6 gennaio 2021, assalto a Capitol Hill. La democrazia americana viene scossa nelle fondamenta, il mondo guarda attonito e spaventato la principale potenza del globo che rischia di precipitare nel caos. Qualche stolto lo auspica. In “Ohio“, Stephen Markley racconta la tempesta americana. Non lo fa attraverso analisi economiche, studi strategici e militari, articoli geopolitici. Ma attraverso gli occhi di una generazione che sembra aver perso i suoi punti di riferimento.
Stephen Markley è una delle penne più promettenti della narrativa americana. Nasce in Ohio da genitori insegnanti e descrive la sua infanzia come quella di un bambino “come tutti gli altri.” Ma già a cinque anni la passione per la scrittura e per l’osservazione del mondo sgorga in lui come una fresca sorgiva tanto da avere le idee già chiare: diventerà scrittore. Pubblica “Ohio” nel 2018 dopo essersi diplomato all’Iowa Writer’s Workshop. Siamo nel secondo anno di mandato di Donald Trump, con i tuoni della tempesta che già si avvertono sordidi in cielo.
Il romanzo è la storia di quattro ragazzi, Bill, Dan, Stacey e Tina, che hanno frequentato la stessa scuola in una cittadina immaginaria, New Canaan. “Ohio” parla delle vite dei quattro compagni, partendo da una fatidica notte in cui, quasi per caso, i protagonisti si rincontrano e affrontano i fantasmi del proprio passato, arrivando a risolvere un giallo che tormenta i loro sogni: “l’omicidio che non c’è mai stato”.
L’opera è quindi in primis un romanzo esistenziale che racconta con sensibilità tragica l’adolescenza lacerata di una generazione priva di punti di riferimento. Sullo sfondo, la desolazione del midwest, la rabbia dei ceti poveri, il sogno americano infranto, l’identità perduta di una nazione e dei suoi cittadini. Sì perché tra le pagine di Stephen Markley è possibile trarre anche un’importante lezione geopolitica sul “fattore umano” americano, sulla società d’oltreoceano e sulle criticità che sta affrontando.
Bill è un giovane affetto da dipendenza da droghe e alcol. Attraverso i suoi occhi, è possibile vedere la crisi economica che ha colpito il cuore profondo dell’America, quelle zone industriali sacrificate sull’altare dell’Impero. Quando torna a New Canaan nota, desolato, come le strade non siano che una sequela di negozi chiusi e case in pignoramento. Solo le grandi multinazionali sopravvivono:
“New Canaan sembrava il microcosmo simbolo dell’angoscia suburbana. Quella piccola fila di negozi aveva perso tutte le insegne […] Casa con cartello VENDESI. Casa con cartello PIGNORAMENTO. Le altre in affitto ma chiaramente sfitte. Andy’s Glass Shop, chiuso. Burger King, aperto. Il negozio di materiali edili dall’altro lato della strada, chiuso, cartello AFFITTASI. Subway, aperto.”
Passeggiando nella notte, Bill rammenta l’avvenimento che segnò la sua generazione e che determinò una prima fattura negli Stati Uniti: il crollo delle torri gemelle e l’invasione dell’Afghanistan. Ricorda di come “si ritrovò subito dalla parte sbagliata”. Il giovane, figlio di laureati, famiglia benestante e acculturata, studia la storia del “Cimitero degli Imperi”, cerca di comprendere le ragioni dell’odio dell’Islam verso l’America e difende pubblicamente le sue tesi, attirandosi gli sguardi disgustati di molti compagni che, al contrario, vivono l’evento come momento di risveglio dell’orgoglio nazionale.
Diversamente la pensa Dan che, sull’onda emotiva di quegli eventi, si arruola e viene spedito a combattere in Iraq. Grande studioso e lettore, appassionato di storia sin da bambino, ispirato dalle lezioni della vecchia professoressa Bingham, Dan non parte perché guerrafondaio ma per senso del dovere. I suoi commilitoni sono uno spaccato dell’America con i quali il ragazzo riesce a fraternizzare e a sentirsi parte di qualcosa di più del proprio io, una sensazione che non riesce a spiegare neanche a sua moglie:
“Solo in battaglia ti senti davvero vicino a qualcuno. Non ai tuoi genitori, né a tua moglie, né ai tuoi figli. Il senso del dovere – verso Dio e la patria – va in fumo nella realtà fosca di Baghdad o di Kandahar. Resta solo il dovere verso i tuoi amici, i tuoi fratelli. Anche se solo da pochi mesi, è come se li conoscessi da un milione di chilometri di una strada lunga e oscura.”
La notte in cui torna a New Canaan, Dan incontra Bill. I due entrano in un bar a bere e iniziano a discutere con degli avventori sulla situazione dell’America sotto l’allora Presidente Obama. Dalla discussione emerge forte un’altra frattura: quella tra i liberal-progressisti, aperti ad una società inclusiva e multiculturale, e i conservatori, rancorosi per l’impoverimento dell’America, umiliati dall’ideologia mainstream, desiderosi di individuare un nemico verso cui riversare il proprio odio:
“Ma quelli di sinistra sono così: come la psicopolizia. Vogliono proteggere una religione come l’Islam che tratta di merda donne e omosessuali e non rispetta la libertà di parola. Però se i cristiani non vogliono fare entrare quelli con il pisello nel bagno delle donne? Cavolo prendiamoli, quei trogloditi! […] E dell’economia che fa cacare, dei posti di lavoro persi […] gliene frega qualcosa a quelli di sinistra?”
Stessa frattura che Stacey vive sulla propria pelle. Originaria di una famiglia cattolica con cui entra in conflitto dopo essersi riscoperta omosessuale, Stacey si stacca dai valori cristiani, studia biologia e viaggia per il mondo. Ma nel suo allontanarsi dalla fede, scopre un senso di vuoto che potrebbe essere un manifesto del ‘900, una spiegazione letteraria del Dio è morto nietzschiano e, soprattutto, della postilla che nessuno ricorda e cioè che l’umanità non era pronta a quella morte:
“Dove trovare un senso quando si perde la fede? Cosa riempie il vuoto che la fede, abbandonata, si lascia dietro?”
Il viaggio di Stecey in giro per il mondo è un tentativo di dare risposte alla crisi mistica che è sua e con lei di tutto l’Occidente, risposte che sono però spesso insoddisfacenti e misere:
“Che mistero era tutto quanto adesso, con la certezza che il suo dogma era fasullo. Creazione, morte? Adesso erano possibilità incontrollate, di una pesantezza schiacciante. Da dove cominciavi a cercare? Le risposte che trovava lei erano orribili nella loro mancanza di poesia. Socializzare, organizzare, la famiglia…tutte forme d’adattamento per sopravvivere che incidentalmente scatenavano l’ingegno, la creatività l’invenzione di strumenti, e in ultima istanza rappresentazioni: codici, storie, l’arte, la cultura. Esperienza distillata in essenza.”
Stephen Markley mette a nudo la società americana, divisa, incattivita, impoverita nella sua parte più produttiva, incapace di elaborare una narrazione univoca di se stessa, e preavvisa quella tempesta americana di cui parla George Friedman nel suo “The storm before the calm“. Dal romanzo trasuda la stanchezza dell’America e la sua profonda insofferenza verso i costi dell’Impero. La stanchezza delle guerre inutili e sanguinose, la stanchezza di essere un modello di progresso che si vuole universale ma che, nella ricerca di questa universalità, rischia di perdere le sue radici profonde. Ne emerge una spaccatura riassunta magistralmente dall’autore con la descrizione del dipinto di Paul Klee “L’Angelo della Storia“, letta da Dan su una striscia di Calvin & Hobbes:
“L’Angelo della Storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Là dove davanti a noi appare una catena di avvenimenti, egli vede un’unica catastrofe, che ammassa incessantemente macerie su macerie e le scaraventa ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e riconnettere i frantumi. Ma dal Paradiso soffia una bufera, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che l’angelo non può più chiuderle. Questa bufera lo spinge inarrestabilmente nel futuro, a cui egli volge le spalle, mentre cresce verso il cielo il cumulo delle macerie. Ciò che noi chiamiamo il progresso è questa bufera.”
L’America è l’Angelo della Storia. Una parte di sé vorrebbe guardare indietro, ricomporre le sue macerie, piangere i suoi morti, rimettere insieme la propria identità perduta, superare la tempesta. Ma il vento del futuro, la bufera del progresso, la spinge inesorabilmente avanti, a occuparsi del suo Impero e delle sfide che la attendono. E, intanto, il cumulo di macerie cresce.