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Silvio Raffo e “L’ultimo poeta”, una missione per salvare la Poesia

Silvio Raffo ha colto questo dramma: bisogna «salvare lo Spirito e la Bellezza attraverso la difesa della Letteratura e della Poesia».

Forse è impossibile issare una vela e credere che il vento sia sempre a favore. Spesso il vento soffia nella direzione opposta e la barca è costretta a fermarsi, se non addirittura a sprofondare per le acque impervie in cui ristagna. È ciò che accade alla vela della Poesia, o più in generale all’imbarcazione della Letteratura, dimenticata dal vento del progresso.

Molto probabilmente viviamo in un’epoca in cui la modernità non soffia nella vela artistico-letteraria, e il veliero della cultura è costretto ad arenarsi in baie sempre più piccole e irraggiungibili. Tuttavia l’Arte esiste e resiste, e Silvio Raffo ne è la prova tangibile: si adotta di remi possenti e inizia a scardinare il vascello.

Lo scrittore ha colto perfettamente questo dramma contemporaneo: bisogna «salvare lo Spirito e la Bellezza attraverso la difesa della Letteratura e della Poesia». L’ultimo poeta (Elliot, 2023) ambisce al nobile compito di incoronare nuovamente l’Arte a bussola dell’esistenza. In questo romanzo, per la maggior parte autobiografico, si preliba una prosa delicata e garbata, cortese ed elegante.

Con parole ricercate, pesate con il bilancino dell’anima, Raffo torna ad accarezzare la Letteratura: la esalta, la elogia e la cura, con la riverenza di chi accudisce un anziano genitore al quale deve la vita.

Silvio Raffo, autore de L’ultimo poeta (Elliot, 2023)

La poesia vista da lontano, ma mai così vicina: il protagonista Cheri

La narrazione è affidata ad una sorta di crociato, che racconta la sua impresa. È uno spirito nobile che viene da un “mondo parallelo”, un posto nel quale approdano alcuni individui dopo la morte e assumono un corpo di «sola apparenza». Cheri, così chiamato da Madame, la sua responsabile, è catapultato a Villa Luna, dependance di Villa Maria di Conchita Olivares, in un’isola spagnola (Maiorca, su gentile confessione dell’autore) per compiere una missione inderogabile.

A Cheri viene affibbiata l’identità del fotoreporter (in verità poeta) Donatien Dellorme, che poi incontrerà durante la sua permanenza sulla Terra, per mettere in atto lo «sterminio-della-Logosfera»: durante il convegno presso il Palais Royal, con l’utilizzo del gas nervino, abbatterà tutti i membri della Logosfera Advance Company, responsabili della morte della Bellezza e dello Spirito, rei di mercificare l’Arte e lucrare sulla Poesia.

Questa trama apparentemente semplice e lineare è impregnata di esoterismo, di un contatto tra l’immanenza e la trascendenza, tra materia e spirito. È intrisa di filosofia, di una devozione spasmodica per la letteratura in versi. Tutto il romanzo contiene citazioni e riferimento a poeti e poetesse cari all’autore, tra tutti Emily Dickinson. La cultura greca si fonde a quella latina, passando per i contemporanei. Il tutto genera uno stile riconoscibilissimo e Raffo giganteggia sulle sue stesse parole, come se fosse un ungarettiano «acrobata sull’acqua».

La poesia come salvezza e come sterminio: romanzo “utopico-distopico”?

Sembrerà un paradosso, ma L’ultimo poeta ha introdotto un nuovo genere letterario che definirei “utopia distopica”. Potrà risultare un ossimoro esagerato, ma Raffo prevede «una stagione storica poco sensibile all’arte e alla poesia». Un’epoca devota «all’utilità pratica, al potere economico e al materialismo». Nonché «irretita da un solo fascino, arido e ottuso, quello della cosiddetta tecnologia.» La componente pessimistica – o realistico-profetica? – è innegabile.

Tuttavia compare Cheri, una sorta di Lucifero, inteso come angelo portatore di luce ma al contempo ribelle. Ecco la componente utopistica: alla fine, la speranza di estirpare questo cancro persiste, a costo di ricorrere all’omicidio. Forse per raggiungere il Bene e custodire la Verità bisogna ricorrere al Male. Anche in questo caso «il fine giustifica i mezzi»?

Le analogie tra Raffo e Mann: una bellezza ineffabile che sa di poesia

Questo romanzo sembra dialogare molto con La morte a Venezia di Thomas Mann. Cheri incontra per la prima volta Donatien durante un sogno, per poi ritrovarlo sulla spiaggia di Santo Tomàs e rimanerne completamente sedotto. È quello che accade a Gustav von Aschenbach con Tadzio. Tralasciando il primo contatto onirico, assente nel romanzo tedesco, Aschenbach si innamora del giovane polacco allo stesso modo, in un albergo a Venezia.

Non è un amore prettamente carnale – innegabile, considerate le descrizioni apollinee sia di Donatien che di Tadzio – bensì estetico e spirituale. Ritorna il valore greco della kalokagathia, un essere è bello e quindi buono. Entrambi i casi richiamano alla memoria l’evento in cui Zeus si infatua di Ganimede, al punto da rapirlo sotto forma di aquila e portarlo con sé sull’Olimpo poiché di irresistibile bellezza.

Sia Cheri che Aschenbach rimangono ammaliati nell’osservare i loro eromenos fare il bagno nel mare. Raffo scrive: «Si avvia verso il mare, dopo avermi avvisato che ha intenzione di fare il bagno. […] Lo osservo muoversi, in perfetta sintonia con l’elemento liquido. […] Scuote i lunghi capelli biondi, che gli ricadono intorno al viso come una radiosa aureola. Fa ritorno a riva a possenti bracciate, riemerge sorridendo, col suo passo di giovani dio».

Mentre Mann racconta: «Tadzio faceva il bagno. […] e quella vivace figura, soavemente acerba e pubere, che emergeva con i ricci grondanti dagli abissi del cielo e del mare, bella come un dio fanciullo nell’atto di balzar fuori dall’elemento, era uno spettacolo foriero di suggestioni mitiche.»

L’importanza del ricordo e l’attaccamento alla Vita

Oltre alla Bellezza, nella quale «non manca mai una nota funesta», sostiene Raffo, o che «trafigge come un dolore», come scriverebbe Mann, ampio spazio è dato al ricordo. Forse, è proprio la scarsa memoria di Cheri a farsi perno dell’intera narrazione. Lui non rammenta la sua identità terrestre, per poi scoprire di essere stato Germain, il mentore tanto amato e rievocato di Donatien. È stato proprio Cheri/Germain a svezzare Donatien e renderlo «vera e propria creatura delle muse».

Il grido lanciato con L’ultimo poeta ricorda molto la fine dell’aria E lucevan le stelle di Cavaradossi nella Tosca di Puccini. «E non ho amato mai tanto la vita» intona il tenore, e pare che Raffo faccia lo stesso: l’esplicito ed estenuante amore per la Vita garantisce la sopravvivenza dell’Arte, «a quanto pare la più alta espressione del genere umano».

Davide Chindamo

Fonte immagine: https://www.laprovinciadivarese.it/wp-content/uploads/2022/05/lenigma-del-tempo-svelato-da-silvio-raffo_1cffd98c-cdea-11e6-a852-add9faa21e03_998_397_big_story_detail-690×362.jpg

Davide Chindamo

Nato nel 1998, sono caporedattore della sezione Cultura.
Sono laureato in Scienze dei Beni Culturali, laureando in Filologia moderna e futuro dottore di ricerca in Letteratura. Sono un dandy appassionato di letteratura, filosofia e storia dell’arte. Ma la mia più grande vocazione è la scrittura: ho pubblicato due raccolte di poesie, intitolate "Apollo" (2020) e "Allegrezza solitaria" (2021), e un romanzo, "Il trionfo dell’Arte" (2022).
Collaboro con Aliseo per dimostrare l'assoluta modernità delle materie umanistiche e per difendere la loro natura profetica.

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