Spaccheremo i denti a chiunque pensi di sfidare la nostra sovranità. Non esiste Artico senza Russia e Russia senza Artico.
Vladimir Putin, 21 maggio 2021
Quanto conta la Russia al Polo Nord
La guerra russo-ucraina ha cambiato il corso degli eventi, il Cremlino ha deciso che è il momento di riprendere il controllo di una regione che le spetta di diritto. Il cambiamento climatico nasconde un tesoro inesplorato che vale trilioni di dollari, ma il conflitto ibrido che si sta per sprigionare in Artico determinerà il futuro degli equilibri geopolitici.
La catastrofe climatica, dopo il superamento della soglia dei 1,5 gradi (indicata come “tacca da oltrepassare”, una volta superata la “tacca” il cambiamento climatico sarà irreversibile), che ci attende nel prossimo futuro minerà le basi della civiltà del XXI secolo: come ha spiegato il Der Spiegel (Marx aveva ragione?) siamo in una fase di poli-crisi, dove guerra, crisi economica e crisi climatica sono correlate e interconnesse, e il climate change è il fattore accelerante e peggiorativo delle crisi precedenti.
La Russia, che è un peso massimo di materie prime, giocherà un ruolo importante nel futuro per la fornitura di cibo e acqua proveniente dalla Siberia, mentre l’Artico russo fornirà miliardi di metri cubi di gas, insieme a petrolio, minerali strategici e una via alternativa agli stretti presidiati dagli Stati Uniti. Non è saggio affermare che “la Russia non ci offrirà nulla in futuro”: la Federazione Russa ha ancora delle carte da giocare. Se è vero che in Ucraina si sta decidendo il nuovo ordine mondiale e lo status di “impero” di Mosca, il controllo del Polo Nord potrebbe incidere sulla sopravvivenza stessa della Russia.
La forze di Mosca nell’Artico
Il risveglio russo del 2008 ha alimentato di nuovo il desiderio e la volontà di controllare l’Artico e per questo sarebbe servito un potente dispositivo militare. Dal 2010, la Russia ha rafforzato la sua presenza nella penisola di Kola, portando avanti il concetto di bastione strategico sviluppato dai sovietici: in caso di guerra, grazie ai sistemi missilistici (S-400) e alla rete di radar, il “bastione” dovrebbe essere in grado di bloccare le comunicazioni e i movimenti delle forze Nato nella regione del Nord Europa e del Giuk (Greenland–Iceland–United Kingdom Gap), bloccando il passaggio nelle zone polari.
Nel 2014, la Russia ha istituito il “Comando strategico unificato della flotta del Nord” a Severomorsk, e, nel gennaio del 2021, la Flotta del Nord ha ricevuto lo status di distretto militare. Per sostenere il nuovo distretto, Mosca, a partire dal 2010, ha costruito 14 basi aeree, 16 porti d’alto mare e una decina di stazioni radar. Questa “Cortina di Ghiaccio” ha restituito una buona performance durante l’esercitazione Nato Trident Structure del 2018, bloccando e disturbando le comunicazioni tra le forze norvegesi e finlandesi.
Il fiore all’occhiello di questa rete è la base Shamrock (Trefoil), situata nell’isola di Francesco Giuseppe: armata di sistema di difesa aerea S-300 e Pantsir-S1, missili antinave P800, 4K51 Rubezh e una compagnia per la guerra elettronica equipaggiata con il sistema radar P-18 Terek. Conta su due piste di decollo con sistemi antighiaccio, riscaldamento pista e una forza aerea d’attacco composta da Mig-31, Su-34, aerocisterne Ilyushin Il-78 e Mig-31BM. La base è presidiata da circa 150 soldati scelti in grado di sopravvivere e di operare autonomamente per 16 mesi (plausibilmente afferenti alla 29° Osn Bulat e alla 30° Osn Svyatogor)
La Flotta del Nord è composta da 37 navi di superfice, tra cui la portaerei Admiral Kuznetsov, incrociatori di classe Slava, incrociatori Sovremennyj e la rompighiaccio armata classe Ivan Papanin, 41 sottomarini (30 a propulsione nucleare) di classe SSBNs (lanciamissili balistici), classe SSGNs (lanciamissili balistici guidati) e classe SSNs (d’attacco generico).
Ma le componenti decisive per operare nel Polo sono le rompighiaccio: ufficialmente sono 46 e di proprietà della Rosatom; le rompighiaccio più moderne sono la Sibir, Arktika e l’Ural di classe Lk-60 a propulsione nucleare. Nei prossimi decenni entrerà in campo la classe Lk-100YA, 127 miliardi di rubli sborsati dalla Rosatom; in linea teorica doveva essere consegnata nel 2027, ma le sanzioni hanno fatto slittare la data di consegna in seguito all’esclusione dai cantieri di Corea e Filandaia (l’80% delle rompighiaccio al mondo sono state costruite in Finlandia).

Per tenere gli stivali sul campo le forze armate russe, nel 2015, hanno approntato le brigate artiche: la 200° Brigata di Fucilieri Motorizzati (era stanziata alla base Sputnik a Pechenga), la 61° Brigata di Fanteria di Mare “Red Banner”, l’80° brigata di Fanteria Motorizzata, stanziata ad Alakurtti e specificatamente creata per operare in conflitti artici e rafforzata da due reggimenti di operatori tecnici stanziati a Severmonosk e Arcangelo. Per aumentare la prontezza erano schierate due divisioni della Vdv: la 98° aviotrasportata delle Guardie e la 76° aviotrasportata delle Guardie, mentre, nel 2014, la 106° divisione aviotrasporta delle Guardie aveva svolto una serie di esercitazioni nella zona artica.
Queste brigate sono composte da veterani che hanno combattuto nei più svariati teatri bellici: la Red Banner, nel 2014, era tra le unità che ha conquistato Sebastopoli e che operava nella base navale russa di Tartus in Siria, mentre la brigata di Pechnega ha maturato una grande esperienza in Donbass. Queste unità sono equipaggiate con diversi sistemi d’arma: l’80°, per esempio, è equipaggiata con gli obici semoventi 2S1 Gvozdika da 122-mm, il trasporto Gaz-3344-20, un reparto di supporto di Mi-24 (elicotteri d’attacco) e i Mi-8(elicottero da trasporto truppe).
Una nuova frontiera
Il motivo di questo build-up è dovuto alla percezione russa della regione, che muterà irreversibilmente è sarà molto probabilmente teatro di un conflitto. La Russia concepisce lo scontro contro la Nato, o un qualsivoglia nemico, in termini di guerra ibrida, con il conflitto cinetico che deve essere dunque evitato a qualunque costo. Le forze schierate nella regione artica hanno la funzione di hears and eyes (sorvegliare e spiare il nemico) e di condurre operazioni militari coperte.
Viceversa, il cambiamento climatico sta creando l’incubo per eccellenza per la dirigenza russa: la nascita di un nuovo confine vulnerabile da difendere, e il deterrente nucleare non sarà sufficiente per tenere a bada le possibili “invasioni” del Mare del Nord. Secondo l’analista Rebekah Koffler i russi potrebbero occupare militarmente l’Artico per neutralizzare le ingerenze straniere e affermare il controllo sul “nuovo” mare.
Il Cremlino ha commesso numerosi errori nella gestione delle forze artiche. Un esempio lampante è l’uso improprio della 200° brigata nel conflitto in Ucraina: dopo mesi di logoranti combattimenti, avrebbe perso circa il 40% dei mezzi e 1000 uomini tra i combattenti, rendendosi di fatto inutilizzabile nel breve termine. La flotta, dal canto suo, presenta ancora enormi deficit: dei sottomarini a propulsione nucleare, per motivi logistici, solo sette o otto vengono schierati, mentre molte delle navi di superficie sono di epoca sovietica e concepite per operare vicino alle coste.
Ma non per questo è una forza da sottovalutare: l’enorme flotta di rompighiaccio russa darebbe un enorme vantaggio di movimento alla Flotta del Nord. Contrariamente, gli Stati Uniti hanno solo due rompighiaccio degli anni ‘70 (Uscgc Polar Star, usata per le parti di ricambio, e la Uscgc Healy, gravemente danneggiata da un incendio), la base aerea Nato Thule in Islanda non sarebbe in grado di fornire il supporto necessario, mentre l’80° di Alakurtti è in grado di operare autonomamente, protetta dai sistemi S-400, S-300 e della schermatura radar della “Cortina di Ghiaccio”.

Ma se la Finlandia e Svezia dovessero entrare nella Nato il quadro strategico potrebbe ribaltarsi: svedesi e finlandesi sono tra le poche nazioni che dispongono di forze armate in grado di combattere in zone artiche, oltre ad una grande esperienza militare e equipaggiamento moderno. In caso di conflitto la Finlandia sarebbe in grado di contrastare le forze russe e l’isola svedese delle Gotland renderebbe del tutto irrealistico un intervento in mare della flotta russa nel Mar Baltico. La questione al momento è sospesa, nonostante le recenti aperture da parte di Ankara.
Il tesoro del Polo Nord
Il 5 marzo 2020, Vladimir Putin ha firmato il decreto Foundations of the Russian Federation State Policy in the Arctic for the Period up to 2035, il manifesto delle ambizioni sul “Mare Russo”. La strategia proposta nel decreto è divisa in tre fasi:
- 2020-2024: miglioramento delle condizioni socioeconomiche della popolazione, sviluppo di tre nuove rompighiaccio classe Lk-60Ya e consolidamento della Zee (Zona Economica Esclusiva) di pertinenza russa.
- 2025-2030: sviluppo di centri logistici nella Raz (Russian Artic Zone) e l’espansione della rete di fibra ottica per lo sviluppo dei sistemi militari spaziali.
- 2031-2035: sviluppo e consolidamento infrastrutturale ed economico delle regioni di Murmansk e Yamal-Nenets. Il documento prevedeva anche il miglioramento delle relazioni con i paesi artici e il rinnovo della partnership artica.
Secondo le autorità russe, sotto l’Artico si trovano vaste quantità di gas naturale (85 trilioni di metri cubi), greggio (17 miliardi di metri cubi) e giacimenti di carbone e metalli strategici come il nickel, platino, palladio, zinco e lantanio. A questo tesoro ghiacciato va aggiunto le enormi riserve di cibo e di acqua da sfruttare. Con il cambiamento del clima i banchi di pesce non autoctoni, come il merluzzo, lo sgombro e il granchio reale, si stanno lentamente avvicinando ai mari russi, abbandonando quelli del nord Europa.
Lo scioglimento del permafrost della regione siberiana offrirà vaste “terre nere” da poter coltivare (secondo la Fao, la Russia è il quinto paese al mondo a detenere più terre arabili), mentre i vasti fiumi siberiani come l’Ob alimenteranno l’espansione agricola e l’esportazione di acqua pulita ai vicini asiatici.
Queste enormi riserve potrebbero rendere la Russia una super food power, in grado di stabilizzare o destabilizzare i paesi africani come l’Egitto e, forse, quelli occidentali. Lo sblocco della Nsr (Norten Sea Road) è la ciliegina sulla torta: la rotta taglierebbe di metà i tempi di transito tra Asia ed Europa: per percorrere la tratta Yokosama-Rotterdam, ad esempio, oggi ci vogliono circa 13.000 miglia nautiche, attraverso la Nsr 7000 miglia. La Cina è il maggiore investitore della rotta artica, con i progetti cinesi per la Nsr che plausibilmente ammontano a 200 miliardi di dollari (pari all’intero commercio tra Cina e Russia) e puntano a rendere il “canale russo” una strada parallela alla Belt and Road.
Cina e Russia dalla Siberia al Polo: amici o nemici?
L’interesse di Pechino per la zona è ovvio: l’80% delle navi commerciali al mondo sono di proprietà della Rpc, ma queste navi cargo devono attraversare stretti, come quelli di Malacca e Suez, che possono essere bloccati in poco tempo da un incidente, come l’Evergreen, o dall’intervento di una piccola forza navale. La Nsr libererebbe Pechino dal “terrore di Malacca”.
La Cina è ben consapevole delle mancanze di Mosca, che non è in grado di sfruttare a pieno la zona artica per gli intrinseci limiti economici: per il 2020-2022, la Russia aveva investito 2,9 miliardi di rubli (49 milioni di euro), il porto di Sabetta, nella penisola di Yamal, è stata costruito grazie ai 14 miliardi di yuan. La demografia cinese, anche se in calo, ha bisogno un costante flusso di cibo e acqua e le miniere della Chukota e i gas artici sono alterative valide a differenza di altri mercati instabili, come quelli africani e medio orientali.
Ma questo prelibato boccone si potrebbe rivelare letale per Mosca, forse anche più dell’avventura in Ucraina: il 65% delle strutture in Siberia e in Artico è costruito sul permafrost che, secondo gli scienziati, entro il 2035 rischia di scomparire, mettendo in pericolo l’intero sistema infrastrutturale. Avvenimenti simili stanno già accadendo: nel 2020, a Norilsk, una struttura per lo stoccaggio del greggio è collassata a causa della debolezza del permafrost, provocando un disastro ecologico, alimentando un quadro ambientale già tragico di per sè. Gli incendi hanno distrutto foreste estese quanto la Grecia, le violente esondazioni dei fiumi siberiani hanno distrutto interi villaggi. I danni ambientali si stimano intorno ai 98 miliardi di rubli.
Gran parte della fauna locale è stata annichilita a causa del bracconaggio e dal land grabbing di Pechino, che rende irrealistica la promessa della Siberia come “granaio del mondo”. Gran parte dell’energia prodotta in Siberia proviene da centrali a carbone di epoca sovietica e dalla prima unità a energia nucleare “mobile” della Rosatom, la centrale Akademik Lomonosov(4): una piattaforma mobile di 21 tonnellate equipaggiata da due reattori Klt-40S, dei reattori di piccola taglia in grado di generare 70 megawatt, la piattaforma è estremamente vulnerabile ad atti di sabotaggi o a incidenti dovuti ad episodi climatici estremi.
Lo scioglimenti dei ghiacci artici determinerà l’aumento del livello del mare in tutto il mondo, alimentando l’instabilità in paesi fragili climaticamente come l’Indonesia e Pakistan. Come se non bastasse, i ghiacci artici contengono quantità di gas che aumenteranno l’effetto serra nel mondo e, come riferiscono gli scienziati di BioRxiv dell’università di Ottawa in Canada, potrebbero addirittura contenere virus sconosciuti alla razza umana.
Ma la vera spada di Damocle di Mosca è la Cina: di fatto, la Russia ha ipotecato la sua permanenza in Siberia, svendendola a basso prezzo ad un alleato di convenienza. Ma il futuro dell’alleanza potrebbe ribaltarsi a causa del cambiamento climatico e alle crescenti tensioni sopra l’Artico. L’inquinamento sta rendendo invivibili molte zone della Repubblica popolare e la Siberia, anche se fortemente inquinata, può essere una soluzione per lo sfogo demografico e per mantenere la crescita economica cinese. La Nsr è una buona alternativa ai chocke point americani, ma sei i russi diventassero più deboli, o aggressivi nei confronti di Pechino, sarà saggio lasciare loro le chiavi della Nsr e le zone di pesca polari? Pechino teme, non a caso, un ravvicinamento tattico tra Stati Uniti e Russia per escludere il Dragone dai mari artici.
Conclusioni
L’Artico, che doveva essere il simbolo del ventunesimo secolo, caratterizzato dal progresso scientifico e dalla cooperazione internazionale, ora è il campo di battaglia di imperialismi antagonisti, santuario dei fallimenti della Cop27 e di una globalizzazione che non aveva alcun interesse per il bene collettivo. Il cambiamento del clima sta acuendo le tensioni tra le varie nazioni per le questioni delle risorse: se gli stati poveri sono disposti a morire per un fiume d’acqua dolce, gli stati “civilizzati” e ricchi saranno disposti a farsi la guerra per l’acqua e il cobalto. Sembra che l’umanità sia entrata in un ciclo storico dove la violenza sarà la risposta ai problemi, i legami economici possono essere spezzati se questo permetterà alla collettività nazionale di sopravvivere.
La Russia, dai tempi degli Zar, non ha mai smesso di guardare al “Grande Nord” come parte integrante del proprio impero, non permetterà a finti alleati o a nemici acerrimi di prendere il controllo del “Mare Russo”. La magra consolazione sta nel fatto che è improbabile che si verifichi un conflitto aperto: le modalità che prenderà saranno come quelle descritte da Evegny Messner, il padre della guerra ibrida russa e della guerra sovversiva(myatezhevoyna).
Un conflitto aperto tra superpotenze è impensabile (o quasi) nell’era della bomba atomica, con la guerra russo ucraina che rappresenta una (parziale) eccezione. Citando il professore Aldo Giannuli: “stiamo assistendo all’ultima guerra del ventesimo secolo (per le dinamiche) e la prima del ventunesimo (per le modalità)”.

Per il conflitto artico si preferiranno metodi nascosti (come l’uso dei mercenari o delle “black army”, i para-eserciti dei servizi), sporchi (come la distruzione di infrastrutture sensibili per provocare danni ambientali limitati) e brutali(come provocare artificialmente genocidi tra la popolazione locale o migrazioni forzate), dove l’opinione pubblica sarà del tutto ignara delle azioni dei governi, sempre più interessati alla mera sopravvivenza dei propri apparati e per l’appropriazione delle ultime risorse del pianeta.
Bibliografia
Mian, G. Marzio. Guerra Bianca: sul fronte artico del conflitto mondiale. Vicenza: Nero Pozza, 2022
Fridman, Ofer. Russian Hybrid Warfare: Resurgence and Politicization. Londra: C. Hurst & Co., 2022
Boulègue, Mathieu. Russia’s Military Posture in the Arctic Managing Hard Power in a ‘Low Tension’ Environment. Chatam House The Royal Institute of International Affairs, Londra, 2019
Michael, Paul. Göran, Swistek. Russia in the Arctic Development Plans, Military Potential, and Conflict Prevention. Stiftung Wissenschaft und Politik German Institute for International and Security Affairs, Berlino, 2022
Foto in evidenza:”Russian Arctic military base Northern Clover (1)” by Ministry of Defense of Russia is licensed under CC BY 4.0.