È scoppiata come una bomba la notizia della creazione una Super Lega da parte di dodici maggiori club europei già a partire dalla prossima stagione. Subito si sono succedute dichiarazioni per condannare l’iniziativa e bollarla come una deriva elitista di uno degli ultimi mondi in cui le favole sono ancora possibili. Ma proviamo ad analizzare cos’è oggi (ma non solo da oggi) il mondo del calcio e perché si è arrivati a questo punto.
Cos’è la Super League
Nelle intenzioni dei suoi firmatari questa lega d’élite dovrebbe raccogliere, a partire da agosto 2021, i più prestigiosi club europei per dar vita alla più importante e spettacolare competizione calcistica del mondo. Il progetto avrebbe incominciato a prendere vita ad ottobre dello scorso anno quando il neoeletto presidente del Real Madrid, Florentino Perez, ha stabilito i primi contatti con i futuri club firmatari. Le squadre coinvolte sono ad oggi: Real Madrid, Barcellona, Atletico Madrid, Juventus, Inter, Milan, Man. United, Man. City, Chelsea, Arsenal, Tottenham e Liverpool. A questo appello mancano le due tedesche Bayern Monaco e Borussia Dortmund e la francese Paris Saint Germain che hanno rifiutato di aderire perché convinte, soprattutto le prime due, di vedere nella riforma della Champions League l’unica vera soluzione per il calcio europeo. Ecco, questo è un elemento dirimente per riuscire a comprendere i presupposti di questa rivolta dei titani contro l’Olimpo Uefa.
La riforma della Champions League
La riforma della massima competizione europea per club approvata ieri come immediata risposta agli eventi della notte di domenica era considerata la pietra miliare per permettere al calcio europeo di fare un ulteriore passo avanti. La nuova competizione prevede un cambio di formula, un aumento dei partecipanti e quindi di partite, con la conseguente possibilità di venderne i diritti a prezzi maggiori. Ecco, tutto inizia da qui.
I dati dicono che il fatturato dell’Uefa nel 2017/2018 è stato pari a 2,790 mld di €, meno della stagione 2016/2017 (2,836 mld), e che la voce più rilevante è quella riferibile alla vendita dei diritti tv (2,236 mld). Per il 2018/2019 si stimava un incremento a 3,86 mld di € e per il 2020, grazie ad Euro 2020, fino a 5,72 mld di €. Purtroppo, il Covid ha sconvolto totalmente le previsioni per l’anno appena passato, provocando ingenti perdite per tutto il mondo del calcio.
Se si guarda alle omologhe americane dell’UEFA per basket e football emergeranno dettagli tutt’altro che trascurabili. Nel 2016 e nel 2019 la NFL (National Football League), la federazione nazionale del football USA, ha fatturato rispettivamente 7,1 mld di $ e 9,5 mld di $, la metà dei quali viene destinata in parti uguali alle squadre della lega. Mentre, se si guarda alla NBA (National Basketball Association), la federazione del basket americano, il giro di affari per le stagioni 2017/1018 e 2018/2019 è stato pari a 8 e 8,7 mld di $.
Se consideriamo poi telespettatori e appassionati in generale il, cerchio si chiude
La finale della Champions League è stata seguita per tre stagioni consecutive tra il 2015 ed il 2018 da una media di 160 milioni di spettatori globali, e il complesso dei suoi appassionati e di circa tre miliardi. Il 54° Super Bowl (2019) ha fatto registrare 150 milioni di spettatori globali secondo una stima commissionata dalla NFL e tutto il movimento totalizza circa trecento milioni di tifosi. La gara decisiva delle Finals NBA 2019/2020 è stata seguita da 5,6 milioni di spettatori con una media per l’intera serie di poco superiore a 6,4 milioni sulla rete commerciale ABC. Un calo vertiginoso rispetto ai 18,34 milioni che seguirono la gara decisiva della serie della stagione precedente. Ma bisogna ricordare che nel 2018 si è stimata un’audience complessiva pari a 800 milioni di telespettatori cinesi per gli eventi legati all’NBA.
Il problema di un potenziale inespresso nella valorizzazione del proprio prodotto da parte dell’UEFA è innegabile. Da un lato abbiamo la NFL che con un numero di spettatori inferiore di quasi il 10% per il suo evento di punta e moltissimi tifosi in meno, genera entrate complessive oltre il triplo rispetto a quelle dell’UEFA con tre miliardi di fan nel mondo. Dall’altro abbiamo la NBA che fattura anch’essa molto di più, complice soprattutto un’opera di penetrazione nel mercato cinese portata avanti dal suo Commissario, David Stern, alle fine degli anni ’90. Un tipo di operazione per cui l’UEFA sembra non aver mai mostrato il minimo interesse.
Le colpe dell’UEFA e le intenzioni della Super Lega
È impossibile non riconoscere un grave immobilismo dell’UEFA rispetto all’innovazione del suo modello di business in un mondo sempre più interconnesso e con un intrattenimento in continua evoluzione. Ed è altrettanto impossibile biasimare il tentativo delle squadre più prestigiose di sfruttare il potenziale dei loro marchi e di tutta l’industria nel suo complesso. Cosa vuole dunque fare la Super Lega per esprimere al massimo il valore dei suoi appartenenti e quindi dello spettacolo? Al di là di formule di organizzazione, l’elemento dirimente sono gli introiti (stimati per circa 7-10 mld) che verranno ridivisi in parti uguali fra i suoi partecipanti come avviene oggi per la NFL ad esempio.
Qui sta la differenza con l’UEFA. Perché con questa formula i grandi club che investono per aumentare il più possibile la loro competitività si sentirebbero molto più “garantiti” nei loro sforzi. Perché i maggiori introiti remunererebbero molto più adeguatamente i loro investimenti e soprattutto con una certezza che la Champions League di oggi non può garantire. Infatti, l’accesso ai premi distribuiti dall’UEFA è legato alla qualificazione ed al superamento delle varie fasi.
È tutto qui. Garanzie contro incertezza. Probabilmente anche ipotizzando Superlega e UEFA che fatturassero allo stesso modo, gli attuali scissionisti continuerebbero a scegliere la prima perché offre un ritorno più commisurato e garantito ai loro investimenti, soprattutto grazie al potenziale oggi inespresso.
Il calcio non è più del popolo come lo era un tempo? Nì
Si dice da ormai trent’anni che nel calcio il denaro sia l’unica cosa che conta. Che il ruolo del tifoso sia sempre più marginale, che la logica economica prevalga sempre di più sul sentimento.
La realtà è che anche il calcio dei nostalgici si svolgeva secondo queste logiche, che però risultavano meno visibili perché lo sviluppo in quanto industria era ancora ai suoi primordi, al suo inizio. Ed il suo sviluppo è andato di pari passo con l’innovazione, soprattutto quella tecnologica che in primis ha permesso al suo spettacolo di raggiungere milioni di persone, non solo quelli allo stadio.
La differenza è che prima la professionalità e scientificità nella gestione una squadra di calcio erano molto più rarefatte perché il mondo era meno sviluppato e moderno. E questa lasciava credere, e lascia credere oggi, che in realtà fossero il romanticismo, il cuore e la passione per la squadra le vere guide nelle scelte da parte dei suoi attori. Il calcio ha sempre voluto essere quello di oggi, solo che al tempo non poteva perché non c’erano i mezzi.
Prima la casualità e i “miracoli” erano molto di più all’ordine del giorno perché bastava meno per riuscire ad emergere e raggiungere grandi traguardi. Se si riusciva a trovare qiualche giocatore di livello o un allenatore leggermente più competente della media, si potevano vincere campionati o conseguire grandi risultati dal nulla. Questo perché il mondo era molto più lento nel mutare e meno professionalizzato di quello di oggi. Un tempo la scoperta di un giocatore era molto più rara e casuale. E ciò permetteva ai fortunati di conservare la propria posizione per lungo tempo senza grandi sforzi. Il calcio di prima era molto meno fluido di quello di oggi.
Ma da quando il mondo ha incominciato a modernizzarsi, la comunicazione su tutti, e la specializzazione delle funzioni ha incominciato ad articolarsi, ecco che le componenti legate alla casualità e al “sentimento” hanno incominciato a venir meno, non perché stessero perdendo di vigore, ma perché quelle legate all’organizzazione ed alla professionalità hanno iniziato ad avere gli strumenti per esprimersi sempre di più. È stata solo una questione di tempi e mezzi.
Oggi si monitorano decine di giocatori contemporaneamente in tutto il mondo senza bisogno di trovarsi fisicamente li. Si possono siglare contratti per i diritti tv con paesi a migliaia di chilometri dalla sede legale della propria società perché il 5G permette di vedere le partite anche in India al massimo della qualità. Il calcio è sempre stato legato a logiche economiche, solamente che prima queste non avevano i mezzi per emergere con la stessa preminenza, e quindi i “sentimenti” sembravano occupare la maggior parte del palcoscenico.
Del resto, le grandi squadre di oggi sono per la stragrande maggioranza le grandi squadre di ieri. Le squadre che oggi dominano grazie alla loro forza economica sono le stesse che avevano la maggior forza economica ieri. Ovviamente ci sono stati giganti decaduti ed altri club che sono emersi più recentemente. E queste sono le stesse dinamiche di qualunque altra industria.
Non è la proiezione sentimentale dei tifosi che la rende diversa da tutte le altre. I dirigenti del settore non possono farsi guidare dalla passione nelle loro scelte. La frase “il calcio è dei tifosi” è ipocrita oltre che stupida. Qualunque tifoso si trovasse al posto del presidente della propria squadra si comporterebbe seguendo le stesse logiche economiche e non slanci emotivi.
Ovviamente anche l’industria del calcio ha le sue storture e le sue degenerazioni, come l’eccessivo potere dei procuratori ad esempio. Ma questo problema si sarebbe verificato anche sessant’anni fa se la figura del procuratore avesse avuto già allora le condizioni ed il contesto per essere quello che è oggi. Ieri non poteva esserlo non per leggi o limitazioni che non c’erano e non ci sono oggi, ma per i minori mezzi a disposizione che oggi invece ci sono.
Se il calcio di ieri avesse potuto scegliere di essere già come il calcio di oggi, lo avrebbe fatto senza dubbio.
La meritocrazia morirà con la Super Lega?
Il modello della Super Lega cerca quindi di riprodurre quelli delle due maggiori leghe americane citate precedentemente, al fine di esprimere al massimo il potenziale economico e di intrattenimento dell’intero movimento.
Una delle polemiche emerse più prepotentemente riguarda la scomparsa della meritocrazia con queste nuove condizioni. Ma lo stesso discorso viene fatto quando si parla di NBA o di NFL? Nessuno rimprovera mai a queste due leghe l’assenza di meritocrazia, anzi.
Inoltre, si aggiunge che miracoli sportivi come quelli del Leicester o dell’Atalanta non potranno più accadere. Forse è vero forse no; l’incertezza è l’unica certezza di questo mondo. Ma anche se questo dovesse verificarsi, non si potrebbe di certo imputare alla scomparsa della meritocrazia nella Super Lega. Si verificherà perché squadre come l’Atalanta o il Leicester non sono state scelte dai fondatori/partecipanti perché ritenute non funzionali allo sviluppo del loro progetto. La meritocrazia non morirà per il semplice fatto che all’interno di questo gruppo d’élite continuerà a prevalere la stessa logica che c’è nelle leghe attuali: che vinca il migliore. Non cambia nulla, l’unica differenza è che i partecipanti si sono scelti fra loro per aumentare introiti e spettacolo, tutto qui.
Il discorso che anche le piccole squadre debbano avere il diritto di provare a prendere parte ai grandi eventi è legittimo, ma lo è altrettanto la scelta di alcuni super club di fare la propria lega staccandosi da quelle ufficiali ed escludendo le squadre minori.
La morte del sentimento?
Non si sa dunque se il tifo viscerale scomparirà, o se il calcio perderà il suo valore di religione per diventare esclusivamente una forma di spettacolo. Essendo questi fenomeni totalmente irrazionali perché legati al modo in cui il singolo tifoso proietta i propri sentimenti su un’azienda, ogni previsione è semplicemente impossibile.
L’unica cosa che si può fare oggi è riconoscere lo stato delle cose e le responsabilità dei suoi attori per quello che è, e quello che potrebbe diventare. E riconoscere parimenti la legittimità del tentativo di estrarre più valore da un’industria che al momento non è in grado di farlo, ispirandosi ad altre industrie sportive di successo. Non vi è né giusto né sbagliato, sono altre le categorie con cui giudicare ciò che sta accadendo.
Enrico Ceci