciato alla conquista del Nicaragua, ottenendo un effimero successo.

 Sull’isola, Walker agisce in due direzioni, diversificando la propria strategia a seconda delle classi sociali. Alla borghesia isolana, Walker magnifica le prospettive economiche di liberarsi dal giogo portoghese e aprirsi al commercio mondiale; contestualmente, evidenzia il carattere antieconomico della schiavitù, con la cinica proporzione per cui la moglie sta alla prostituta come lo schiavo all’operaio salariato. Presso gli schiavi neri, Walker si occupa di diffondere un incendiario verbo egualitario, indottrinando il giovane schiavo Josè Dolores. Walker capisce insomma che la rivoluzione borghese di conquista dell’indipendenza deve servirsi della manovalanza servile. 

Questo schema ricalca appieno il sostegno inglese all’indipendenza delle nazioni dell’America Latina contro le ormai decadenti potenze coloniali della Spagna e del Portogallo; sostegno che va di pari passo con la rivendicazione della “libertà dei mari”, con cui l’Inghilterra, in pieno sviluppo industriale, inserisce sempre più regioni del globo della sua rete commerciale.

A ciò si aggiunge il rigetto inglese della tratta degli schiavi, sancito nel 1807, con la Royal Navy che si incarica di pattugliare l’Oceano a caccia delle navi negriere. Libertà economica, libero commercio, libertà dei mari, sostegno alle rivoluzioni borghesi, antischiavismo: sono queste le frecce nell’arco della talassocrazia, con cui i vecchi imperi coloniali vengono progressivamente smantellati. 

Quando la rivolta scoppia a Queimada è la flotta inglese che si assicura di impedire ai portoghesi di portare rinforzi sull’isola. Queimada guadagna dunque l’indipendenza; José Dolores, finita la rivolta, non riesce a superare la fase del “che fare?” e accetta di deporre le armi e ricondurre i suoi compagni nelle piantagioni. L’isola, sotto la guida del notabilato bianco, si trasforma in breve in una banana republic: lo sfruttamento delle piantagioni viene concesso alle compagnie inglesi, sancendo così la rinuncia a ogni sovranità economica. Il lavoro di Walker, il lupo di mare sbarcato sulla terra, può dirsi concluso.

Il “vero” comunismo di José Dolores

La situazione, però, degenera in breve tempo. Gli schiavi affrancati, divenuti proletari nello sfruttamento capitalistico delle piantagioni, tornano a ribellarsi sotto la guida di José Dolores. Paragonare questo personaggio a un Ernesto Guevara, al di là delle stesse intenzioni del regista, non sarebbe sufficiente; nemmeno basta il raffronto con il rivoluzionario algerino Ali La Pointe, protagonista del precedente film di Pontecorvo La battaglia di Algeri: la lotta di Guevara o Ali è, infatti, nazionale e sociale al tempo stesso; quella di Josè Dolores è un irriducibile antagonismo sociale gravato dalla diseguaglianza razziale: gli oppressi sono i neri, gli oppressori sono i bianchi. 

Mai più, dopo l’inganno subito da Walker, occorrerà fidarsi dei bianchi che predicano libertà e uguaglianza. La rivoluzione dovrà giungere unicamente dai neri. E, spiega José, non vi sarà vittoria fin quando i machete degli oppressi non faranno rotolare le teste degli oppressori. Priva di qualunque movente “nazionale”, priva di qualsivoglia incrostazione liberale o borghese, quella di José Dolores è pura lotta sociale e razziale che lo avvicina a Nat Turner o a Toussaint Louverture. E, dunque, a una delle forme più radicali ed elementari di comunismo rivoluzionario.

Il film completo (sub ENG)

Queimada e il tema della controguerriglia

Come già ne La battaglia di Algeri, Pontecorvo si dimostra abilissimo nel tratteggiare la modalità con cui eseguire un’operazione di Counterinsurgency. William Walker, dimessosi dalla Marina e divenuto consigliere militare a libro paga delle compagnie dello zucchero, è come il colonnello Mathieu alle prese con la casbah di Algeri; e, al pari di Mathieu, egli capisce che la guerriglia non vive di vita propria, ma si mantiene grazie a una popolazione che la appoggia in maniera più o meno palese.

Occorre dunque separare nettamente i guerriglieri dai loro fiancheggiatori “civili”, privando la guerriglia della propria linfa vitale. Del resto, sembra che Mao affermasse: «Il popolo è come l’acqua e l’esercito come il pesce»; e dunque, senza l’acqua, il pesce non può sopravvivere. I metodi della controguerriglia non possono essere che brutali: incendio e distruzione dei villaggi dell’area dove operano gli insorti, deportazione della popolazione, esecuzione sommarie dei sospetti. 

Una tattica simile a quella storicamente messa in campo dal generale Graziani in Cirenaica per stroncare l’insorgenza di Omar al-Mukhtar. Si potrebbe essere tentati dall’affermare che, quando nella storia si osserva il fallimento di un’operazione di controguerriglia, ciò avvenga perché i decisori non adottano i metodi di Mathieu-Walker. Del resto, indignato da tali procedure è anche il presidente di Queimada, mosso da una tardiva crisi di coscienza: ma un golpe militare in pieno stile latino-americano provvede a deporlo e a collocare sul seggio presidenziale il capo dell’esercito.

A dire la verità, perplessi dai metodi di Walker sono anche gli imprenditori che l’hanno ingaggiato, ora che vedono le loro piantagioni ardere per stanare gli insorti; ma, replicherà Walker, «Logica del profitto: si costruisce per guadagnare ed a volte per guadagnare bisogna distruggere». 

Negli scrupoli del presidente e dell’imprenditoria si può ravvisare quella coscienza umanitaria della civiltà liberal-borghese disposta a praticare lo sfruttamento per alimentare la logica del profitto, che però si ritrae paurosa quando vi sia effettivamente da svolgere il “lavoro sporco”; contro questa ipocrisia di fondo, contro questa falsa coscienza si esprime anche il colonnello Kurtz protagonista di Apocalypse Now interpretato, come nel caso di Walker, da Marlon Brando: «L’orrore ha un volto e bisogna essere amici dell’orrore…è il giudizio che ci rende deboli». 

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