Dal 1959, anno del congresso di Bad Godesberg, la Bolognina tedesca dove la SPD si lasciò definitivamente alle spalle ogni velleità marxista e rivoluzionaria, la politica teutonica si basa su di un patto tanto tacito quanto fino ad oggi scrupolosamente rispettato. Questo patto non scritto, vigente tra cittadinanza e classe politica, si potrebbe riassumere sostanzialmente così: “Monopartitismo de facto in cambio di alto tenore di vita”.
Il patto non scritto
Parliamo di monopartitismo perché proprio dal 1959, o più correttamente dal 1955, anno in cui l’economista socialdemocratico Karl Schiller diede alle stampe il suo “Socialismo e concorrenza”, l’offerta politica tedesca si è stabilizzata, pur con qualche lieve deviazione, su di un’agenda uniformemente neoliberale. All’epoca del congresso di Bad Godesberg il consenso unanime a proposito dell’agenda neoliberale poteva dirsi raggiunto: CDU-CSU ed SPD, i partiti che riunivano il 70% dell’elettorato, erano normalizzati, mentre le “ali” erano state tagliate negli anni precedenti con la messa fuorilegge del Partito Socialista del Reich (formazione che raccoglieva l’eredità del nazionalsocialismo sul modello dell’italiano MSI) nel 1952, e del Partito Comunista Tedesco nel 1956. Quanto all’altro grande e storico partito tedesco, la FDP, esso era già per sua costituzione dichiaratamente liberaldemocratico.
Il patto, consolidato da un robusto boom economico prima e dalla vittoria economica sulla DDR poi, si rivelò la scelta vincente per i sei decenni successivi, con la Germania che raggiunse un tenore di vita tra i più alti del globo ed un tasso di disoccupazione prossimo allo zero. L’emersione di Alternative für Deutschland nel 2014 e la grande ondata di immigrazione seguita al conflitto di Siria hanno sancito, assieme al ritiro di Angela Merkel dalla politica, l’inizio della fine di quel modello di successo. La recente invasione russa dell’Ucraina e la conseguente ondata di sanzioni, che la Germania ha in realtà più subito che imposto, scrivono definitivamente la parola fine al patto. Il modello tedesco che ha reso la Germania il paese più ricco e produttivo d’Europa e più attraente per immigrati e studenti di tutto il mondo, è al capolinea, e viene sconfitto proprio in quello che è storicamente il suo punto debole, la cinghia di trasmissione tra politica ed economia.
Il gigante economico europeo, infatti, rimane un nano in ambito politico e soprattutto militare, e non basterà il grande piano di riarmo da cento miliardi di euro annunciato da Scholz a colmare il gap che divide Berlino, in ambito militare, non solo da Parigi, Londra e Mosca ma anche da Varsavia, Roma e Stoccolma. La debolezza e la mancanza di autonomia connaturata al moderno stato tedesco e, anzi, perseguita da una gran parte di esso (a cominciare dai Verdi), presenta tutto in un sol colpo il suo salatissimo conto.
La stretta quasi totale all’esportazione di gas russo verso la Germania voluta da Vladimir Putin come ritorsione alle sanzioni europee e l’intransigenza dei Verdi sulla Energiewende (transizione energetica) che ha imposto al paese l’uscita dal nucleare, stanno generando la proverbiale tempesta perfetta, che si somma alle turbolenze dovute a due anni di chiusure pandemiche e alla crisi delle materie prime. A scontare il prezzo di tutto ciò è il cuore industriale della Bundesrepublik. Sono infatti le industrie tedesche, in particolare quella petrolchimica, a consumare grandi quantità di gas russo, e se davvero Gazprom decidesse per la chiusura totale si fermerebbero, molto semplicemente, interi distretti industriali.
Il lievitare del prezzo della materia prima ha già fatto uscire dalla gabbia il demone più temuto dai politici tedeschi, l’inflazione, che col suo 7,6% ha raggiunto il livello più alto da oltre quarant’anni. Ma si tratta di un calcolo ottimistico, e che peraltro non tiene conto dello scenario peggiore, ovvero quello -catastrofico- di un eventuale embargo totale russo sul gas che andrebbe a sommarsi ad un eventuale embargo, questa volta petrolifero, da parte dell’Occidente verso l’oro nero di Mosca.
La Germania a corto di energia
Gli allarmi provengono da voci autorevoli, prima tra tutte quelle del Financial Times, che prevede una tempesta perfetta sull’economia tedesca tale da generare un supply crunch in materia di energia elettrica durante il prossimo autunno, sia per quanto riguarda le industrie sia per quanto riguarda le abitazioni dei privati. Gli ha fatto eco il ministro dell’economia e vice-cancelliere Robert Habeck (Verdi), che ha dichiarato di fronte alla platea dell’Associazione Bavarese dell’Industria che la tempesta vedrà la compresenza tre elementi, “inflazione, stretta creditizia e scarsi investimenti” , aggiungendo che oltre la metà dei tedeschi spenderà più di quanto guadagnerà.
Stefan Dohler, ceo del colosso dell’energia EWE AG, ha dichiarato in un’intervista al giornale di Brema Nord24 che la situazione è “socialmente esplosiva” e che ogni nucleo familiare tedesco vedrà lievitare i costi per le bollette di luce e riscaldamento di quasi quattrocento euro mensili. Una situazione ai limiti della catastrofe, a cui la proverbiale disciplina teutonica non potrà far fronte, stanti le cause esogene e squisitamente politiche dell’inflazione in atto.
Ma saranno i cittadini a pagare il conto più salato, come ha ricordato senza mezzi termini il senatore della CDU Axel Gedaschko, presidente dell’associazione federale degli immobiliari tedeschi (GdW), “la pace sociale in Germania è in grave pericolo”. Se si tiene conto delle cifre dichiarate da Dohler, si arriva facilmente a capire che nel paese teutonico la vita si farà molto difficile per chi vive in affitto, specialmente se single e anziano. Secondo dati Eurostat solo il 51% dei tedeschi risiede in una casa di proprietà, il che significa che oltre 40 milioni di cittadini si trovano a pagare un affitto per godere di un tetto sopra la testa. Se le cifre di Dohler e le previsioni di Habeck fossero confermate apparirebbe lapalissiano il rammentare che dal prossimo inverno milioni e milioni di tedeschi dovranno scegliere tra il pagamento dell’affitto e quello delle bollette. Una situazione sociale drammatica che ha già scatenato una vera e propria Angst nazionale.
La Russia affila la sciabola del Generale Inverno
A dispetto del vantato tecnicismo teutonico, le soluzioni fino ad ora proposte dalla politica hanno un sapore piuttosto arcaico: razionamenti e carità. Luce, gas e acqua calda stanno già venendo razionati in varie parti della Repubblica Federale, e laddove ciò ancora non succede le autorità ed i privati stanno comunque predisponendo piani per adeguarsi celermente alla situazione di emergenza, nel caso il quadro economico e geopolitico dovesse peggiorare. Il più grande gruppo immobiliare della Germania, il colosso Vonovia, con sede a Bochum e proprietario di oltre trecentocinquantamila appartamenti, ha già reso noto che dall’autunno prossimo, in tutti i suoi condomini, i riscaldamenti centralizzati saranno obbligatoriamente abbassati a 17 gradi dalle ore 23 fino alle ore 6 del mattino mentre altre associazioni stanno già predisponendo razionamenti dell’acqua calda.
Il giurista Helmut Dedy, presidente della Deutscher Städtetag (DS), l’associazione tedesca dei sindaci, ha dichiarato che sono in preparazione direttive di razionamento e risparmio energetico per tutti gli amministratori locali della Germania. Le misure preparate da Dedy e dalla DS sono tutt’altro che semplici palliativi, tra di esse troviamo infatti lo spegnimento notturno dell’illuminazione pubblica (compresi i semafori), la disattivazione dei boilers per l’acqua calda negli edifici pubblici, nei musei e nei centri sportivi e nelle piscine, forti limitazioni all’uso dei condizionatori e lo spegnimento totale dell’illuminazione notturna di monumenti ed edifici storici quali statue, regge, castelli, torri, chiese.
Il futuro della Germania è buio
La Germania piomba nel buio, e non si tratta di una metafora. Tutto ciò, come abbiamo potuto vedere, riguarda i razionamenti, ma anche la cara vecchia carità cercherà di calmierare il disagio sociale. Sono già diverse, infatti, le amministrazioni teutoniche che stanno allestendo spazi comuni riscaldati per permettere alla popolazione che non riuscirà a pagare bollette ed affitti di avere un posto caldo dove dormire. In un allarmato articolo di Bild è stato reso noto che amministrazioni cittadine come quelle di Ludwigshafen, Neustadt, Frankenthal e Landau, stanno già approntando dormitori nelle palestre e in altri spazi pubblici riscaldati.
L’indiscrezione, peraltro confermata dal sindaco di Ludwigshafen Jutta Steinruck (SPD), vedrebbe la nuova prassi degli “spazi comuni” ispirarsi alla recente esperienza dei “covid hotel” del 2020 e 2021. Una prassi che, se si confermasse, vedrebbe la Germania ripiombare nell’incubo di Weimar, quando intere comunità di disoccupati e senza fissa dimora cercavano rifugio presso le strutture ecclesiastiche e presso i Wärmestube pubblici.
Tempi cupi che richiamano anche la vita dickensiana del poverissimo proletariato viennese degli ultimi anni dell’Impero Austro-Ungarico, quando migliaia di senzatetto erano costretti all’umiliante vita da Bettgeher, ovvero essere detentori di un posto letto presso enti caritatevoli per sole dodici ore al giorno, scadute le quali si veniva allontanati per fare spazio ad un altro bisognoso, al quale si subentrava e si dava il cambio dopo un turno, di lavoro o vagabondaggio, di ulteriori dodici ore. Una situazione sociale a dir poco pericolosa che fu, non a caso, incubatrice della sorda rabbia del giovane Adolf Hitler, che in quella Vienna, e proprio da Bettgeher, si ritrovò a vivere di espedienti per tre anni, dal 1910 al 1913.
Se la situazione è questa, e ci sono buone probabilità che lo sia, e che si aggravi ulteriormente, è facile comprendere come il tacito patto monopartitismo-benessere sia saltato, o quantomeno come una delle parti abbia clamorosamente fallito nel garantire una delle condizioni, quella del benessere, necessaria al suo mantenimento. Cosa possa succedere, nella Germania odierna, con una simile esplosione di disagio sociale e povertà, è qualcosa di assolutamente imprevedibile, trattandosi di uno scenario assolutamente impensabile anche solo pochissimi mesi fa. L’impatto, beninteso, non si esaurirà entro i confini tedeschi, ma esonderà al di fuori di essi, così come l’impatto di analoghe crisi interne alle altre nazioni europee esonderanno all’interno della Germania medesima.
A tal proposito va ricordato che la Germania rimane il primo partner commerciale di 17 paesi dell’UE su 27, oltre che di altri importanti paesi extra-UE come Regno Unito, Turchia, Norvegia e Svizzera. Italia e Francia, in particolare, così come tutto il blocco di Visegrad ed i paesi balcanici sono profondamente integrati nella catena del valore tedesca, e se questa andasse a fondo, e purtroppo le possibilità sembrano esserci, sarebbero guai per tutti, a cominciare dai distretti industriali del nord Italia e da quelli francesi.
L’Euro in caduta libera e il ritorno del deficit commerciale
L’euro, a sua volta legato a doppio filo alla Germania ed alla sua produzione industriale, è non a caso in caduta libera, sfiorando la parità con il dollaro americano, raggiungendo i valori più bassi dai tempi della sua creazione. Per la prima volta la bilancia commerciale tedesca è entrata in deficit, fatto inaudito che non accadeva dal 1991, anno economicamente problematico in quanto testimone della riunificazione con la DDR. Oggi l’export tedesco è calato del 0,5%, mentre l‘import è lievitato del 2,7%, a ben 126,7 miliardi di euro. È la fine, conclamata, dei “trenta gloriosi” della Germania postunitaria, costruita dall’eredità di Helmut Kohl prima, dalla Ostpolitik di Gerhard Schröder poi, e da quattro mandati Merkel all’insegna del surplus commerciale.
Comincia il declino. E che cominci un declino strutturale anziché congiunturale lo fanno presagire tanto gli eventi bellici, di cui non si intravede la fine (che del resto non comporterebbe necessariamente la fine delle sanzioni), quanto la situazione diplomatica tra Berlino e Pechino, altro partner economico di cui la Germania ha bisogno come l’aria, che va sempre più deteriorandosi sotto i colpi della nuova guerra fredda dichiarata da Joe Biden e dal suo segretario di stato Blinken.
Se la Germania cadrà portando a fondo tutti i suoi partner commerciali è cosa oggi difficile da prevedere, di certo rimane solo il fatto che l’Italia, al momento impegnata a discutere di leggi elettorali, covid e ddl Zan, sembra avere altro a cui pensare.
“Lightning over the TV Tower” by Matt Biddulph is licensed under CC BY-SA 2.0.